4/8 gennaio 1944 Dal 4 all'8 gennaio i rastrellamenti si spostano verso la Valle di Lanzo con una poderosa offensiva. Le forze partigiane benché male armate e con un numero di uomini non sufficientemente addestrati, contrastano l'attaccante con combattimenti e scontri in varie località.
6 gennaio 1944 Un distaccamento partigiano attacca due camion di « SS » tedesche infliggendo al nemico la perdita di alcuni uomini e costringendo gli altri alla fuga. Purtroppo cade in combattimento il garibaldino Menna Francesco di anni 22 da Salerno.
Dopo poche ore i nemici ritornano a Traves con rinforzi: sono militi delle Brigate Nere con nazisti. Nel rastrellamento catturano Vottero Prina Giacomo, di anni 61 e i figli Guido, di anni 28 e Giulio, di anni 18; Pocchiola Giuseppe, da Traves; Boschiassi Vin¬cenzo e Cravero Carlo da Caselle. Il comandante Rigola viene inseguito, ferito ma sfugge alla cattura. Dopo averli seviziati rendendoli quasi írriconoscibili, li fucilano verso le ore 18 sulla strada che da Traves bassa conduce a Pessinetto.
Alla donna cui hanno ucciso il marito e i due figli incendiano la casa. Altre case vengono saccheggiate e incendiate. Poi catturano ancora Pocchiola Ignazio, di anni 61, deportandolo a Mauthausen. dove morirà l'8 settembre. Nel frattempo una squadra della 19' Brigata con il comandante «Rolandino» in missione si scontra con truppe nemiche e sostiene un furioso attacco. Il garibaldino Barberis Carlo, di anni 22, da Borgaro non riesce a sottrarsi all'accerchiamento, viene catturato ferito e trucidato presso il ponte di Germagnano. All'indomani fucilano a Ciriè il garibaldino Messina Gaetano, di anni 18, da Torino, catturato in rastrellamento.
13 gennaio 1944 Parte da Torino un convoglio destinato a Mauthausen con 50 deportati.

Inizia il campionato di calcio della I zona, limitato a Piemonte e Liguria, vi partecipano con Torino e Juventus, altre 7 squadre.

18 gennaio 1944 I nazifascisti ritornano a Traves e vengono nuovamente attaccati subendo la perdita di trenta uomini. Per rappresaglia uccidono il civile Sartoris Nícolao. Dopo sparatorie e saccheggi incendiano tutte le case distruggendo quasi completamente il piccolo paese per punire la gente che aveva dato aiuto ai partigiani. Lo stesso giorno si svolgono accaniti combattimenti a Roc Bertone e più volte i nazisti vengono respinti, ma di fronte alle preponderanti forze i garibaldini sono costretti a ripiegare. Il garibaldino Villata Giovanni in un posto avanzato da lui scelto, ricevuto l'ordine di ripiegamento, si attarda per permettere ai compagni di raggiungere con più sicurezza una nuova posizione. Durante quest'azione personale viene colpito a morte.
Nello stesso combattimento il garibaldino Morando Ruggero rìmasto ferito resta al suo posto continuando a combattere e non potendo essere trasportato incita i compagni a porsi in salvo. Rifugiatosi poi in una baíta viene sorpreso e bruciato vivo.

Mezzenile, i tedeschi incendiano e saccheggiano le abitazioni.

A Valperga muore Sormani Italo Michele di anni 34, celibe, funzionario d'assicurazione, nato a Leggiuno Sangiano (Varese). Viene ucciso con un colpo di pistola al ventre mentre percorre in bicicletta la provinciale Salassa - Valperga, nei pressi del passaggio a livello. Non si conoscono le motivazioni di questa esecuzione, né chi l'abbia eseguita.

24 gennaio 1944 Torino, cinque detenuti politici sono uccisi in via Sacchi per rappresaglia.
 febbraio 1944 In febbraio i rastrellamenti sì spostano verso la Valle di Aosta, sulla Serra di Ivrea e in Valle dell'Elvo. La mattina dell'8 i nazifascisti effettuano un rastrellamento in regione Vernej attaccando con più di mille unità quaranta partigiani che, malgrado le poche armi, riescono ad infliggere alcune perdite al nemico e a sfuggire dopo scontri frammentari. Il rastrellamento dura parecchi giorni e costringe le forze partigiane a continui spostamenti e all'occultamento nella neve.
 11 febbraio 1944 Militi della Guardia Nazionale Repubblicana compiono un rastrellamento a San Maurizio Canavese e prelevano il segretario comunale Savarro Carlo, dì anni 47, il gerente del Bar della Stazione, Berta Guido, di anni 42 e il postino Zoldan Giovanni, di anni 51 e pretendono notizie sui ribelli. Al loro rifiuto li uccidono.
18 febbraio 1944 Parte da Torino un altro convoglio, destinato a Mauthausen, con 122 deportati.
20 febbraio 1944

24 febbraio 1944

 

26 febbraio 1944

Una puntata fascista  investe la zona di Caluso dove fucilano il partigiano Moretto Pietro.

Il 24 ritornano a Castellamonte per un altro rastrellamento. Una pattuglia in perlustrazione alla fra¬zione Campo ferisce il partigiano Gorbella Giovanni, di anni 19 del Gruppo « Sale »; morirà alcuni giorni dopo.

Il 26 in uno scontro a fuoco muore il garibaldino Bollino Luigì, di anni 19.
Per vari giorni automezzi carichi di fascisti percorrono la pianura cantando i loro inni di morte e terrorizzando la popolazione.

1/2 marzo 1944 Nelle fabbriche torinesi e del nord Italia inizia uno sciopero generale che durerà una settimana. Un’azione di sabotaggio blocca il trenino Rivoli-Torino. Anche a Giaveno e Coazze, con posti di blocco, i partigiani impediscono il trasferimento dei pendolari verso la pianura. Nelle valli di Lanzo si sviluppa una vasta azione di propaganda con comizi e volantinaggi. Il 2 marzo è sospeso il servizio ferroviario Torino-Ceres. Scioperi si registrano anche in provincia: a Rivoli e nelle fabbriche della Valle Sangone l’attività è bloccata per quattro giorni.

Druento, viene ucciso dai partigiani il pugile Michele Bonaglia, militante del Pfr.

Il 2 marzo giunge a Cuorgné proveniente da Aosta un battaglione di camicie nere della Guardia Nazionale Repubblicana, al comando del console della Milizia cap. Tancredi e del ten. Porcù. Subito mettono in atto persecuzioni contro i familiari dei partigiani sottoponendoli ad interrogatori e minacce. Tengono il paese sotto l'incubo di dure rappresaglie. Lo stesso giorno dell'arrivo, nel pomeriggio, iniziano un rastrellamento a Pont piazzando mitragliatrici alla periferia e al centro. Catturano alla stazione due partigiani ex ufficiali dell'Esercito che fanno parte del Gruppo che si trova a Ribordone. Arrestano anche parecchi civili. Il piccolo Gruppo di Pont, che fa capo al cap. Mario Roscio e a suo fratello Edoardo, consistente in una ventina di uomini con esiguo armamento, sfugge alla cattura rifugiandosi al Castellazzo. Nella notte dal 2 al 3 i fascisti si dirigono a Sparone guidati da un milite della Guardia Forestale, che era stato fermato alcuni giorni prima dai partigiani e, dopo un interrogatorio era stato rilasciato. All'alba i militi della G.N.R. spingendo avanti alcuni civili di Sparone, si avviano a Ribordone alla ricerca dei ribelli. Il Gruppo che si trova al Santuario di Prascundù è in via di organizzazione ed è composto da una trentina di uomini, in maggioranza disarmati, che hanno il compito di sorvegliare alcuni depositi.
Dal modo in cui è condotto il rastrellamento è chiaro che il ne¬mico conosce l'esatta díslocazione e l'entità del Gruppo. Risulta evidente l'opera di infiltrati.
Colti di sorpresa vengono catturati senza potersi quasi difendere dieci partigiani di cui tre rimasti feriti nella sparatoria, mentre gli altri, che si trovano dislocati più in alto, riescono a porsi in salvo. Cadono nelle mani del nemico anche tutti i magazzini. I fascisti incendiano alcune case. I prigionieri vengono tradotti al presidio di Cuorgné, poi trasferiti alle Carceri Nuove di Torino e una parte inviati in Germania. I feriti sono trasportati all'Ospedale Civile di Cuorgné e piantonati in attesa di deciderne la sorte. Alla sera i fascisti festeggiano sulla piazza la vittoria inneggiando al Duce e alla Milizia. Nel frattempo il « Diavolo Nero » e alcuni partigiani, eludendo i posti di blocco, con un'audace azione, penetrano in città, entrano all'ospedale, liberano 1 i feriti catturando i piantoni di guardia. La notizia ha enorme ripercussione sull'opinione pubblica, che ammira il coraggio e l'audacia dei partigiani. La liberazione dei feriti suscita commenti di entusiasmo. Si parla del « Diavolo Nero » come di un eroe leggendario. Egli, infatti gira da più mesi il Canavese con un motofurgoncino facendosi beffe dei fascisti, compiendo disarmi e seminando il panico nelle loro file. In seguito a questa azione, il comando della Milizia anticipa il coprifuoco.

