Testo inedito di Carlo Peroncini; in corsivo ricordi del figlio Giuseppe Peroncini.

ATTIVITA’ DELLA MANDRIA
NELLA LOTTA CLANDESTINA PER LA LIBERAZIONE

Dal 25 luglio all' 8 settembre 1943
Il 25 luglio 1943 la Bandiera Tricolore fu issata anche alla Mandria, per ordine del proprietario Marchese Giacomo Medici del Vascello, ad indicare che anche la Mandria partecipava alla gioia per la fine della tirannia fascista. I quarantacinque giorni successivi servirono alla Mandria a preparare gli .spiriti per le successive battaglie. Ogni atto amministrativo, ogni nuova istituzione, ogni manifestazione interna della Mandria, fu improntata da nuovo spirito di libertà e di indipendenza. E così spogliata dei caratteri esteriori e purificato lo spirito dalle scorie lasciate da venti anni di oppressione e di soprusi, la Mandria, arrivò all’8 settembre ben preparata alle lotte che l'aspettavano.
* Va chiarito che alla seria e responsabile presa di coscienza della drammatica situazione, corrispose un consolidarsi della solidarietà tra Popolazione, Proprietà e Amministrazione, nell’immediato non ci furono particolari prese di posizione politiche per il semplice fatto che regnava una gran confusione. Ricordo vagamente mio Papà in “uniforme da rurale” (camicia nera e stivaloni) per partecipare ad una riunione e mia Mamma che, preoccupatissima, lo implorava di “evitare grane”: ingenuità maschile e prudenza femminile...Raccontava Papà che, all’arrivo di una divisione germanica in zona, fu convocato al comando (presso l’Istituto Agrario Bonafous). Il generale comandante in persona lo interrogò a lungo sulla situazione in zona con correttezza e cordialità, promettendo aiuti in viveri ed “assistenza per assicurare un minimo ordine pubblico”. L’impressione fu positiva ed allentò la tensione. Povero Papà: ben presto si rese conto che i viveri bisognava consegnarli anziché riceverli, e, drammaticamente, si chiarì che cosa intendevano i Tedeschi per”ordine pubblico”! La presa di posizione nei confronti della situazione politico-militare non fu, quindi, immediata, ma si chiarì nel tempo con l’evolversi sempre più drammatico degli eventi. L’incertezza e la confusione regnavano già prima dell’8 settembre, cito alcuni ricordi. Nell’estate del 43 mio Papà ricevette il preavviso di richiamo (classe 1902, nel 39 era stato richiamato e nominato sottotenente al Nizza Cavalleria e mandato in congedo dopo un periodo di “corsi serali” a Venaria e un mese al Reggimento) avrebbe dovuto raggiungere il suo reparto in Africa quando già gli Alleati erano sbarcati in Sicilia! Questa nomina ad ufficiale lo portò poi a giurare fedeltà alla Repubblica Sociale nella convinzione di poter avere qualche possibilità in più di aiutare la Popolazione, ovviamente servì a poco; anzi compromise la sua…carriera militare successiva…! A fine agosto 43, casa mia venne improvvisamente occupata e perquisita da un reparto militare Italiano (Badogliani ?). C’era il dott. Sala (veterinario, detto anche “dotorin”, viveva con noi) che mi spiegò il fatto dicendo che cercavano il…Duce, ovviamente io non sapevo chi fosse; ricordo il cassetto della scrivania di mio Papà con la serratura forzata dalla baionetta ma non erano riusciti ad aprirla.