3 marzo 1944

 

 

 

 

 

4 marzo 1944

Un gruppo di partigiani a Nole si scontra con automezzi carichi di truppe tedesche provenienti da Torino che iniziano a sparare. Ne nasce un violento combattimento, i partigiani passano al contrattacco per tre volte. Cadono colpiti a morte il comandante «Girardi» (Cap. Elio Broganelli), di anni 30, da Jesí e i garibaldini Carpegna Dario, di anni 25 da Torino, Tassera Marcello di anni 32 da Pessinetto; altri sette rimangono feriti. Anche i nazisti subiscono perdite. I feriti in modo più grave vengono portati in salvo e ricoverati all'ospedale di Lanzo. Il paese nel frattempo è invaso da un enorme contingente di truppe che si accinge a rastrellare tutta la zona. Su delazione i nemici giungono all'ospedale ed intimano ad un dottore di indicare i ribelli, ma egli si rifiuta. Si rivolgono allora alla suora superiora con la promessa che non sarebbe accaduto nulla ai feriti. La suora ne indica quattro senza accennare a Capriolo che assiste impotente alla cattura dei compagni.

Iniziano le prime angherie  dei fascisti della Repubblica di Salò. Ai Trucchi, militi repubblicani svaligiano tre case: quella di Cima Pietro che denuncia al Podestà di essere stato derubato di una catenella d'oro, di un anello d'oro, della vera matrimoniale, di una spilla, di un paio di orecchini ed altro; la casa di Capron Maria vedova Bellino, la quale denuncia un lungo elenco di oggetti asportati per un valore di oltre 12.500 Lire; stessa sorte  tocca alla casa di Bellino Agnese in Orso, la quale denuncia di essere stata derubata di oggetti per un valore di oltre 12.000 Lire.

5 marzo 1944

Scade il termine di presentazione ai distretti militari dei giovani delle classi 1924/1925. Pochissimi obbediscono al bando, la maggior parte raggiunge le formazioni partigiane.
Il Movimento partigiano andrà sempre più sviluppandosi ed organizzandosi in formazioni armate che, nella nostra zona, verranno  così definite:
VI° Divisione Alpina Canavesana "G.L."(Giustizia Libertà) al comando di Gino Viano (Bellandy), di ispirazione azionista (Partito d'Azione).
IV Divisione "Garibaldi" al comando di Giovanni Picat Re (Perotti), di ispirazione comunista.
Divisione Matteotti al comando di Piero Rossi, di ispirazione socialista.
VIII Divisione Autonoma Vall'Orco al comando di Giovanni Massucco (Casella/Cavalcanti) di ispirazione democristiana.

Valli di Lanzo, i tedeschi reagiscono alle agitazioni dei giorni precedenti con incursioni nei comuni di Monasterolo, Coassolo, Mezzenile, Pessinetto. A  Coassolo uccidono i garibaldini: Berta Giacomo di anni 43 in località Grata; Corziatto Giovanni di anni 29 in regione Banche; Savant Aleina Giovanni di anni 28 sulla strada per Coassolo e la civile Calza Maddalena mentre lavorava sul proprio campo.

Il primo scontro a fuoco e Valperga ha il primo caduto partigiano. Un reparto di camicie nere della G.N.R.(Guardia Nazionale Repubblicana) si scontra con una squadra d'azione del "Diavolo Nero". Nella sparatoria perde la vita, in Via Verdi, il partigiano Gianni Micheletto di anni 22, di Feletto, e rimane ferito il leggendario "Diavolo Nero" che riesce comunque a sfuggire alla cattura ponendosi in salvo con i compagni, dopo aver recuperato le armi del compagno caduto e quelle di tre fascisti rimasti sul terreno. Il "Diavolo Nero" (Mario Costa) è uno dei primi organizzatori, assieme a "Bellandy" (il tenente degli alpini Luigi Viano) di una banda armata che ha la prima base a Feletto, base che sarà poi trasferita a Piandane.(Piandane diventerà una base storica della "Gielle")  Questa banda armata sarà l'ossatura della futura VI Divisione "G.L.". Il "Diavolo Nero" è una leggenda. Egli infatti percorre il Canavese con un motofurgoncino militare, facendosi beffe dei fascisti, compiendo azioni spericolate e seminando il panico nelle loro file. Il "Diavolo Nero" verrà ucciso a Torino in un'imboscata tesagli da camicie nere della G.N.R.. L'imboscata avvenne a seguito delazione di una spia che lo aveva riconosciuto. Pare che questa spia fosse di Valperga e che per questa delazione sia stata giustiziata dai partigiani.

Il rastrellamento in zona Cudine e Corio dove cadono il giorno 5 i garibaldini Arbezzano Nicolino, di anni 19 da Mathí, Chíaddò Caponet Pietro di anni 22; Vietti Domenico, di anni 39 e all'indomani Salot Giovanni, di anni 42, tutti della 18a Brigata e i civili Chiadò Fiorío Tin Antonio e Papurello Frer Michele.
Altre truppe giungono a Rocca Canavese e uccidono in strada Vallossera i garibaldini Bettas Begalin Giovanni, di anni 21 e Baima Michele, di anni 15 che, catturato ferito ad una gamba, viene ucciso con un colpo di pistola alla fronte.

6 marzo 1944 Rriprendono i rastrellamenti con puntate in Valle Sacra. Truppe si dirigono a Sale Castelnuovo (Castelnuovo Nigra) dove vi è la base di « Piero Rossi » e « Aldo Lenzi ». Il Gruppo, che è stato diviso in piccole squadre, di cui alcune sono in pianura, si trova con effettivi ridotti e poche armi. Accettare il combattimento in queste condizioni significa la perdita quasi certa degli uomini e il rischio che il paese venga incendiato per rappresaglia. Prima che avvenga l'accerchiamento le squadre si sganciano portandosi in alto verso i monti. Rimangono sul posto, occultati in una casa e disarmati, i partigiani  Colzani Livio (Livio), da Seregno e Berone Flavio (Flavío), di anni 19, da Rivarolo, che convalescente da un intervento operatorio non è in grado di muoversi. «Livío» è rimasto con lui per poterlo aiutare e con la speranza di portarlo in salvo quando giun 'aerà la notte, se le truppe allenteranno la sorveglianza. Su delazione « Livio » e « Flavio » vengono catturati.
Vengono fucilati contro il muro della chiesa.

Durante un'imboscata ad un autocarro tedesco nei pressi della frazione Bettolino (Baldissero Canavese) il 6 marzo, resta ucciso il partigiano Binando Giuseppe, di anni 20, da San Giorgio Canavese, appartenente al Gruppo « Sale », futura « III Matteotti ».

7 marzo 1944 Il 7, due colonne corazzate appoggiate da artiglieria e aerei Stukas e Cicogna muovono verso le valli con una forza complessiva di tremila unità. Le forze partigiane che assommano a circa cinquecento uomini, ma di cui quasi la metà sono disarmati e la maggior parte giovani non sufficientemente addestrati, affrontano coraggiosamente il nemico. Combattimenti e scontri divampano ovunque. A Pessinetto gli aerei mitragliano il paese incendiando parecchie case. Eroica la Resistenza a Mezzenile dove i nazifascisti sono più volte respinti. Spezzata la prima linea avanzano con circospezione e trovano sul suo percorso a Bogliano una mitraglia su cui sta appoggiato il garibaldino « Morgan » (comandante Tavanti Enzo) che, dopo cinque ore dì fuoco in postazione avanzata ha protetto da solo il ripiegamento dei compagni. Il corpo è crivellato di colpi e schegge; il comandante tedesco ammirato di tale comportamento, ordina di presentare le armi al Caduto.
10 marzo 1944

 

 

12 marzo 1944

Militi della Guardia Nazionale Repubblicana effettuano rastrellamenti in Valle Sacra e a Pont Canavese. Alla frazione Filia di Castellamonte catturano due partigiani e dopo percosse e sevizie li traducono alle Carceri Nuove di Torino. A Pont, dopo una notte di torture alla caserma dei carabinieri, fucilano fuori al Cimitero i partigiani Configliacco Bausano Giovanni, di anni 19, da Pont e Garlero Vittorio, da Trino Vercellese.

Due garibaldini mentre si recano in missione su una motocicletta si scontrano con una pattuglia nemica presso Rivarolo. Nella sparatoria riescono a colpire due repubblichini, ma restano a loro volta feriti e vengono catturati. Tradotti a Torino, Salato Giovanni, di anni 22, da Busano muore il giorno 16 in seguito alle gravi ferite. Il suo compagno Igonetti Giuseppe, di anni 22, anche lui da Busano verrà fucilato il 2 aprile in via Morghen a Torino con i partigiani: Binelli Domenico, Calligaris Angelico, Cane Domenico e Conti Ferdinando.

15  marzo 1944 Altri combattimentí infuriano ai monti di Mezzenile, fra Bogliano e Pugnetto, e nell'alta Valle d'Ala, in Val Grande e di Viù.
Dal versante di Mecca i fascisti vengono più volte respinti. Il Gruppo «Etna» al comando del Ten. Rallo (Conti), formato da una trentina di uomini, appostato sulla cima sopra Chiaves, viene mitragliato dagli aerei tedeschi che sorvolano a bassa quota ed è costretto a ritirarsi verso il monte Garnè e successivamente verso il Ciucrin al Sasso del Gallo.
I nemici seguono le piste sulla neve e iniziano a sparare con le mitraglie verso il Sasso del Gallo ferendo molti partigiani. Il Gruppo cerca rifugio nelle baite disabitate, ma il freddo e la fame si fanno presto sentire. Una squadra scende a Vtú, frazione di Cantoira, per cercare un po' di cibo e apprende che tutta la valle è invasa. Anche Ceres è in pieno rastrellamento. Pattuglie percorrono strade e sentieri spingendosi fino ai più lontani « ciaplè », bruciando casolari e prelevando ostaggi. Catturano quattro garibaldini del XI Brigata; quando stanno per fucilarli, uno tenta la fuga gettandosi nel fiume. Lo inseguono rafficandolo, sguinzagliando i cani sulle tracce. Battendo l'argine e ogni sentiero gli passano a pochi metri di distanza, fortunatamente senza riuscire a scoprirlo. Mentre continua spietata la caccia, i suoi compagni Prono Giuseppe, di anni 19, da Montanaro; Busso Celestino, di anni 22 e Merlo Luigi, di anni 20, entrambi da Caselle, vengono fucilati vicino al viadotto.
Le forze partigiane dopo più giorni di duri combattimenti sono costrette a svallare.
24 marzo 1944 La 18a Bgt. « Garibaldi » accusa la perdita del partigiano Ozzello Albino, di anni 21, da San Giusto, appartenente al 60 Distaccamento, caduto in azione a Borgomasino.
26 marzo 1944 Il comandante « Titala » è stato scarcerato per mancanza di prove ed è ritornato ad Alpette accolto dall'affetto dei suoi uomini e dei valligiani. Il Gruppo ha aumentato gli effettivi e anche qui sono cresciuti i problemi relativi all'armamento, all'equipaggiamento e alla sussistenza. « Titala » riprende subito i contatti con gli altri Gruppi per coordinare in comune accordo le operazioni di requisizione ed acquisto di grano, farina e altri generi necessari alle formazioni, in modo di non far pesare sugli stessi paesi tutto il costo di queste operazioni.

Il 26 marzo, giunge a Corio una staffetta per informarci di un pesante rastrellamento in atto a Balangero. Un centinaio di uomini della prima e seconda compagnia dell'80a Brigata si muovono. Verso le 10, raggiunta la periferia di Balangero e lasciati gli automezzi con dovuta guardia, penetrarono in paese su due colonne. Alcuni paesani li informarono sull'entità e mosse fasciste: si trattava di una cinquantina di uomini con un tenente e alcuni sottufficiali: stavano terrorizzando la popolazione, casa per casa, e avevano ordinato il rancio all'osteria Levrin. Procedendo cautamente, si avvicinarono fino a sentirne le voci. Nei pressi di Levrin stabilirono il piano di attacco: alla prima compagnia toccò di effettuare posti di blocco stradali e ferroviari nelle due direzioni Balangero-Lanzo e Balangero-Mathi, nonché l'isolamento telefonico. Quando i repubblichini si ritirarono per il rancio, attaccarono dalla parte frontale dell'edificio, sbaragliando le sentinelle, poi, mentre infuriava la sparatoria, una parte mosse all'attacco alle spalle. Il tenente e un sergente, feriti all'occhio e a un braccio, caddero a terra e i 42 militi, perso il controllo, si dettero alla fuga. Fatti prigionieri in quattro e quattr' otto, vennero caricati sui loro automezzi e portati a Corio, mentre i feriti salivano a Piano Audi, all'ospedaletto da campo.

29 marzo 1944 Alle ore 11,30 un violento bombardamento aereo anglo amerícano si abbatte su Torino e causa in poco più di mezz'ora duecento morti e un numero imprecisato di feriti. Gravi danni alle industrie, case incendiate e distrutte. La gente, in preda al terrore, riprende l'esodo verso i paesi di campagna e le colline in cerca di rifugio.
31 marzo 1944 Torino, il direttore della “Gazzetta del Popolo” Ather Capelli viene ucciso in un attentato dai Gap, sotto la sua abitazione. 5 partigiani tratti dalle carceri Nuove sono trucidati per rappresaglia sul posto.

Il Comando Regionale Piemontese viene catturato al completo mentre sta per riunirsí nel Duomo di Torino. Le spie dell'O.V.R.A., con l'arresto di una persona che non ha sopportato la tortura, sono riusciti in un sol colpo a far catturare l'intero comando: sedici persone sono state arrestate. Con un processo farsa, che dura solo un giorno, il Tribunale fascista ne condanna a morte otto: i rappresentanti del Partito Comunista, Azionista e Socialista e a pene detentíve quelli del Partito Liberale e Democristiano.

Nella stessa ora in cui venivano catturati i membri del C.M.R.P., in una via del centro i gappistí al comando di « Ivaldi » (G. Pesce), giustiziano it fascista Ather Capelli, direttore della « Gazzetta del Popolo », incitatore di massacri e di rastrellamenti. L'azione viene subito rivendicata dal Corpo Volontari della Libertà attraverso la stampa clandestina che è rapidamente diffusa.

Mentre procede la riorganizzazione e l'addestramento degli uominí, altre squadre operano in pianura e, fra queste, quella del « Diavolo Nero » che non dà tregua al nemico, compiendo disarmi, prelevamenti di spie, requisizioni e sabotaggi. Il 31 marzo mentre si reca a Traversella, alla cava della Fiat per prelevare esplosivo, viene individuata dal Questore di Aosta Mancinelli, che si trova per caso sul luogo. Egli telefona al presidio della G.N.R. segnalando i partigíani e sulla strada del ritorno scatta l'imboscata. Cadono colpiti a morte Cena Michele di anni 20; Castelletto Giovanni Battista di anni 27, entrambi da Feletto e Carrino Giuseppe da Nardò (Lecce). Resta nelle mani del nemico il partigiano Audagna Anselmo, di anni 20, che verrà fucilato il giorno dopo a Melle (Cuneo).
Il «Diavolo Nero» rimasto ancora una volta ferito, riesce a fuggire abbandonando il furgoncino. Raggiunge la base ma, purtroppo, la ferita tarda a rimarginarsi; malgrado questo continua le azioni, mentre i fascisti gli danno la caccia promettendo taglie per la sua cattura.

1 aprile 1944 Reparti di SS italiane alle prime luci irruppero in Balangero in forze, al comando del famigerato cap. Traverso e del ten. Allodi, minacciando di fare scempio della popolazione e delle case se non fossero stati restituiti i loro camerati catturati il 26 marzo.
Avutane notizia, i partigiani tramite il parroco si dichiarano pronti a trattare, avvertendo che azioni di rappresaglia avrebbero comportato gravi ritorsioni sui prigionieri. Il corso del messaggio rimase un mistero: non venne recapitato, o il valore dato dal Traverso ai suoi camerati era ben scarso». Fu così che, raggruppata la popolazione nella piazza, nove inermi «sospetti sovversivi con provata simpatia per i banditi» (così dirà il comunicato stampa) verranno fucilati: Giacomo Bonino, Giuseppe Dal Pont, Giorgio Data, Sergio Fontanella, Battista Fornelli, Giacomo Marchetti, Giovanni Marchetti, Livio Reineri, Giovanni Verzino.

Val Sangone, i partigiani, che controllano l’alta valle, attaccano con successo il presidio di Cumiana catturando 32 SS italiane (appartenenti alla Milizia Armata) e due sotto-ufficiali tedeschi. Nella successiva rappresaglia vengono incendiate le case della zona dello scontro e presi in ostaggio tutti gli uomini della zona (circa 150).

2 aprile 1944 Torino, al Pian del Lot (colle della Maddalena) le SS fucilano 27 prigionieri prelevati dalle carceri di Ivrea e Torino. Si tratta di una rappresaglia dopo l’attentato a un ufficiale tedesco avvenuto sul ponte Umberto I.
4 aprile 1944 All'alba le sentenze di morte dei membri del CRP vengono eseguite al Poligono Nazionale di Tiro al Martinetto. Cadono sotto i colpi del plotone: Perotti Giuseppe Generale di Brigata; Balbis Franco Capitano di artiglieria (Partito d'Azione), Bevilacqua Quinto operaio (socialista), Braccíni Paolo professore universitario (Partito d'Azione), Giambone Eusebio tipografo (comunista), Montano Massimo ufficiale impiegato (socialista), Giachino Erich, ufficiale studente¬lavoratore (socialista) e Biglierí Giulio ufficiale (Partito d'Azione).

La sera del 4 aprile, una squadra al comando del « Diavolo Bianco» si reca alla caserma di Castellamonte per il prelievo di armi la cui richiesta era già stata concordata con il maresciallo, ma, assente il comandante della stazione, i carabinieri aprono il fuoco ferendo gravemente due partigiani; uno, Menegaz Daniele di anni 19, muore alcune ore dopo. La caserma viene assaltata e dopo lunga sparatoria, occupata. Vengono catturati i sei componenti che sono portati a Corio, processati e passati per le armi. La sentenza viene resa pubblica dal comando, affinché sia di monito ai carabinieri ancora in servizio e venga evitato ogni ulteriore spargimento di sangue.

5/6 aprile 1944 Corio Canavese, nelle frazioni Cudine e Cap i tedeschi uccidono 6 civili fra il 5 e il 6 aprile.

Avigliana, in frazione Mortera si scontrano un gruppetto di partigiani e truppe tedesche; cinque partigiani sono uccisi e uno, ferito, viene fatto prigioniero. I partigiani della formazione “Carlo Carli” rispondono nei giorni seguenti a questa azione con un’incursione su Valgioie, dove vengono uccisi sei tedeschi.