ASSISTENZA AI PRIGIONIERI INGLESI

Nella primavera del 1943 fu costituito nella cascina Peppinella della Mandria, un campo di lavoro per prigionieri di guerra con cento prigionieri Inglesi ed un corpo di guardia di una trentina di militari dell'esercito Italiano.
'Durante tutto il periodo di permanenza nel campo di lavoro i prigionieri Inglesi ebbero, da parte dell'Ammistrazione della Mandria e degli abitanti un trattamento di assoluta correttezza e comprensione.
Sebbene le loro condizioni alimentari fossero tali da non richiedere aiuti di sorta, il Proprietario e 1'Amministrazione procurarono a questi prigionieri generi alimentari freschi molto graditi come latte, frutta, vino, pomodori, ecc.
L’8 settembre il campo fu eliminato. Il corpo di guardia, liberati i prigionieri, si sciolse i militari che lo componevano, in parte ritornarono alle loro case, in parte andarono a formare le bande partigiane in montagna, qualcuno rimase in cascina alla Peppinella e l'Amministrazione procurò loro lavoro e protezione per tutto il periodo clandestino.
Alcuni di questi sono: Simeti Pietro, Gugliotta Arturo, Movia Luigi, Antico Giacomo. Le armi del corpo di guardia furono in parte distrutte, in parte occultate. Nessuna cadde in mano ai tedeschi.
Il casermaggio e l'attrezzatura del campo fu distribuito fra i prigionieri, i militari del corpo di guardia e la popolazione civile, in modo che i tedeschi non poterono recuperare che pochi cavalletti e qualche tavolo inservibile.
I prigionieri inglesi, appena liberi, si sbandarono e presero diverse destinazioni. Un gruppo di circa venti individui si diresse verso la frontiera e sembra sia riuscito a penetrare in Svizzera. La maggior parte di essi, però, rimase alla Mandria per molto tempo e qualcuno fino alla liberazione. Aiutati dalla popolazione e dall'Amministrazione, si costruirono dei nascondigli nei boschi, scavandosi delle caverne e impiantando accampamenti con tende. Uno solo di essi, volontariamente attardandosi imprudentemente in cascina, fu catturato dai tedeschi in una sorpresa fatta nella cascina qualche giorno dopo lo scioglimento del campo.
Il Proprietario a conoscenza che la maggior parte dei prigionieri inglesi si trovava nella Mandria, diede disposizioni affinchè essi venissero assistiti ed aiutati nel miglior modo possibile.
* Ricordo uno di questi prigionieri,che girava libero per il paese,mentre sotto la finestra chiamava (con uno strano accento un po’ diverso dal Piemontese…) una giovane donna madre di due bimbi un po’ più grandi di me. Il marito era in Russia e la donna alla fine della guerra se ne andò in Inghilterra con il soldato inglese, abbandonando i due bambini ai nonni paterni. Quando il papà tornò dalla prigionia in Russia, dovette affrontare un’ulteriore situazione penosa che certamente né prevedeva e né, tanto meno, meritava! Era una persona molto in gamba e corretta: crebbe i figli educandoli nel migliore dei modi, ricostruendosi una vita serena e dignitosa. Ho poi saputo che la madre dopo molti anni tornò a Venaria e tentò di incontrare i figli; il più giovane era indifferente: non la ricordava, il più grande rifiutò categoricamente di incontrarla. Non mi permetto di esprimere alcun giudizio morale, ho citato questo fatto per sottolineare come la guerra comporti drammi anche di questo genere.
Fu così che nella Mandria, nelle cascine e da parte dei dipendenti, i prigionieri inglesi trovarono alloggio, vitto, indumenti e, sopratutto, un tacito accordo fra la popolazione per un servizio di protezione ed occultamento così perfetto che, malgrado i numerosi rastrellamenti e le azioni militari fatti per catturarli, nemmeno uno di loro cadde in mano dei tedeschi.
Uno di questi prigionieri ebbe un giorno a dichiarare che, finita la guerra, la Mandria si meritava di avere un monumento di riconoscenza da loro. Purtroppo, in seguito, la sorveglianza ad i rastrellamenti da parte delle forze amate tedesche e repubblicane si intensificarono talmente che i prigionieri dovettero in massima parte cambiare zona e cercare rifugio in regioni meno battute.
Aiuti in contanti oltre quelli in natura furono dati dal Proprietario ai prigionieri per una somma complessiva di circa L. 30.000.
L'aiuto e l'assistenza dati dalla Mandria agli ex prigionieri inglesi, aveva particolare valore in quanto essi venivano dati sotto la minaccia della rappresaglia che si sapeva essere per questi motivi specialmente spietata ed inumana. Ogni aiuto dato ai prigionieri, rappresentava un grave pericolo per tutti i Mandriani, dal Proprietario ai dipendenti, ai mezzadri ed affittuari. Si ebbero denuncie, rastrellamenti che culminarono in un fatto luttuoso in cui lasciarono la vita un affittuario ed un contadino, nella notte sul 12 ottobre 1943 S.S. tedesche accompagnati da spie fasciste, compirono una battuta nella parte alta della Mandria in cerca dei prigionieri. Dopo aver rastrellato una parte della campagna e rovistato in diverse cascine, seminandovi il terrore fra i contadini, giunsero alla cascina "Bonini" dove vi uccisero l'affittuario Frisatti Michele ed il di lui garzone Druetta Giacomo, quindi incendiarono la cascina producendo un danno di circa 300.000 lire; ciò per l'accusa di aver ospitato sudditi inglesi.
* Mio Papà dava questi particolari sull’episodio.
Al sopraggiungere delle SS in piena notte, il cane della cascina, legato alla ringhiera del ballatoio, iniziò ad abbaiare insistentemente. Il garzone Giacomo dormiva in una stanzetta con una finestrella che dava sul ballatoio, all’udire i latrati si alzò dal letto affacciandosi alla finestra proprio mentre partiva una raffica per zittire il cane, l’animale e l’uomo morirono subito, Giacomo cadde nel piccolo spazio tra il letto e la finestra. Catturato il fittavolo e allontanate le altre persone della cascina, le SS procedettero alla perquisizione: entrati nella cameretta non videro il corpo del povero Giacomo ma si concentrarono sul lettuccio vuoto scomposto e ancora caldo, accusarono il fittavolo di nascondere militari nemici condannandolo a morte, lo imprigionarono nel fienile che incendiarono con le bombe a mano.

Discesi poi per uscire dal cancello della Bizzarria, anche li senza motivo aprirono il fuoco contro la casa della guardia giurata Bonardi Giuseppe la quale dovette rimanere per oltre un’ ora rinchiuso in casa sotto il fuoco dei loro fucili e bombe a mano, salvandosi per miracolo. La vedova del Frisatti fu aiutata personalmente dal Proprietario con una  somma in contanti di lire 15.000 ed una agevolazione di circa 30.000 lire sull'affitto della cascina. Del trattamento avuto nella Mandria, sia dal Proprietario che dal personaIe dirigente come pure da tutta la popolazione civile possono testimoniare tutti i prigionieri del campo dei quali diamo l'elenco:
(elenco da pubblicare)

AIUTI AGLI SBANDATI, RENITENTI, RICERCATI.

Tutta la Mandria, castello, cascine, boschi, con tutti i suoi abitanti, dal Proprietario al più umile dei dipendenti, con tutta la sua organizzazione ed i suoi mezzi, ha dato aiuto, nei limiti del possibile, sfidando i pericoli delle rappresaglie e con gravi sacrifici, ad una numerosa massa di sbandati, renitenti, ricercati politici, ecc.
* Non so se era il Natale del 43 o 44. Mia Mamma mi portò in un’ala appartata del Castello in visita a sfollati da poco arrivati e portare un po’ di conforto. Visitammo un’anziana signora (la nonna) ed una bambina un po’ più grande di me (la nipotina). Fui stupito che nel piccolo presepio che la bambina mi mostrò non c’era la Sacra Famiglia con Gesù Bambino. Mia Mamma mi “ordinò” di non parlarne in giro. Solo molto tempo dopo capii che si trattava di Ebrei ospitati clandestinamente.
La Casa padronale durante tutto il periodo clandestino ha ospitato ed aiutato le seguenti persone:
- Tenente Orlando, nipote di S. ecc. l'ex Presidente del Consiglio
- Maggiore Ernesto De Landerset
- Tenente Guido Stabile
- Tenente Anselmo Aurelio Angelini
- Dott. EdgardoSogno - Organizzazione Franchi
- Riccardo Banderali – Organizzazione Franchi (ucciso nell'aprile 45)
- Paolo Brichetto – Organizzazione Franchi (arrestato nel dicembre 44)
- Gigi Prat – Organizzazione Franchi (arrestato nel dicembre 44)
- Capitano Stallo – Organizzazione Franchi (ucciso nell' aprile 45)