7 aprile 1944 I repubblichini prelevano dalle carceri di Torino diciotto partigiani per condurli alla fucilazione; due riescono a fuggire durante il percorso, gli altri giunti a Caluso vengono schierati sulla piazza e tenuti per tutto il giorno. Poi la popolazione e i ragazzi delle scuole sono costretti ad assistere all'esecuzione. Sotto i colpi di un plotone di militi ubriachi cadono questi martiri: Bottero Donato, Carignano Chiaffredo, Carpanese Pietro, Cavallero Emilio, Cenna Antonio, D'Atrino Mario, Finco Luigi Giay, Giuseppe Graziola, Mario Maccari, Giovanni Maccari, Romolo Petroni, Gino Porta, Aldo Srà, Guido e Carlo Verson. Il partigiano «Oscar», colpito da una pallottola che gli sfiora il cranio facendogli perdere i sensi, viene creduto morto. Appena partiti i fascisti la popolazione si accinge all'opera pietosa di comporre le salme per dar loro sepoltura e accorgendosi che è ferito lo porta in salvo.
10 aprile 1944
 

 

 

 

12 aprile 1944

13 aprile 1944

Nei pressi del Santuario di Belmonte, due militi in perlustrazione in abiti borghesi vengono individuati e prelevati. Condotti al comando di Forno e accertate loro gravi responsabilità sono passati per le armi. Il giorno successivo in località Pedaggio Cuorgné un'altra spia viene eliminata.

Nel pomeriggio si stabilisce a Castellamonte un presidio di Moschettieri delle Alpi. I militi terrorizzati dalla vicinanza delle basi partigiane trasformano la cittadina in «bunker» con fortificazioni in muratura.

Torino, nelle carceri Nuove muore sotto le torture Emanuele Artom.

La squadra « Losna » al comando di « Walter » si imbatte in una pattuglia nei pressi di Ozegna. Nella sparatoria alcuni nemici restano feriti.

15 aprile 1944 Sull'autostrada Torino Milano, « Piero Piero » con sei uomini travestiti da repubblíchini fermano una macchina tedesca fingendosi alla ricerca di una spia partigiana. Mentre stanno per fare prigioniero un ufficiale, sopraggiungono altri automezzi: i partigiani aprono il fuoco uccidendo due tedeschi e riuscendo a fuggire. Nel pomeriggio l'imboscata viene ripetuta in un altro tratto dell'autostrada e porta alla cattura di due fascisti e al recupero di un automezzo.
Nicola Alfonso
Prospero

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Padre Squizzato  ucciso dai suoi.

Nella prima quindicina di aprile si verificano tragici avvenimenti.
Corre voce che il comandante del battaglione «Carlo Monzani», Nicola Alfonso Prospero, abbia iniziato trattative con i tedeschi e concluso un accordo per la creazione di una zona franca che comprende Cirié, Rivarolo, Castellamonte, Cuorgné, Forno, sotto il suo diretto controllo. La richiesta dei tedeschi è di 300 partigiani in ostaggio, ridotti poi a 160 da internarsi in un campo di concentramento a Monza.
Egli otterrebbe in cambio aiuto e mezzi per opporsi alle crescenti formazioni garibaldine. La trattativa viene segnalata da alcuni dei suoi uomini al comando garíbaldino delle valli di Lanzo. Nicola Alfonso è tenuto sotto controllo da una squadra che si sposta in zona. Accertati i gravi fatti, il giorno 13 Nicola è prelevato a Corio e giustiziato per tradimento (1).
In conseguenza di quanto successo molti dei suoi uomíni, disoríentati, abbandonano il Gruppo e si sbandano sulle montagne circostanti. Il comandante Maggi con altri garibaldiní li rintraccia e, ridando loro fiducia, riesce a riorganizzarli. Si procede a rinnovare il Gruppo Comando, a ristrutturare i distaccamenti e a fare il censimento di uomini e armi. In questa fase organizzatíva li coglie un'altra offensiva nemica.

(1) Sul tradimento vero o falso di Nicola Prospero Alfonso, vedi documenti G.N.R. in archivio, A.I.S.R.P. c.80B, e alcune relazioni in archivio C.V.L. del I.S.M.L. fondo accessioni fotocopie, filmìne 3971, 3972, 3973, 3974, dell'archivio Brigate d'Assalto « Garibaldi », Ist. Antonio Gramsci, Roma.
Le testimonianze raccolte sono discordanti. Le fonti di parte garibaldina dichiarano che vi fu tradimento. Altre fonti dicono che probabilmente fu trattativa pretestuosa per prendere tempo e ottenere mezzi per continuare la lotta. t certo però, che il dichiarato e conosciuto anticomunismo di Nicola lascia adito a varie supposizioni. Può avere influito al fine della trattativa la famosa circolare diramata dal generale Operti. In precedenza lo stesso era stato più volte accusato dai gruppi delle valli di Lanzo di sottrazione di autorità al C.L.N. e a suo carico era stata decisa un'inchiesta; Duccio Galimberti, che faceva parte della Commissione, si era preso l'incarico di riagganciare Nicola.
(Vedi A.I.S.T.R.P. c.40 doc. 69 in data 4 7 1944).

Padre Squizzato militava in un gruppo antifascista e fu attirato in una trappola dai «colleghi» comunisti. Forse perché aveva deciso di smettere con la clandestinità.
La vicenda di padre Eugenio Squizzato è emblematica di quanto la contrapposizione ideologica, forse l'odio, seppero sovrapporsi agli ideali della lotta per la libertà e la democrazia. Padre Squizzato era un semplice francescano veneto, partito per il fronte come tanti altri cappellani militari; se aveva una particolarità, era quella che la sua famiglia - ben 16 figli, di cui due divenuti sacerdoti e due suore - si meritò un paio di colonne nella cronaca di un giornale come detentrice del record di fratelli arruolati contemporaneamente: ben 7. Padre Eugenio, nato a Piombino Dese (Pd) nel 1915, era il più giovane; fu mandato come cappellano degli alpini a Mondovì nel 1941, quindi in Croazia e infine in Francia: dove l'ha colto l'8 settembre. Arrivò a Piano d'Audi (una località sopra Corio Canavese). A novembre 1943 i tedeschi sferravano un'offensiva nella zona e disperdevano il gruppo. Pare che padre Squizzato riparasse a Forno Canavese con altri, comandati dal maggiore degli alpini Nicola, e che ne sia seguito un periodo di tacita non belligeranza con i nazifascisti. A Corio però operava un'altra formazione partigiana, diretta da un comunista slavo. Fu lui, il 13 aprile 1944 - era appena passata la Pasqua -, a invitare il maggiore Nicola a un abboccamento per riunire le forze dei due gruppi.
Era invece un tranello. Il militare si presentò all'incontro, in un'osteria presso il Ponte dell'Avvocato a Corio, accompagnato da padre Squizzato e da un sergente. Alla fine del pranzo - sostiene la relazione - fu provocato un diverbio, durante il quale i comunisti estrassero le armi ed uccisero sia il maggiore Nicola che il francescano. Un'altra versione dei fatti sostiene che il duplice assassinio fu dovuto invece alla voce che sia il comandante, sia il religioso avevano espresso il desiderio di smobilitare e tornare alle loro case, per cui i partigiani decisero di sopprimere prima l'ufficiale e quindi - la notte tra il 15 e il 16 aprile, quando il frate si mosse per cercarne il corpo - anche il cappellano, a pugnalate in un bosco. Tanta discordanza di versioni forse oggi stupisce; ma all'epoca persino i confratelli dovettero spedire un frate a condurre di persona un'indagine sul posto per saperne di più. Del resto, l'unica sorella ancora vivente di padre Squizzato ricorda soltanto di aver visto la salma del fratello - che dopo la guerra sarà traslata a Piombino Dese (la città natale ha dedicato anche una piazzetta al martire)- col volto fasciato attraverso una finestrella praticata nella bara; e il solo documento che conserva di lui è un «certificato patriottico» del Cln che testifica la partecipazione del frate alla resistenza dal 9 settembre 1943. Partigiano dunque, e ucciso dai partigiani.

In seguito alla morte di Nicola Prospero e in conseguenza al fallimento del patto, i nazifascisti dopo avergli reso l'onore delle armi e partecipato ai funerali, effettuano un massiccio rastrellamento attaccando Corio. I combattimenti si svolgono fino al colle del Bandito. Nei primi scontri cade al Cudine la mattina del 15 aprile il garibaldino Siccardi Mario, di anni 23.

21 aprile 1944 Durante i combattimenti del giorno 21, oltre a numerosi feriti, cadono nelle mani del nemico tredici garibaldìni. Il parroco Don Allora riesce a salvarne uno. Cinque vengono uccisi in località Case Vietti di Coassolo: Barbaro Serafino Aldo, di anni 22, da Catanzaro; Ferraro Gennaro, di anni 19, da Napoli; Sartor Mario, di anni 19, da Valle Noncello (Pordenone); Tempo Carlo, di anni 17, da Torino e Tonello Natale, di anni 21, da Cigliano (Vc).
Gli altri sette vengono fucilati a Corio: Picca Piccone Pietro, di anni 18, da Corio; Vian¬zone Pietro, di anni 18, da Torino; Rolle Pietro, di anni 19, da Ve¬naria; Pirotti Giuseppe, di anni 19, da Bolsena (Viterbo); Barbero Martino, di anni 24, da Orbassano; Petriella Innocenzo, di anni 21, da Colle Sannita (Bn) e Montesardo Fiore, di anni 21, da Alessandria.
22 aprile 1944 A Torino una spia telefona alla caserma di via Asti segnalando che presso l'ufficio dell'U.D.A. in via San Francesco da Paola si trova il capo partigiano « Diavolo Nero » (Mario Costa). Il comandante Serloreti invia sul posto alcuni sgherri al comando del tenente della G.N.R. Roberto Fagnola. Quando il « Diavolo Nero » esce dai locali si trova circondato; tenta di estrarre la pistola, ma viene immobilizzato e gravemente colpito dal Fagnola. Soccorso dai passanti è trasportato all'ospedale dove poco dopo giungono i fascisti per assistere alla sua agonia. Egli morirà poche ore dopo.
«Bellandy» che ha assunto il comando del gruppo, nel costituire la VI Divisione Alpina «GL», per onorarne la memoria intesterà una Brígata al nome di Mario Costa.

A Valperga presso la casa di Savio Savino, in località Boggi, si tiene un'importante riunione con lo scopo di organizzare il Movimento Partigiano sotto una direzione più unitaria e compatta, onde evitare gravi inconvenienti dovuti agli eccessivi personalismi, ai frazionismi politici ecc. Alla riunione parteciperanno  autorevoli esponenti della Resistenza piemontese quali: Duccio Galimberti (Ferrero), Massimo Vassallo, Gino Viano (Bellandy), il geom.Domenico Cibrario (Vienna), Ferraris, Gimmj Troglia e altri.

24 aprile 1944 Forze nazifasciste attaccano la Valle di Lanzo con un serrato rastrellamento che dura fino alla prima quindicina di maggio. L'80' Brigata che si trova accampata presso Benale, fra Chiaves e il passo della Croce, effettua uno spostamento prendendo posizione sopra Rocca del Gallo.

Il 26 una pattuglia composta da cinque armati e da un disarmato vestito in abito borghese con il compito di segnalatore è inviata in perlustrazione a Chiaves. Giunta presso il Piano del Monte Ciucrin viene sorpresa da truppe naziste che, appostate dietro le pietraie, aprono il fuoco. Quando i garibaldini si accorgono di essere caduti in un'imboscata è ormai troppo tardi; trovandosi in posizione scoperta, due rimangono feriti. La pronta reazione fa tacere per un attimo le armi nemiche, ma la pattuglia sta per essere accerchiata. 1 feriti, due giovani di 19 anni, continuano a combattere, poi Peroglío Michelangelo fa cenno ai compagni di fuggire, cercando di coprirli con la sua arma. I partigiani inseguiti dalle raffiche riescono a raggiungere la vetta e a buttarsi in un vallone. Peroglio spara fino all'ultima cartuccia; viene sopraffatto e ucciso. Marino Mario si uccide un po' più a valle con una bomba a mano per non cadere nelle mani del nemico.

I combattimenti infuriano ovunque, da Chiaves a Traves, da Mezzenile a Ceres, a Viù. Cade nei primi scontri Canale Aldo (Bibo), di anni 21, da Venaria e il 28 sulle alture di Ceres, Brero Domenico, di anni 19, da Torino, dell'11 Brigata. In Valle di Viù muore combattendo Dezani Serafino, di anni 19 e al vallone dei Tornetti il comandante Beccuti Lorenzo, di anni 24, che benché ferito continua a combattere finché una raffica lo abbatte.
I partigiani combattono fino all'esaurimento delle munizioni, quindi si sganciano risalendo verso Malcíaussia. L'80a Brigata risale verso le Alpi del Drà (Lago di Monastero), parte degli uomini con una lunga marcia attraverso il Passo di Pietra Scritta a metri 2150 ridiscendono verso la Valle dell'Orco. La sera del 28 raggiungono le frazioni Muliner e Molera (Locana). Nella notte del 30 effettuano un altro spostamento verso la cima tra la Valle di Locana e quella di Sparone. Alcuni giorni dopo raggiungono a Chiaves il grosso della Brigata.
I nazifascísti ultimate le operazioni di rastrellamento sono scesi a fondovalle. I partigiani riuniti in distaccamenti riprendono le azioni di guerríglia con imboscate e sabotaggi.
L'80a istituisce servizi di pattuglia per tenere sgombra la strada per Coassolo, il servizio di guardia è costante, ventiquattro ore su ventiquattro. Le pattuglie si alternano.

25 aprile 1944

 

26 aprile 1944

 

 

 

 

 

 

 

 

29 aprile 1944

Il rastrellamento si estende alla zona di Forno Canavese. Il ritorno dei nazifascisti, dopo il terribile eccidio del dicembre '43, è effettuato con ingenti forze e mezzi corazzati. L'attacco inizia con l'appoggio dell'artiglieria che entra in azione fin dall'alba.

I combattimenti durano per più giorni con il dispendio di quasi tutto il munizionamento in possesso. I partigiani si battono con infiniti episodi di valore. Cade il 26 in frazione Gíacoletti il garíbaldino Brandi Pier Luigi, di anni 20, da Roma; all'indomani per un tragico incidente Vidal Giacomo, di anni 23, da Forno e il 29 in località Pilonetto cadono in combattimento i garibaldini Obert Giovanni, di anni 35, da Forno e Roasio Luigi, di anni 20, da Settimo Torinese, tutti del battaglione « Carlo Monzani ». Lo stesso giorno il comandante Vassallo Demilsie « Massimo », di anni 30, di ritorno da una missione si scontra con una pattuglia a Levone e nella sparatoria resta ucciso, mentre il compagno che era con lui sulla motocicletta riesce a fuggire. Il Gruppo di « Massimo » si costituisce in 461 Brigata « Garibaldi » prendendo il suo nome.
Il rastrellamento prosegue a rítmo serrato. Giungono altri reparti fascisti da Torino e dai presidi della Valle di Lanzo. Cade combattendo in località Case Blin di Coassolo il garibaldino Davíto Gara Giuseppe, di anni 17, da Cirié. Levone, Rívara e Forno sono bloccati dalle truppe che si spingono verso Piano Audi. Le formazioni partigiane che erano in attesa di un aviolancio già preannunciato con il segnale « Giulietta e Romeo », quando giunge il messaggio di conferma « Pizzutello de nonna » non sono più in grado di poterlo ricevere perché i combattimenti infuriano sul monte Soglio.

Nella notte dal 29 al 30 gli aerei alleati sorvolano la montagna. La penuria di munizioni e di armi e forse anche il disagio di dover rinunciare ad un lancio tanto sollecitato, fa sì che vengano accesi ugualmente i fuochi con tutti i rischi che l'operazione comporta.
Finalmente gli aerei sganciano i paracadute con il loro prezioso carico, ma anche i nemici hanno acceso fuochi di segnalazione e metà lancio cade nelle loro mani.
Durante i combattimenti, squadre di patrioti rastrellano la montagna per il recupero. Gli involucri vengono raccolti e trasportati nelle baite. E' l'alba ormai, una squadra addetta a questo compito, presso l'Alpeggio del Baline, si accorge che truppe nemiche stanno avanzando: sono camicie nere della G.N.R. e pattuglie tedesche antiguerriglia. I patrioti prontamente piazzano una mitragliatrice e prendono posizione con le armi automatiche, senza riuscire a montare le armi del lancio ancora contenute nei bidoni.
I nazifascisti avanzano sparpagliati su terreno scoperto. La mitragliatrice di Lazzaro e il nutrito fuoco delle armi automatiche li ricacciano indietro. Altri uomini attestati più in alto impediscono il tentativo di accerchiamento di una pattuglia. La sparatoria si fa sempre più intensa e più ravvicinata. Cadono feriti alcuni partigiani, ma malgrado le ferite continuano la difesa dell'accesso alla baita dove è stato riposto parte del lancio. I nemici guadagnano terreno, la mitragliatrice viene centrata. La lotta continua a bombe a mano ed è una lotta con la certezza della cattura e della morte. Lazzaro ordina agli uomini di porsi in salvo mentre lui continua a combattere accanto a tre compagni gravemente feriti. Ora il nemico è a pochi passi, la terra raccoglie i gemiti dei morenti che, catturati, vengono trucidati e orrendamente mutilati: Nicola Lazzaro, di anni 47, da Collegno; Cena Carlo, di anni 37, da Ciriè e Berlini Domenico, di anni 36; Brusaferro Luigi, di anni 43, entrambi da Ariano Polesine, tutti del battaglione « Carlo Monzani ». I partigiani stremati, senza più munizioni e con numerosi feriti, sottraendosi alla morsa si portano verso la cima dei monte.
All'appello mancano diciassette caduti e ventidue dispersi, una parte di questi certamente nelle mani del nemico.