Tutti i giovani dipendenti della Mandria che non si presentarono alle chiamate militari o che disertarono in seguito, furono avviati al lavoro dall'Amministrazione e pagati come i normali lavoratori. Inoltre furono sempre salvaguardati dai rastrellamenti compiuti dalle forze armate tedesche e repubblicane e malgrado l'esistenza nella Mandria di reparti militari, nessuno di questi giovani venne catturato. L’Amministrazione provvide a distribuire grano alle famiglie che avevano questi figli a carico, senza tessere e senza assegnazioni di generi alimentari in modo che il mantenimento di essi si potè effettuare senza sacrificio.
Diamo l'elenco di alcuni di questi dipendenti:
Maglietto Ermanno, Calestani Eugenio, Bernardi Mario, Bugni Giacomo, Bugni Rinaldo, Bedino Pietro, Bedino Michele, Callonego Bernardino, Cerutti Enrico, Panuello Bernardo, Cassine Filippo, Aimar Mario, Bramardi Franco.
Oltre a questi dipendenti o figli di dipendenti abitanti nella Mandria numerosissimi altri giovani sbandati e renitenti, abitanti nei dintorni ed anche paesi vicini, furono avviati clandestinamente al lavoro nella Mandria e protetti con sotterfugi e manovre di boicottaggio delle leggi repubblicane. Questi giovani vedevano nella Mandria un'ancora di salvezza, il mezzo per procurarsi il sostentamento ed un'oasi di relativa sicurezza nella quale rifugiarsi.
Per aderire alle moltissime richieste di lavoro da parte di questi giovani, l'Amministrazione decise di eseguire in proprio un lavoro di bonifica in regione lago delle Verne, che era già stato precedentemente assegnato ad un'Impresa. Formò quindi una numerosa squadra di lavoratori, formata quasi esclusivamente da giovani irregolari guidati dall'assistente Grottin Ilio abitante nella Mandria. Questi giovani furono in seguito denunciati come boscaioli e muniti di documenti bilingue per la salvaguardia dai rastrellamenti.
Ecco un'elenco di questi giovani:
Strasio Rocco, Miola Luigi, Noè Giulio, Noè Angelo, Miola Emilio, Miola Giuseppe, Miola Michele, Miola Secondo, Miola Pietro, Miola Agostino, Bonino Alfredo, Bonino Giuseppe, Bonino Giuseppe, Giannetto Carmelo, Miola Vincenzo, Bricco Giulio, Catalano Giuseppe, Rolle Carmelo, Bussone Elio, Tuberga Lorenzo, Rolle Luigi, Rolle Natale, Rolle Pietro, Bussone Mario, Manfrino Giuseppe, Calandra Antonio, Rolle Gustavo, Campana Attilio.
Molti altri giovani, occupati nelle fabbriche di materiale bellico a Torino, chiesero lavoro alla Mandria per sottrarsi al pericolo di essere inviati in Germania e per boicottare la produzione del materiale bellico.
L'Amministrazione fece di tutto per procurare lavoro anche a questi giovani operai, con essi formò delle squadre di cottimisti clandestini per l’abbattimento di piante, preparazione di scavi per nuovi impianti di alberate, sistemazione di fossi e strade, ecc.
Nell 'inverno 1945 le squadre. cottimiste del taglio dei boschi, furono formate per la maggior parte con giovani sbandati, renitenti, disertori, partigiani in licenza, operai fuggiti dalle fabbriche. Tutti questi giovani mediante false dichiarazioni, manovre burocratiche clandestine e corruzione. di funzionari furono in seguito muniti di documenti bilingue.
Diamo l'elenro di una piccola parte degli operai che possono testimoniare della verità di quanto sopra asserito:
Bricco Giulio, Pradotto Pietro, Miola Pietro, Airaudi Enrico, Chiadò Alfredo, Manfrino Giuseppe, Chiadò Paolo, Peinetti Giacomo, Chiadò Alessandro, Fanan Primo, Broglio Pietro, Vottero Luigi, Chiadò Mario, Rolle Giuseppe, Colombatto Battista, Costa Andrea, Rolle Giuseppe, Bussone Giuseppe, Amerio Giuseppe, Rumello Giorgio, Re Pietro, Remondino Giuseppe, Callio Maurizio, Soffietti Giovanni, Rocchietti Giacomo, Costa Luigi, Leone Francesco, Davico Lorenzo, Chiadò Alfredo, Azelio Zaninetti, Candera Romualdo, Rolle Candido, Re Giacomo, Riga Bartolomeo, Serra Marcello, Giunta Giovanni, Saraiba Francesco, Callio Battista, Chiadò Giuseppe.