1 maggio 1944
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2 maggio 1944

In occasione del l' maggio i partigiani, unítamente ai Comitati clandestini che operano all'interno delle fabbriche, hanno svolto intensa propaganda per invitare gli operai ad astenersi dal lavoro. Si sono verificate alte astensioni a Cuorgné, Favria, Rivara, Rivarolo.
La squadra d'azione di « Spartaco II », durante la notte, ha segato i pali di legno sostenenti i fili delle linee elettriche sulla strada vecchia per Valperga, causando la mancanza della corrente, impedendo così la produzione bellica in alcune fabbriche.
Partigiani di un altro Gruppo hanno effettuato sabotaggi alle linee elettriche alla frazione Feie Ronchi e alla ferrovia in località Campore. Nella mattinata, sette garibaldini al comando di « Nino il Vercellese », con un'audace azione, attaccano il presidio della Milizia Forestale e della G.N.R. alla caserma Pinelli. Ai primi spari, i militi si trincerano dentro chiudendo il portone. Quando i partigiani stanno per ritirarsi i fascisti dalla caserma iniziano a sparare ferendo un ragazzo di 17 anni, Perotti Pietro, che muore il giorno dopo all'ospedale. I militi escono dal presidio sparando e feriscono un partigiano che viene portato in salvo dai compagni. La squadra risponde al fuoco e la sparatoria dura circa mezz'ora; poi i partigiani si ritirano, ritenendo conclusa l'azione dimostrativa. Alcuni militi risultano feriti.
Lo stesso giorno pattuglie di G.N.R. giungono in rastrellamento a Favria e ad Oglianico per controllare se gli operai si sono presentati al lavoro e per intimoríre la popolazione. Incappa in una di queste Boggero Natale, di anni 40, da Rivarolo, collaboratore del Gruppo di «Piero Rossi» che, per non cadere nelle mani del nemico, tenta la fuga, ma viene inseguito e ucciso. Purtroppo si chiude questa giornata con la perdita del comandante Giuseppe Rigola di anni 40, della II Div. Garibaldi, caduto in Valle di Lanzo.

Giungono a Cuorgnè reparti misti di G.N.R. e tedeschi per rafforzare i presidi dopo l'attacco partigiano. Sembra quasi impossibile che pochi uomini siano riusciti a gettare il panico fra i fascisti, tanto da farli chiedere rinforzi.
I militi, appena giunti, inízíano le perquisizioni nelle case requisendo apparecchi radio, biciclette e altri oggetti.
Automezzi carichi di truppe si avviano subito verso Alpette per effettuare un rastrellamento. Il Gruppo "Aquila" di « Titala » tempestivamente avvertito, non è in grado di sostenere il combattímento a causa dell'insufficiente armamento e, per evitare inutili perdite, si ritira sulle alture circostanti. I nazífascisti entrano ad Alpette, prelevano ostaggi e li costringono a guidare le pattuglie fino alla località Trione, dove sanno che i partigiani si sono ritirati, ma gli ostaggi, per ingannare i nemici, li guidano prima alla frazione Costa per dare tempo al Gruppo di spostarsi. I garibaldiní intanto iniziano la marcia verso la Valle di Ribordone riuscendo a portare in salvo, oltre alle armi, 25 casse dí dinamite trasportate a spalle per circa otto ore. I fascisti trovano il vuoto e, sentendosi beffati, si sfogano sulla popolazione incendiando alcune case alla frazione Costa e prelevando altri ostaggi, a sera, visto inutile ogni tentativo, minacciando rappresaglie contro la popolazione, lasciano il paese.
Lo stesso giorno una pattuglia diretta ad Alpette, per un guasto ad un automezzo è costretta a ritornare indietro. Percorrendo il sentiero che scende dalla frazione Feie, giunge fino a Campore. Qui cattura cinque giovani renitenti, saccheggia case rubando indumenti, oggetti, denaro, poi incendia alcune case, terrorizzando tutto il villaggio.
I rastrellati sono condotti alle Casermette di Borgo S. Paolo a Torino e da qui internati in Germania, come lavoratori coatti. Il rastrellamento si estende alla Valle Sacra e a Frassinetto. Anche la pianura viene rastrellata, automezzi carichi di militi sostano in ogni paese. Il 3 una delatrice segnala la presenza di partigiani alla frazione Santa Maria di Aglié. Reparti di Moschettieri delle Alpi raggiungono il luogo, circondano la casa e sparano su due partigiani che si trovano nel cortile uccidendoli. Un terzo viene ucciso in cucina alla presenza della famiglia che li aveva ospitati. Un altro, ferito gravemente, riesce a fuggire nei campi dove verrà trovato morto. Questi i nomi dei caduti: Cattaneo Domenico, di anni 20; Valosio Antonio, di anni 22; Sormano Lenin Bartolomeo, di anni 23, tutti da Favria e Rogliardo Aldo, di anni 20, da Nole Canavese, tutti della VI « G.L. ».

3 maggio 1944


 

7 maggio 1944

I nazifascisti incendiarono regione Berta, riducendola a un ammasso di rovine. Scovati tre renitenti nascosti nella cappella, fecero saltare con cariche d'esplosivo chiesetta, campanile e casetta del cappellano: i tre giovani, portati a Lanzo, finiranno in Germania, e solo uno si salverà.

I nazifascisti distrussero coi lanciafiamme le case Soli, Benna, Tumaina, Crest, Le Mate e, a frazione Maria, quelle dei Cazut, Trucet, Ciulera, lasciando ai poveri montanari solo più gli occhi per piangere. Spintisi quindi in vaI d'Ala e anche qui trovato il vuoto, si sfogarono su tre partigiani scovati in un «crot» sopra Balme coi piedi congelati, massacrandoli con i calci dei fucili.

8 maggio 1944 I tedeschi abbandonano la Val di Lanzo.
10 maggio 1944


 

 

 

 

12 maggio 1944

Avviene uno scontro a fuoco tra reparti della G.N.R. e partigiani delle «Garíbaldi», «Matteotti» e «G.L.» nei pressi di Rivarolo. Nella sparatoria alcuni militi vengono colpiti. Quattro partigiani del Gruppo «Piero Piero» rimangono feriti, ma riescono a sfuggire alla cattura. Cadono nelle mani del nemico i garibaldini Remogna Leo (Aquilotto), di anni 28, da Rivarossa, della 47 a Brigata « Garibaldi », Grisoglio Giovanni, di anni 22, da Rivarolo, della squadra d'azione e i giellisti Marasso Giorgio e Perino Aldo Felice, di anni 20, da Torino, che vengono tradotti alle Carceri Nuove. Prelevati il 26, verranno fucilati con altri quaranta partigiani a Valgioie (Giaveno), per rappresaglia ad un attacco contro truppe tedesche. Lo stesso giorno i fascisti fucilano il giellista Cottini Renato, del Gruppo «Bellandy».

All'alba scontro a San Giusto tra una squadra della volante di « Piero Piero » che transita su di un camioncino e reparti della G.NR. (battaglione « Tagliamento ») in rastrellamento nel paese. Nella sparatoria restano feriti « Piero Piero » e altri due partigiani; uno di questi ferito in modo grave viene catturato.

14 maggio 1944
 

15 maggio 1944

San Benigno Canavese, i tedeschi arrestano per rappresaglia un centinaio di persone. Di esse cinquanta sono deportate in Germania e 5 vi moriranno.

Attacco da parte della squadra di « Piero Piero » al treno nella. stazione di Candia nell'intento di liberare un prigioniero del suo Gruppo che doveva essere trasferito alle carceri di Torino. Il comandante « Piero », avvertito dai familiari di questo partigiano, attacca il convoglio con venticinque uomini. Il prigioniero non c'è, ma l'azione frutta la cattura di 23 repubblichini e numerose armi. Alla sera, alle ore 19, a Castellamonte i militi della G.N.R. sorprendono quattro partigiani delle «Matteotti» che per un guasto hanno dovuto fermarsi a riparare un automezzo presso un'officina. Ne segue una sparatoria nella quale tre partigiani restano uccisi. Il quarto, di cui è sconosciuto il nome, viene ferito e catturato, lo uccidono gettando il corpo in mezzo alla strada e depredandolo delle scarpe. Registriamo con tristezza la perdita di questi compagni: Arnodo Giovanni Battista, di anni 19, da Vidracco; Locatto Michele, di anni 20, da Mercenasco; Pignocco Giovanni, di anni 23, da Romano Canavese e il partigiano sconosciuto.

16 maggio 1944

 

17 maggio 1944

18 maggio 1944
 

19 maggio 1944

La mattina del 16, attacchi a pattuglie nazifasciste, scontri sulla provinciale per Torino, ímboscate ad automezzi nemici sull'autostrada Torino Milano, fermi di treni sulla linea canavesana con cattura di militi.

Il 17, scontri alla periferia di Cuorgné. Nella sparatoria un repubblichino rimane ucciso.

Torino, attentato dei Gap a una cabina Eiar: muoiono un tedesco e un milite della Gnr.
Il gappista Dante di Nanni è individuato e ucciso dai fascisti in via San Bernardino a Torino.

A Foglizzo truppe della « Folgore », in rastrellamento, feriscono gravemente il garibaldino Zemo Mario, di anni 21, da Foglizzo, del Gruppo « Aquila », che muore poche ore dopo. Il Gruppo nel costituirsi in 50' Brigata, per onorarne la meinoria, prenderà il suo nome.
Lo stesso giorno una colonna fascista proveniente da Torino in transito a Feletto, diretta al presidio di Cuorgné, viene attaccata sul rettilineo nei pressi della frazione Mastri dalla squadra d'azione di « Ratulin ». Nell'imboscata il nemico ha diversi feriti, di cui uno grave, che è ritrovato più tardi dal Parroco e trasportato in paese su un carro agricolo per essere medicato. Due ufficiali risultano dispersi. Le forze partigiane non lamentano perdite.
Successivo arrivo di un'altra colonna di camicie nere che prelevano ostaggi e minacciano rappresaglie se non verranno consegnati i due ufficiali. Il tempo massimo per la consegna è fino al mattino seguente. All'indomani i due ufficialì che si erano nascosti durante l'attacco rientrano ai presidi. Gli ostaggi vengono in seguito rilasciati e il paese viene risparmiato dalle rappresaglie. La minaccia su Feletto è soltanto sospesa e il controllo su questo paese si fa ancora più rigoroso.

20 maggio 1944 La X MAS si trasferisce in Piemonte allo scopo di tenere sotto controllo i passi alpini che, in caso di sbarco alleato sulle coste liguri o nelle regioni meridionali della Francia, avrebbero certamente subito la pressione francese.
Primo reparto a raggiungere  Ivrea  fu il battaglione complementi “Castagnacci”, seguito dal “Sagittario” e dal “Barbarigo”. A fine giugno a queste unità si aggiunsero il “Fulmine”, il “Tarigo” , l’N.P., i gruppi di artiglieria e il battaglione collegamenti “Freccia”.
La zona era piuttosto calda, perché in essa operavano numerosi reparti partigiani come confermano, fra le altre fonti, i notiziari giornalieri della Guardia Nazionale Repubblicana: “Una forte aliquota della popolazione, specie delle zone montane, dimostra il suo malcontento prestando aiuto morale e materiale ai banditi che infestano la zona. Anche l’azione della Federazione dei Fasci Repubblicani, limitata alle zone cittadine del capoluogo e d’Ivrea, è pressoché nulla nei piccoli centri, ove è praticamente impossibile mantenere l’ordine (…) Le operazioni di rastrellamento, destinate a ad annullare le bande e i nuclei che infestano la periferia della città (Aosta) e del Canavese, sono iniziate (…)
21 maggio 1944 Alle ore 9,30, un battaglione di SS italiane giunto a Cuorgné, sfila per le vie in assetto di guerra. Questa sfilata ha la parvenza di una parata per ostentare l'efficiente armamento e le nuove uniformi. Sono infatti reparti appositamente addestrati in Germania in funzione antiguerriglia, giunti per effettuare i rastrellamenti allo scadere del bando. Il battaglione è al comando del capitano Contrada e del tenente Santamaria. Alle ore 16,45 un sottotenente si reca al centralino telefonico occupandolo e bloccando tutte le comunicazioni. Nell'ufficio viene messo un piantone e il servizio di guardia verrà effettuato giorno e notte. Il comando delle SS, in collaborazione con le autorità fasciste, inizia subito una severa indagine per scoprire le famiglie dei partigiani. Alla periferia dei paesi e all'imbocco delle valli, appaiono le prime scritte tedesche « Achtung Bandengefahr ». Manifesti indicano che sta per scadere il termine di presentazione stabilito dalla Repubblica Sociale per sbandati e renitenti e che una severa azione sarà intrapresa per stroncare il ribellismo. Dopo le ore 24 del 25 maggio tutti coloro che non si saranno presentati saranno considerati fuori legge e passati per le armi mediante la fucilazione alla schiena. Il tenente Santamaria, colpevole degli eccidi di Cumiana, dove il 3 aprile sessantaquattro civili inermí sono stati trucidati per rappresaglia a seguito di un attacco partigiano alle forze tedesche, gira per Cuorgné battendosi il frustino sugli stivali, minacciando stragi di banditi e favoreggiatori. Un altro SS si vanta di averne uccisi trentanove e cerca il ribelle «Gianni» per arrotondare al più presto la cifra.
I repubblichini, armati fino ai denti, ostentano mitra nuovi e bombe a mano con lunghi manici infilati alle cinture o negli stivali, armamento che è una vera tentazione. Se qualcuno di loro si azzarda a dirigersi verso la periferia c'è il pericolo che all'indomani manchi all'appello. Il fortunato che ne effettua la cattura o il disarmo parte con l'arma nuova per successive azioni.
25 maggio 1944 Scadenza dell'ennesimo bando per la presentazione ai distretti.
 

 

 

 

26 maggio 1944
 

 

28 maggio 1944

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

30 maggio 1944

Scade l'ennesimo bando per la presentazione degli sbandati, ribelli e renitenti alla leva. Dopo   le minacce, i ricatti, le lusinghe, i nazifascisti iniziano con i rastrellamenti, le fucilazioni e rivalse sulla popolazione civile e sui parenti dei partigiani.
Un manifesto del Comando Supremo Germanico "comunica" premi fino a L.5000 e chili 5 di sale per ogni segnalazione che renda possibile il sequestro di un deposito o di un rifornimento aereo di armi e di esplosivo oppure la cattura di un ribelle; fino a L.10000 e chili 10 di sale per la segnalazione di un deposito o rifornimento aereo di armi e di esplosivi oppure di un capobanda ed in altri casi particolari fino a L.1000 e 1 chilo di sale per ogni altra utile segnalazione di ribelli, armi nascoste, rifornimenti aerei, ecc.
I fascisti si scatenano nella zona che da Cuorgnè va fino a Valperga, Salassa e Pertusio, arrestando  centinaia di giovani che non avevano aderito ai bandi di arruolamento,   molti di loro verranno deportati in Germania e non torneranno più.

A  Valperga in località Rivarotta viene rinvenuto, sommariamente interrato, il cadavere di Giuseppe Filiberto, di anni 49, residente a Rivarolo , podestà di Feletto e socio proprietario della fornace di Valperga. Il Filiberto era stato prelevato da quattro uomini armati e la sua esecuzione sarebbe avvenuta il giorno precedente il ritrovamento.

All'alba del 28 silenziosamente Cuorgné è chiusa in cerchio.
Mentre la gente ignara riposa nelle proprie case s'odono ordini: «Tutte le finestre e i balconi devono rimanere chiusi, i portoni devono essere aperti».
In un baleno tutte le strade vengono bloccate, la città setacciata. Le SS entrano nelle case, prelevano i giovani dalla classe 1914 alla classe 1927. Anche Pont, Castellamonte e altri paesi sono stati bloccati. A Pont catturano molti giovani renitenti alla leva che si erano nascosti nella torre Ferranda e altri nelle case. I fermati, rinchiusi nelle scuole, dopo un interrogatorio sono tradotti a Torino e internati in Germania.
Il rastrellamento, che non ha per obiettivo solo la caccia ai renitenti e agli sbandati , ma anche quello di procurare mano d'opera per la Germania, porta alla cattura complessiva tra Pont, Cuorgné e Salassa di centoventi giovani. I rastrellati di Cuorgné, dopo una sosta presso il presidio, vengono inviati a Castellamonte e rinchiusi nella palestra per la revisione dei documenti da parte del Comando Superiore tedesco. Con altri rastrellati sono trasferiti alle Casermette di Borgo S. Paolo, a Torino, dove alcuni saranno incorporati nella TODT (Organizzazione tedesca del lavoro) e molti deportati in Germania come lavoratori coatti. Trentatre sono di Cuorgné, ventidue di Castellamonte.
Anche alcuni giovani che si erano presentati spontaneamente subiscono la deportazione. Il loro internamento, per la maggior parte avviene nei lager per lavori forzati « Reimahg ». I rastrellati di Cuorgné vengono inviati nella località di Kalila e addetti ai lavori di scavo per l'ampliamento dei cunicoli delle antiche miniere di caolino che il governo tedesco sta adattando per l'installazione di fabbriche sotterranee di aerei.
Qui essi resteranno schiavi e sfruttati, al limite della sopravvivenza. Alcuni moriranno, altri torneranno a guerra finita, minati fisicamente e moralmente, per portarci la testimonianza di altri crimini nazisti e il contributo degli internati alla Resistenza.

Il 28 maggio truppe nemiche risalgono la Valle Sacra. Le formazioní che sono in fase di organizzazione, per il forte afflusso di giovani dovuto in parte al bando, non possono sostenere combattimenti. Opporre resistenza vorrebbe dire l'annientamento, dato l'alto numero di disarmati, e, dopo breve scontro, per evitare l'aggancío, si spostano più in alto e con marce forzate si portano fino alle pendici dei monti Quinzeina e Verzel. Per vari giorni effettuano continui spostamenti sulla neve ancora abbondante, senza cibo e al limite delle forze.
Il 30 una pattuglia antiguerriglia si spinge fino a duecento metri dal loro provvisorio rifugio, fortunatamente senza riuscire ad intercettarli. Verso sera i partigiani riescono a raggiungere il versante del lago Miunda; la traversata avviene a oltre 2000 metri dì altitudine. Dopo gravi difficoltà, a rastrellamento ultimato, rientrano alle basi limitando le perdite ad un caduto: Bertoglio Puin Giacomo, di anni 27 e alcuni feriti. Due ex prigionieri inglesi sono stati catturati a Santa Elisabetta.
Anche in Valle Soana salgono i neri del battaglione « Ettore Muti »; fra di essi molti ragazzi tolti dalla Casa di Correzione « Ferrante Aporti » di Torino; li chiamano « quelli della Generala ».

Tra maggio
e giugno 1944
Il battaglione « Carlo Monzaní », che era l'originario nucleo della Banda Soglio, si divide in due Gruppi: uno al comando di Piero Maggi con il nome di 47a Brigata d'Assalto Garibaldí « Carlo Monzani » e l'altro, al comando di « Moro » (Borello Claudio), viene inquadrato nella 18a Bgt. Garibaldi « Saverio Papandrea »; a luglio diventerà l'unità di manovra della IV Divisione. Le due Brigate effettuano uno spostamento a Chiesanuova dove subiscono, appena giunte, un rastrellamento unitamente alle forma¬zione matteottine che si trovano già in zona.