I PRESIDI MILITARI NELLA MANDRIA

Nel mese di aprile 1944 l'Aeronautica Repubblicana mise gli occhi sulla Mandria per stabilirvi un distaccamento del campo di Venaria. Il Proprietario e l'Amministrazione opposero la massima resistenza a questa occupazione accampando difficoltà inesistenti e tentando ogni mezzo per evitare tale occupazione. Tuttavia, non fu possibile evitare la requisizione.
Il reparto occupante era un gruppo di addestramento comandato prima, dal Maggiore Micheli, poi dal Capitano Fezzet.
* Li vidi la prima volta una domenica a Messa. Arrivarono a gruppetti, in silenzio e disarmati, con una pesante uniforme grigio-azzurra, per la maggior parte erano poco più che ragazzini, sostarono a lato dei banchi “da la part dle fomne” (dalla parte delle donne) e al termine della Santa Messa se ne andarono alla chetichella così come erano venuti, col capo chino e una espressione di tristezza che contrastava col loro aspetto giovanile.
Durante la permanenza di tale reparto nella Mandria esso trovò difficoltà di ogni sorta negli alloggiamenti, nei servizi, creati ad arte dall'Amministrazione e dagli abitanti. Con l' aiuto dei civili ed a volte con le loro complicità, una trentina di avieri disertarono poco per volta portando seco armi e munizioni, ed andarono ad ingrossare ed a fortificare le squadre di partigiani che esistevano nell'interno e nei dintorni della tenuta.
Altri avieri, ufficiali e sottufficiali, conosciuti fra i più fanatici furono prelevati dai partigiani, probabilmente con l'aiuto dei civili. Durante tutto il periodo di permanenza alla Mandria questo reparto dovette sempre rimanere in stato d'allarme per le continue minacce dei partigiani che notevolmente avevano ogni facilitazione attraverso la Mandria, e nella Mandria stessa.
Malgrado però la più assidua sorveglianza il servizio di spionaggio a loro favore, e numerosi rastrellamenti, le forze armate repubblicane, pur intuendo intorno a loro la presenza e l'opera dei partigiani non riuscirono mai a conoscere i loro nascondigli, nè la loro forza nè riuscirono mai a catturarne uno.
Nel mese di settembre 1944 il gruppo dell'Aeronautca repubblicana. fu sostituito da un reparto della "Folgore". Anche questo reparto subì il boicottaggio dall'Amministrazione e della popolazione in misura maggiore che non il primo. A causa della presenza di questi reparti militari, la Mandria dovette subire un periodo quasi di terrore per i continui rastrellamenti arresti prelevamenti ecc. operati da loro.
Il giorno 28 giugno 1944, in seguito al prelevamento di due avieri ed una camionetta operato dai partigiani all'entrata della Mandria, il Magg. De Blasi eseguì un rastrellamento in grande stile nella Mandria castello e prelevò come ostaggi le seguenti persone, promettendo di fucilarle se entro 12 ore non venivano restituiti gli avieri e la camionetta:
Peroncini Carlo Direttore della tenuta, Sala Angelo Veterinario, Vagati Bernardo Guardia giurata, Bertino Mario operaio, Cosa Antonio operaio, Cicoli Enrico fattorino, Castagneri Felice operaio, Brero Francesco operaio.
Essi furono imprigionati in una lurida prigione di caserma nell'aeroporto di Venaria e trattiti peggio di volgari delinquenti. In questa occasione il Proprietario ed i componenti dell’Amministrazione si adoperarono moltissimo per ottenere la liberazione degli ostaggi. Furono presi contatti diretti coi capi partigiani che avevano compiuto il colpo e date le buone relazioni correnti fra di loro, si ottenne la restituzione della camionetta in cambio della liberazione della maggior parte degli ostaggi. Gli altri furono in seguito liberati tutti.
Un'altro rastrellamento fu compiuto dai tedeschi in seguito al prelevamento di un Maresciallo dell'aeronautica. In questa occasione venne di nuovo arrestato il Direttore Peroncini Carlo e l'elettricista Frisatto Giuseppe, condotti a Torino ed interrogati, furono in seguito rilasciati. Poco tempo dopo, ancora il Magg. De Blasi con i suoi armati compirono una nuova incursione nella Mandria e prelevarono di nuovo:
Il Direttore Peroncini Carlo. il Vice Direttore Facchini Egidio. il sig. Gioda Nino e la sig.na Petitti Luigina; accusando i primi due di aver finanziato i partigiani e gli altri di aver indotto ed aiutato la diserzione di alcuni avieri.
Furono poi rilasciati dopo alcuni giorni di prigione.
Il capo stalla Maglietto Giovanni, dipendente della Mandria fu arrestato perchè accusato di aver aiutato la diserzione del figlio Maglietto Ermanno il quale trovandosi militare in forza al campo di Venaria, disertò con altri suoi compagni portandosi via un autocarro e parecchie armi e munizioni. Fu liberato dopo una quindicina di giorni. Durante la permanenza della Folgore alla Mandria, la vita dei dipendenti e dei contadini nelle cascine divenne insopportabile. Rastrellamenti e prelevamenti, arresti, interrogatori, sparatorie e battaglie coi partigiani nei boschi, si susseguirono ininterrottamente per tutto il tempo, tenendo tutta  la popolazione sotto un incubo di terrore. Nella prigione della Mandria vi rimasero in permanenza una diecina di ostaggi presi fra la popolazione della Mandria tenuti sempre sotto la minaccia della fucilazione.
* In uno di quei rastrellamenti furono portati via la maggior parte degli uomini tra cui Ghia Giuseppe, papà del mio amico Franco. L’abitato era deserto, incombeva un’atmosfera cupa. Con Franco e sua Mamma (Fina) scendemmo in paese dove c’era solo un anziano con i baffi grigi. Franco piangeva chiedendo dove era Papà, finchè sua Mamma, angosciata per non sapere cosa rispondere, accennando al vecchio, gli disse “ma a lè col-li papà” (ma è quello li papà) Franco continuò a piangere e rispose “a lè nen vera ! védde nen che a là i barbis?” (non è vero! non vedi che ha i baffi?) .

AIUTI AI PARTIGIANI

Le formazioni partigiane ed i reparti del Corpo Volontari della Libertà trovarono sempre nella Mandria un appoggio morale e materiale ed un aiuto efficace anche nei momenti difficili:

Ospitalità:
La Mandria aprì subito i suoi cancelli alle prime formazioni di partigiani e mise a loro disposizione i suoi boschi, le sue cascine e i suoi mezzi. Moltissime squadre e molti reparti, alloggiarono nelle cascine della Mandria, vi si organizzarono e prepararono i loro colpi di mano e vi si rifugiarono nei momenti pericolosi. Quando le cascine erano pericolose per la vicinanza di reparti armati tedeschi e repubblicani, si usufruiva dei boschi che formavano un sicuro nascondiglio e nei quali nessun reparto si avventurava. Citiamo il caso della guarnigione dei carabinieri di Caselle che, per non essere avviata in Germania, disertò al completo con il Comandante Maresciallo Sola, con l'equipaggiamento completo di indumenti, armi e munizioni, accampandosi con tende nei boschi della Mandria in regione Basso Miola e vi rimase per molto tempo.

Omertà e protezione:
Malgrado tutti i rastrellamenti e le operazioni militari di polizia, compiute nella Mandria dai tedeschi e dai repubblicani per snidare e catturare i partigiani, nessuno di questi venne mai catturato nella Mandria. Una tacita intesa fra i dipendenti ed i contadini, aveva creato intorno ai partigiani una rete di informazioni e di segnalazioni tale che il minimo movimento dei reparti nemici veniva segnalato e veniva dato tempestivamente l’allarme. Non si verificò mai il più piccolo atto di spionaggio fra i Mandriani.
* Una ventina d’anni dopo la fine della guerra, Papà mi confidò di aver fatto transitare armi da casa nostra, tra cui un fucile mitragliatore. All’udire ciò Mamma andò su tutte le furie sia per averci fatto correre un gran pericolo sia per averla tenuta all’oscuro. Papà era riuscito a sfuggire alle SS, ma non alle rampogne di Mamma.

Approvvigionamenti:
I partigiani della zona fecero della Mandria il loro centro di approvvigionamento e non  trovarono mai un rifiuto anche quando i loro prelevamenti arrivarono a cifre considerevoli.
A dare un'idea dell'aiuto materiale dato ai partigiani della Mandria basta il prospetto allegato e quì riassunto:
AUTOMEZZI: Due autocarri, quattro autovetture, un motofurgoncino.
BESTIAME: otto cavalli, nove suini per kg. 780, centodiciotto bovini per kg. 33 215
CONTANTI: lire 1.500.000.
VARIE: quattro vetture, cinque finimenti completi per vettura, fieno ql. 400 circa, latte litri 6.000 circa, grano ql. 35, granoturco ql. 20, segale ql. 20, avena ql. 10, petrolio agricolo kg. 400, benzina kg.300, sei biciclette, ventisette buoni per latte, novanta coperte di lana.
SELVAGGINA: nella campagna venatoria 1944 furono lasciati cacciare solo i partigiaui nella riserva della Mandria. Si calcola che abbiano ucciso e prelevato circa 5000 fagiani, 2000 lepri e 60 cervi.

Assistenza morale: i dipendenti ed il Proprietario stesso della Mandria furono sempre in stretto contatto con le formazioni partigiane e specialmente con i capi di queste formazioni fornendo loro notizie, consigli e cognizioni pratiche nell'adempimento del loro compito ingrato. Personalità del movimento clandestino visitarono le formazioni tramite il Proprietario ed i suoi dipendenti. I partigiani si valsero del personale e dei mezzi della Mandria, per le loro comunicazioni ed il loro collegamento con i capi del movimento di Torino. Usarono a loro piacimento il telefono dell'Amministrazione. Un partigiano ferito fu operato di notte dal Dott. Marchesa Rossi di Venaria sul tavolo dell'Amministrazione della Mandria.
Per tutti questi aiuti dati ai partigiani, la Mandria dovette subire le persecuzioni e le angherie dei tedeschi e repubblicani. Questi alla fine, consideravano la Mandria come una roccaforte dei partigiani ed in tal senso esistevano rapporti presso la polizia fascista. Si parlava dei partigiani della Mandria come del gruppo più terribile della zona. Nessun repubblicano o tedesco si avventurava nella Mandria senza le adeguate misure di sicurezza. Questa convinzione radicatasi nella mente dei comandanti militari tedeschi e repubblicani, fece sì che continuamente si eseguissero operazioni militari nella Mandria e nei dintorni. Il giorno dei Santi l° novembre ’44 la popolazione della Mandria fu sorpresa in chiesa durante la celebrazione della messa da un rastrellamento compiuto da reparti tedeschi e russi; questi entrarono in chiesa e con modi inumani e senza alcun rispetto per il luogo sacro, rastrellarono gli uomini di giovane età e li riunirono in un cortile. Per fortuna, il gruppo di giovani clandestini fece in tempo a nascondersi nei nascondigli già ad essi destinati e quindi non avendo trovato nulla di anormale, i tedeschi dovettero tornarsene con le pive nel sacco.
* E’ uno dei miei ricordi più nitidi. Quel 1°novembre, festa di precetto, pioveva così forte che anche gli uomini entrarono in chiesa subito, anziché aspettare la fine della lettura del Vangelo scambiando quattro chiacchiere. Improvvisamente si sentì vociare ed un gran trambusto provenire da fuori, vennero spalancati i battenti dell’entrata centrale a cui erano appoggiati gli uomini perchè normalmente erano tenuti chiusi e si entrava in chiesa dalle porte laterali. Vidi dei soldati all’ingresso e due di questi, coperti da un unico telo mimetico per ripararsi dalla pioggia, percorsero velocemente la navata centrale con i mitra spianati e sbraitando ordini incomprensibili. Erano strani: bassi di statura, tozzi, col viso piatto e largo e gli occhi a mandorla (Si trattava di soldati mongoli dell’Armata Rossa fatti prigionieri sul fronte orientale e passati al servizio delle SS, insomma da Stalin a Hitler…..poveretti!). Era facile intuire che volevano che si sgombrasse la chiesa :”tutti fuori!” Iniziarono molto lentamente le donne coprendo il passaggio verso la sacrestia per dare il tempo ai clandestini di nascondersi. Noi bambini nei primi banchi restammo fermi impauriti, i Mongoli salirono i gradini dell’altare minacciando direttamente il Celebrante che imperterrito non aveva interrotto le preghiere, fece solo cenno ai chierichetti di andarsene, a questo punto noi bambini li seguimmo ordinatamente. Il Sacerdote (don Pia) coraggiosamente, malgrado le continue minacce, portò a termine il Sacro Rito, assistito non più dai chierichetti ma dai Mongoli col mitra spianato.
Nel mese di gennaio 1945, il Direttore Peroncini Carlo ed il Vice Direttore Facchini Egidio, furono, ancora arrestati dalla Folgore sotto un pesante fardello di accuse per connivenza ed aiuto ai partigiani. Fortunatamente messa in moto la macchina clandestina delle protezioni e rispondendo con scaltrezza ed accorgimenti alle contestazioni in interrogatorio i due seppero smontare tutte le accuse e furono rilasciati dopo pochi giorni.
* Non so quante volte mio Papà venne arrestato e trattenuto per periodi più o meno lunghi, so solo che qualche volta prese la sua dose di botte e insulti, talvolta quando veniva rilasciato, come prima cosa doveva cambiare gli occhiali perché erano rotti, per fortuna ne aveva una congrua scorta che durò anche dopo la fine della guerra (previdenza piemontese…). Raccontava che lui, quando c’erano rastrellamenti e perquisizioni, si faceva trovare ed arrestare perché sapeva di godere una certa immunità dovuta a corruzioni, protezioni, o semplici rapporti di amicizia. Agendo così evitava la cattura dei dipendenti più compromessi permettendo loro di mettersi in “sicurezza”. Solo una volta sfuggì all’arresto non facendosi trovare, lo raccontava con una velatura di rammarico. Comunque, lungi da considerarsi un eroe o un patriota, riteneva semplicemente di aver compiuto un dovere nei confronti dei dipendenti e, indirettamente, del resto della popolazione praticamente a lui affidata.
Raccontava che una delle ultime volte che venne arrestato fu imprigionato nella stalla di una cascina alle porte di Torino, all’alba si affacciò alla finestrella con inferriata che dava sul cortile, dalla parte opposta spuntò il primo raggio di sole. Un anziano contadino curvo e strascicando i piedi arrivò lentamente con uno sgabello in mano e si sedette contro il muro al primo sole di primavera, poco dopo uscì dalla casa un giovane milite della Repubblica (mio Papà lo definiva un depravato che sentiva ormai vicina la fine della sua avventura ed è l’unica volta che lo sentii usare una definizione così pesante nei confronti dei militari della RSI) questi si mise giocare con il mitra lanciandolo in aria e riprendendolo al volo finche partì una raffica che colpì il vecchio, dopo un attimo di perplessità, il milite chiamò il capoposto, presero il cadavere uno per una gamba e l’altro per l’altra e lo trascinarono fuori dal cortile nel fossato dietro la cascina.

Possono testimoniare degli aiuti avuti i seguenti capi partigiani passati ne11a Mandria e nelle vicinanze:
Capitan Tempesta (Gino Castagneris) della 2° Div. Garibaldi, Guido Biaret; della 2° Div. Garibaldi, Beppe Gosti (diavolo rosso) 46° Brigata Garibaldi, il Commissario Politico Barba del comando bassa valle, Mario Forieri 19° Brigata Garibaldi, Rolandino Lino comandante 19° Brigata Garibaldi, Fino di Caselle, Tonino di Varisella, Renato comandante la V div. alpina G.L., Adriano comandante brigata della V div. alpina G.L., Carletto commissario politico della V divisione G.L., Cirillo comandante della prima colonna G.Lera, Mario Castagna comandante III divisione Garibaldi Val di Susa, Piero Piero comandante della divisione Davito, Vigin comandante la 46° brigata Garibaldi, Biondi ispettore delle formazioni S.A.P. Valli di Lanzo.

Nella Mandria fu costituito ed organizzato un gruppo partigiano delle formazioni autonome piemontesi denominato gruppo "Avio" formato da una cinquantina di ufficiali e sottufficiali dell’Aeronautica comandato da Gianguido (Egidio Facchini) Vice Direttore della Mandria. Questo gruppo fu completamente finanziato dal Marchese Medici del Vascello. Alleghiamo la relazione sull'attività svolta da questo gruppo:

BOICOTTAGGIO ALLE REQUISIZIONI ED ALLE FORNITURE MILITARI TEDESCHE E REPUBBLICANE

A tutte le requisizioni militari di qualunque genere, la Mandria oppose sempre la massima resistenza e adoperando pericolosi sotterfugi e costose corruzioni, riuscì a ridurre ad una quantità insignificante il materiale consegnato alle forze armate tedesche e repubblicane.
AUTOMEZZI: su una ventina di automezzi posseduti dall'Amministrazione della Mandria 6 sono stati ceduti ai partigiani e nemmeno uno alle forze armate nazifasciste.
TRATTORI: su 10 trattori posseduti uno solo è stato requisito dai tedeschi. Prima di consegnarlo però è stato ridotto inservibile in modo che esso è rimasto in una officina di Torino fino alla liberazione e quindi recuperato dal proprietario.
CAVALLI: i cavalli della Mandria, circa una sessantina, furono richiesti parecchie volte dai tedeschi per la precettazione, visite, revisioni o requisizioni. Ogni volta l'Amministrazione riuscì a sottrarli tutti o in massima parte alla vista dei tedeschi, manomettendo le schede comunali, omettendo le denuncie e corrompendo i funzionari addetti alle requisizioni. Quando non si poteva sottrarre tutti i cavalli alla visita dei tedeschi si nascondevano i migliori e si presentavano al loro posto dei brocchi senza valore. Alla fine il risultato di tutte queste manovre clandestine fu che solo tre cavalli caddero in mano ai tedeschi.
BOVINI: nella campagna 43-44 per effetto del blocco del 35% di bestiame bovino da consegnare all’ammasso la Mandria doveva consegnare un totale di ql. 596.64 di peso vivo. Questo bestiame poteva essere consegnato ai raduni oppure venduto ai macellai mediante cartolina mod. 5b. Poichè il bestiame consegnato ai raduni andava in parte alle forze armate tedesche e repubblicane, mentre quello venduto con cartolina andava alla popolazione civile, l'Amministrazione si preoccupò di consegnare il meno possibile ai raduni. Iniziò così una serie di proteste esposti, relazioni all'ente Economico della Zootecnia, presi accordi con il comune di Venaria per la fornitura di carne agli ammalati condusse manovre clandestine, con comandanti partigiani, in modo che alla fine il bestiame risultò consegnato come segue: ai raduni ql. 54,10, venduto con cartoline mod. 5b ql. 199.97, consegnato ai partigiani (riconosciuta dalla Zootecnia) ql. 336,10.
LEGNA DA ARDERE: in pieno accordo con il Commissario dell'ufficio Combustibili Solidi, fu sabotata in pieno la fornitura della legna alle forze armate tedesche e repubblicane. In primo luogo si fece si che non venissero emessi buoni di legna sulla Mandria per le forze armate adducendo pretèsti falsi che la legna della Mandria non poteva essere data a portata di .camion che era di essenza cattiva che i boschi della Mandria erano pericolosi per loro, ecc.
Poi si ottenne dal Prefetto un'ordinanza in cui veniva disposto che la legna della Mandria doveva essere tutta riservata alla popolazione civile di Torino. Le forze armate allora vennero qualche volta alla Mandria a prelevare legna con la forza senza buoni. Ciò servì di pretesto per far presente alle autorità che se ciò fosse continuato l'Amministrazione della Mandria non poteva più garantire la produzione della legna che tanto stava loro a cuore, per cui le autorità stesse si affrettarono a far cessare questo sopruso. In conclusione su circa 100 mila quintali di legna prodotta solo 500 ql. circa furono consegnati alle forze armate.
LEGNAME DA LAVORO: la grande quantità di legname da lavoro esistente nei boschi della Mandria e la considerevole produzione di esso imposta dalla necessità di abbattere piante di alto fusto per procurare legna da ardere, avrebbe fatto certamente gola ai tedeschi che avevano tanto bisogno di questo materiale, e si sarebbero certamente buttati su di esso a requisire se ne avessero conosciuta l'esistenza. L'Amministrazione si preoccupò in modo particolare di tenere celato questo tesoro, ed in pieno accordo con il Commissario del'U.C.S. stabilì che a costo di qualunque sacrificio, non un mc. di legname doveva essere consegnato ai tedeschi.
Un ordine del Prefetto di preparare 400 mc. di legname per i tedeschi non fu preso in considerazione dall'Amministrazione della Mandria e non sé ne fece niente. Un secondo ordine della Prefettura di preparare 200 mc. di puntelli per il Comando tedesco ebbe la stessa sorte, infine l'ordine perentorio del Comando tedesco di consegnare 700 mc. di legname per la costruzione di un ponte sulla Stura, mise l'Amministrazione della Mandria in serio imbarazzo ma alla fine con tergiversazioni di ogni genere corrompendo i funzionari addetti a questo ramo, accampando difficoltà inesistenti si riuscì a vincere anche questa battaglia e nemmeno un mc. di legname fu consegnato.

LA LIBERAZIONE LE BASI PER IL NUOVO INDIRIZZO

*  Il 16 marzo del 45, nacque mia sorella Maria Luisa. Per motivi di salute, mia Mamma era ricoverata in maternità a Torino. Risolti i problemi post parto, Papà organizzò il suo rientro, ottenendo in prestito una vecchia Balilla. Ricordo solo il rientro da Torino a sera inoltrata, mi pare che piovesse, arrivati in prossimità di Venaria, forse ad Altessano, la strada era in parte interrotta dal fosso di un posto di blocco, un armato era di guardia e mio Papà diede le sue generalità, poco dopo dalla vicina osteria uscì un altro armato, guardò nella macchina e poi disse “ma certo che Peroncini può passare” e noi proseguimmo. Mi sono sempre chiesto chi erano quelli del posto di blocco: dalle uniformi, che ricordo vagamente cachi e piuttosto “borghesi”, direi Partigiani, ma mi sembra improbabile perché eravamo solo ai primi di aprile.
Dei giorni della Liberazione ricordo solo:
- il ritrovato clima di serenità;
- l’arrivo di un Alpino con una coccarda Tricolore sulla giubba;
- la distruzione di una partita di munizioni con l’impiego dell’esplosivo in improvvisati fuochi d’artificio;
- un’automobile nera con a bordo dei borghesi ben vestiti ma armati di mitra che vennero a casa mia a parlare con mio Papà ma si fermarono pochissimo;
- il Tricolore sul “ciochè” (campanile) che vedevo dalla finestra di casa mia e per me era una piacevole novità.

L'insurrezione del 26 aprile trovò la Mandria pronta a sostenere 1’ultima battaglia. Il comitato che aveva fino allora agito clandestinamente, si rivelò e prese posizione. Esso risultò formato dai seguenti dipendenti della Mandria:
Facchini Egidio Vice Direttore, Sala Angelo medico veterinario, Capitelli Giuseppe Geometra impresario, Ghia Giuseppe Capo Guardia, Dematteis Eligio guardia boschi, Montagna Pietro guardia boschi.
Questo comitato di liberazione periferico aziendale fu subito riconosciuto dal C.L.N. di Torino con un voto di plauso per l'opera svolta durante tutto il periodo clandestino. I primi atti del Comitato di Liberazione Aziendale furono: la rinnovazione della Commissione interna eletta con votazioni regolari dai dipendenti, la costituzione di uno spaccio aziendale in sostituzione di un negozio commestibili che aveva per solo scopo la speculazione. Inoltre si buttarono le basi per lo studio di un'organizzazione cooperativistica nella gestione della Mandria.

C.P.

VISTO
Si dichiara che quanto soprascritto e dichiarato, corrisponde effettivamente a realtà accertata da questo C.L.N.
Venaria, 18 agosto 1945

IL PRESIDENTE
IL COMITATO DI LIBERAZIONE DI VENARIA
(Francesco Caramellino)


Veduta della Mandria (foto dell'epoca)

Continuano i ricordi di Giuseppe Peroncini:

POST LIBERAZIONE
- Mia Mamma aveva dato asilo alla giovane moglie di un graduato dell’Aeronautica Repubblicana imprigionato con altri suoi commilitoni. Questa donna, con una bambina della mia età, a suo tempo, aveva raggiunto il marito di guarnigione all’aeroporto di Venaria ed ora si trovava sola ed angosciata in un ambiente ostile. Mia Mamma, non so come, era venuta a conoscenza della precaria situazione e l’aveva fatta venire a casa nostra: alloggiava con noi ed ogni tanto andava a trovare il marito portandogli da mangiare. Un giorno arrivò da Venaria una delegazione di 4 o 5 donne di non so quale comitato, a protestare da mia Mamma rimproverandola di aver dato asilo alla moglie di un “repubblichino”. Ma mia Mamma rispose prontamente che per due anni aveva protetto e rifocillato Partigiani, clandestini, e aiutato le loro famiglie, ora riteneva giusto “giutè édco j’ àutri” (aiutare anche quegli altri) e loro andassero pure a “cantè ant ‘n àutr-a cort” (cantare in un altro cortile) liquidando rapidamente la questione. Qualche tempo dopo, l’Aviere venne liberato e con la famiglia ritornò a casa (Perugia).

- A La Mandria c’erano l’asilo e le scuole elementari parificate, finanziate dalla Proprietà e gestite dalle Suore del Cottolengo. Io ero uno dei “capoclasse” dell’asilo (i più grandi) però ero anche disubbidiente e dispettoso: infatti, malgrado i ripetuti richiami e rimproveri, tutte le volte che veniva qualcuno in aula e bisognava dare “l’attenti”, io non facevo il saluto romano, non perché avevo influenze…antifasciste…ma semplicemente per fare dispetto alla Suora (Agnese o Enrica) ! Venne la Liberazione e l’asilo fu liberato dal saluto romano:”da oggi non si alza più la mano, si dice solo: attenti! Capito Geppe ?” Qualche giorno dopo venne una commissione del CLN di Venaria. Come entrarono nell’aula diedi “l’attenti” e mi esibii in un perfetto saluto romano, con gran “gioia” della Suora che se la vide brutta.


Foto del giovane Giuseppe Peroncini

- Arrivò, poi, un reparto d’occupazione: erano Sudafricani inquadrati nell’Esercito Inglese. Si accamparono nei dintorni e lungo il Viale dei Pini vicino a casa mia, con una mia Zia (Maria) andammo lungo il viale alla ricerca di caffè di contrabbando che non trovammo, mi stupii molto che insieme ai militari ci fossero anche dei ragazzini provenienti dal Meridione. Lungo il percorso da casa mia alle scuole, c’era la cucina dei sottufficiali:quando preparavano le razioni, noi bambini aspettavamo pazientemente gli scarti che poi ci consegnavano e noi rosicchiavamo in particolare le croste di formaggio, onestamente non era tanto per la fame quanto per la novità. Ogni tanto riuscivamo a sgraffignare qualche cioccolata che un soldato, sempre alla medesima ora, contava trasferendo le razioni dagli imballi a dei contenitori di latta di recupero, noi stavamo nascosti pazientemente sotto un autocarro: quando l’addetto si allontanava facevamo la razzia e ci nascondevamo di nuovo, lui ritornando dava un’occhiata alle latte e ricontava le razioni aggiungendo il “mancante” guardandosi intorno e fingendo di non vederci: generosità Britannica! Probabilmente le cioccolate ce le avrebbe date lui se le avessimo chieste, ma era più avventuroso rubacchiarle. C’erano anche alcuni soldati di colore accampati nei recinti del cortile del “ciochè” proprio in mezzo all’abitato. Ogni tanto qualcuno era legato ad un albero: correva voce che avevano la proibizione di guardare le donne e i bambini, avevano un’aria triste e dimessa e a noi bambini, passato lo stupore della novità, facevano più pena che paura, e poi, se erano così pericolosi per donne e bambini, perché li avevano fatti accampare proprio in mezzo all’abitato?
Un ragazzo, più grande di me, mi regalò una bomba a mano vuota. Andavo fiero “dell’arma” che tenevo nella tasca dei pantaloncini, era metà rossa e metà argento, solo che era troppo grossa e spuntava fuori dalla tasca, così tutti i momenti c’era qualche militare che mi fermava e svitava la bomba per controllare. Per un po’ la cosa mi divertì, poi mi stufai e la regalai ad un altro bambino.
Il giorno stesso del loro arrivo, un buon numero di soldati bianchi e neri vennero comandati a scavare un’enorme fossa nel prato a destra della “rampa ciochè”. Tutti si chiedevano a quale scopo, un po’ preoccupati perché quel prato era usato come campetto di calcio, anche se era un po’ pendente. Naturalmente, col progredire dello scavo, si formò una collinetta di terra che poi venne adeguatamente battuta per consolidarla. Le ipotesi erano numerose: un laghetto? Fondamenta per una costruzione? Tampa per i rifiuti? Ci fu anche chi lugubremente ipotizzò un cimitero! Il mistero tenne occupati e preoccupati un po’ tutti, finche alcuni giorni dopo assistemmo ad una scena stupefacente: un soldato armato di tutto punto con zaino ed elmetto continuava a correre su e giù dalla collinetta alla cui base un sottufficiale impettito e col frustino sotto il braccio contava ad alta voce salite e discese. Il malcapitato era un portaordini motociclista che aveva usato il suo mezzo per andare a vedere il Lago Grande (un paio di chilometri dal Viale dei Pini). Molti anni dopo vidi la stessa scena in un film intitolato “La collina del disonore”.

- Già nell’estate del ’45, pur nella precarietà economica (ricordo vagamente le"am-lire") si procedeva alla stabilizzazione, proiettati al futuro più che alle “rese dei conti”. Papà fu mandato al Sud per ripristinare i contatti con le altre aziende agricole della proprietà; suppongo per scambio di derrate, sementi e quant’altro. Viaggiava sul rabberciato furgoncino 1100 grigio. Raccontava che in prossimità di Napoli, su un muro diroccato in mezzo alle macerie, lo colpì una scritta nuova di zecca W I BORBONI. Lungo una sterrata in Calabria, mentre stava per affrontare l’ultima salita che lo avrebbe portato ad un paesino arroccato sull’appennino calabro-lucano, meta della giornata, prestò soccorso ad un poveretto sfinito dalla fatica e dalla fame, che giaceva supino sul bordo della carreggiata, l’ultimo pasto risaliva alla mattina del giorno precedente: una fetta di pane secco ed una cipolla, dai miseri indumenti grigioverdi ed un logore tascapane ormai vuoto, doveva trattarsi di un reduce che tentava di congiungersi ai familiari.


Foto del Papà di Giuseppe in divisa da Ufficiale di Cavalleria

Nel risalire al Nord trovò intorno a Roma difficoltà per i continui posti di blocco: Polizia Partigiana, Regi Carabinieri, M.P. Americani, ecc., tutti avevano la caratteristica comune di essere facilmente “influenzabili” con qualche regalo (soldi, alimentari, sigarette, carburante, ecc.) se poi il regalo era di una certa consistenza, erano anche disposti ad indicare i percorsi per evitare i successivi posti di blocco. A settembre partecipai anche io ad una spedizione in Valtellina con Papà e il Dotorin (Sala Angelo, veterinario). Non so per quale miracolo mia Mamma mi lasciò andare! Si trattava di prendere in consegna alcune pecore di una particolare razza, probabilmente per iniziarne l’allevamento. Arrivammo che tutto era già predisposto e alloggiammo nell’osteria per ripartire con il carico il giorno dopo; a cena l’Ostessa ci trattò con tutti i riguardi: tagliatelle con i funghi porcini appena raccolti! Nel locale notai alcuni uomini confabulare con l’Ostessa che poi chiamò Papà in disparte. Ormai era quasi buio ed andammo a dormire su un dignitoso pagliericcio. Il risveglio per me fu tragico: era buio pesto, Papà diceva che dovevamo passare per Milano prima delle sei, le pecore (una mezza dozzina) erano già nel furgoncino attrezzato con uno strato di paglia fresca, con Papà e il Dotorin c’era un giovanotto alto e magro infagottato in abiti troppo larghi e con una valigetta di cartone in mano, sarebbe venuto con noi e temetti che sarebbe toccato a me viaggiare con le pecore! Invece fecero salire lui dietro con le pecore, raccomandandogli di stare all’angolo più interno. Si trattava di uno studente universitario, già milite della Guardia Nazionale Repubblicana, che doveva recarsi a Milano per dare gli esami, essendo sprovvisto di documenti non compromettenti temeva che se avesse usato mezzi pubblici (treno o corriera) non gli sarebbe riuscito di sfuggire agli inevitabili controlli. C’erano ancora posti di blocco attorno a Milano, ma Papà e il Dotorin fidavano del buio e, probabilmente della tessera del CLN del Dotorin. L’unico posto di blocco lo trovammo alle porte di Milano ma non ci controllarono; arrivati in città ci fermammo all’angolo buio di una piazza, lo studente scese, ci salutò e furtivamente si infilò in un portoncino lì vicino. Puzzava maledettamente di pecora e mi sono sempre chiesto come l’avranno presa i professori che lo esaminarono. Quando lo raccontai a mia Mamma, lei non sapeva se prendersela di più con Papà o con il Dotorin: “La guerra è finita! Possibile che non potete fare a meno di rischiare grane per aiutare chiunque vi capiti?” poi probabilmente si ricordò del Comitato Donne di Venaria e lasciò perdere…

- A ottobre del 45 andai in prima elementare. Come altri miei compagni avevo un grembiulino nero nuovo: era ricavato dalla camicia nera di mio Papà.

AVVERTENZA FINALE
Ho scavato nella memoria cercando di ricostruire fatti e ricordare racconti di quasi sessantacinque anni fa, certamente ci sono imprecisioni ed errori di interpretazione, questi sono limiti notevoli, dovuti alla troppo giovane età di quando li ho vissuti.

Torino, Maggio 2008
Giuseppe Peroncini