Le Valli di Lanzo si trovano di fatto occupate e presidiate dalle forze partigiane. Iniziano, sotto la spinta del Cln, le prime esperienze di autogoverno; nascono sotto forma di giornali murali, i fogli locali “Scarpe rotte” e “Aquile delle rocce”. Val Pellice: nasce il giornale partigiano “Il pioniere”. Il primo numero, ciclostilato, viene tirato in 800 copie.
Arrivò al collegio di Lanzo la "Folgore" comandata dal nipote dell'Abate di Montecassino.

4 giugno 1944

 

 

7 giugno 1944

 

 

 

12 giugno 1944

Intere stazioni e tenenze dei Carabinieri disertarono la Gnr, contemporaneamente a Ciriè, Caselle, Venaria e Torino, salendo in montagna. Tra di loro Beppe Guadagno, i brigadieri Vanni e Ivo Giambi, Aniello Arbucci e «Aldo Caramba», con un centinaio di militi, dotati di armi e bagagli. In poco tempo si trasformarono in nuclei di conciliatura e dell'ordine pubblico a Balme, Ala, Ceres, Cantoira, Viù.

Si costituisce ufficialmente la II divisione Garibaldi Piemonte, comandante Battista Gardoncini. La delegazione così commenta il fatto: «Le brigate 11, 19 e 20 sono dirette dal vecchio comando della Torino il quale si è costituito con nostra approvazione in comando della II divisione Piemonte. Crediamo di aver fatto bene ad approvare tale costituzione che era praticamente già in atto alla nostra visita. Si sviluppa il lavoro di direzione, aumenta l'influenza del Comando, sempre più si dirige e si controlla l'attività dei distaccamenti delle Valli.

Front C.se. Il comandante Piero Piero viene a sapere che un gruppo di repubblichini metropolitani (erano chiamati metropolitani perché arrivavano dalla città) di guardia alla polveriera, ogni mattina, preceduto da un autoblindo con il Tenente, va a prendere il caffè al bar in piazza a Front, in tutta tranquillità. Decide di piazzare gli uomini sulla strada del ritorno. Di rimpetto al cimitero, nascosti nella boscaglia dell'adiacente collina, apposta una decina di partigiani. Insieme ad altri suoi uomini, con un camion, sbarra la strada che porta alla polveriera. L’autoblindo dei metropolitani non può più passare, neanche volendo. I partigiani vedono avanzare l'autoblindo con dietro un gruppo di metropolitani appiedati ma in assetto di guerra, tutti ben armati con mitra belli nuovi, ma sono colti così di sorpresa che non hanno il tempo di sparare, solo l'autoblindo cerca di avanzare, ma il puntatore non ha ancora dimestichezza con l'arma e spara solo qualche colpo a vuoto, senza riuscire a colpire nessuno, nemmeno il camion. Nello scontro si distingue in modo particolare il partigiano Giorgio Davito poi premiato con medaglia al valore, quando cadde nella battaglia di Ozegna. Giorgio Davito salta sulla torretta dell'autoblindo e minaccia gli occupanti con una bomba a mano Sip, di costruzione inglese, tra le più micidiali. L'autoblindo si fernia. accorre il comandante Piero Piero che fa scendere gli occupanti, uno si presenta come Tenente. Gli dice che il campo è circondato e che se non si arrendono. faranno la fine dei militari al seguito dell'autoblindo. Questi infatti, sono stati in parte uccisi dal fuoco partigiano piovuto loro addosso, senza che se ne siano accorti. I partigiani sono appostati in alto, nella posizione migliore, non sono visti e possono colpire di sorpresa.
Al presidio sono tutti in allerta, hanno sentito gli spari; il tenente parla con il Comandante e fa un proclama immediato ai suoi uomini, dice che i soldati soni, liberi di andare con i partigiani, Piero Piero aggiunge che possono anche andar tranquillamente a casa. Aldino, al secolo Aldo Volpato, persona istruita, si unise, ai partigiani con altri commilitoni, gli altri gettano le armi, abbandonano la polveriera e se ne vanno ognuno per conto proprio, compresi i comandanti. L’autoblindo, ai partigiani non serve, è privo di colpi, quindi viene buttato giù da una scarpata. Il bottino è ingente: armi, polvere e bombe russe. Non vengono fatti prigionieri, muoiono alcuni metropolitani, altri riportano ferite leggere.

15 giugno 1944 Il generale Montagna, comandante militare repubblichino del Piemonte, in occasione della riunione dei gerarchi fascisti, tenuta a Bergamo, riferì che la situazione in Piemonte era peggiorata per la Rsi, e che le nuove chiamate alle armi erano un errore in quanto servivano solo ad aumentare le forze avversarie. Dopo aver esplicitamente affermato che i ribelli controllavano già quasi tutto il Piemonte, insistette più volte che si intervenisse immediatamente contro di loro, sottolineando che «le zone ove le bande esplicano con maggior frequenza la loro attività criminale sono le Valli di Lanzo e di Susa. Di lì si spingono fino e oltre le porte di Torino».
16 giugno 1944 Attacco ad un camion tedesco tra S.Maurizio e S.Anna: due uccisi e sei catturati. I tedeschi arrestano nei paesi vicini 60 ostaggi, minacciando la strage se non otterranno i loro camerati. Il giorno dopo, mediatore il parroco, i garibaldini restituiscono vivi e morti e la gente torna a casa. Ma il 19, sulla stessa strada la rivincita: camion e rimorchio, carichi di balestite, vengono catturati, liquidando gli occupanti.
17 giugno 1944 Prende il via a Torino un nuovo sciopero, indetto dal comitato d'agitazione del Cln, allarmato dai preparativi tedeschi per il trasferimento in Germania di macchinari e mano d'opera. La manovra non tendeva tanto, come dichiarato, a evitare i danni delle incursioni aeree, quanto alla «eliminazione delle agitazioni operaie che sarebbero diventate impossibili, se si riusciva a trasferire l'intero processo produttivo fuori dell'ambiente sociale e naturale, in modo da troncare ogni organizzazione operaia e ogni influenza esterna.
18 giugno 1944 A Favria, quindici partigiani impongono la sospensione del lavoro in sei stabilimenti con circa 500 operai; stessa cosa a Rivarolo con la conceria Salp e le officine meccaniche Pesio; a Venaria si bloccano la Snia Viscosa e gli stabilimenti del solfuro.
22 giugno 1944

25 giugno 1944


26 giugno 1944

Un plotone di cecoslovacchi svuota a Rivalmaggiore la caserma di armi, munizioni e quant'altro, passando coi partigiani di Burlando che, con loro, il 25 si impadroniscono del deposito di munizioni di San Francesco al Campo, d'intesa con la guarnigione ceca forte di 56 uomini e capitano, che sale ai monti.

Stessa azione ancora a Lombardore, dove la compagnia cecoslovacca si allontana inquadrata e in assetto di guerra, con centomila colpi di fucile e casse di colpi per mitra.

27 giugno 1944 A San Giorgio la Volante di Piero Piero cattura senza sparare, un mezzo militare con a bordo ufficiali tedeschi con la loro truppa e li porta in Val Soana.
A Ivrea c'è un distaccamento germanico che minaccia di mettere a ferro e fuoco il paese; iniziano le trattative per scongiurare il pericolo, da parte del dottor Bardesono e del parroco don Dante Ruffa. Viene contattato il comandante Piero Piero a Ronco Canavese; è lo stesso don Ruffa a recarsi dai partigiani, supeando il posto di blocco di Pont presidiato dai repubblichini. Dopo due giorni di trattative avviene lo scambio dei prigionieri e torna per San Giorgio un po' di pace momentanea.
29 giugno 1944 Torino, parte dalla stazione di Porta Nuova un convoglio di oltre settecento rastrellati provenienti soprattutto dalla val di Susa, destinati al lavoro coatto in Germania. Cuorgné 5 partigiani sono fucilati dai tedeschi in località Salo Pedaggio.
1 luglio 1944 San Francesco al Campo, con un'audace azione i partigiani garibaldini penetrano nel Centro di esperienze dei tedeschi sottraendo una decina di pezzi di artiglieria.
I tedeschi iniziano pesanti attacchi in Val Susa e in Val Chisone, per aprirsi la strada verso i valichi francesi. Le azioni proseguono anche nel mese di agosto.
2 luglio 1944 Colle del Lys (Rubiana), in un’azione di rastrellamento i tedeschi catturano 26 partigiani; sono tutti trucidati dopo sevizie inuadite.
Torino, inizia la distribuzione giornaliera di 5.000 minestre a 2 lire.
8 luglio 1944
La battaglia di Ozegna
Voce RSI:

Nei primi giorni del luglio 1944 il guardiamarina (o ex sottufficiale di sanità) del Sagittario, Gaetano Oneto lascia il suo reparto, assieme a due marò, all'attendente, alla moglie ed al cane, portando con sé la cassa del reggimento. Si mette in borghese, e va nel paese di Ozegna per prendere il treno. Qualcuno lo vede, e la sua presenza viene segnalata alla Decima.
Quel giorno, l'8 luglio, Umberto Bardelli, comandante della Divisione, è passato a salutare il "suo" Barbarigo a Viverone. Al momento della partenza ha chiesto di avere una scorta per raggiungere Agliè, dov'è accasermato il Sagittario. Sono partiti nel primo pomeriggio, lui davanti nella sua FIAT scoperta, e al seguito un camion con una quarantina di Marò, in gran parte della I compagnia. Ad Agliè, informano Bardelli della fuga di Oneto, ed anche che i disertori sono stati visti nel vicino paesino di Ozegna.
Il comandante decide di andare a catturarli. Carica assieme alla sua scorta qualcuno del Sagittario, per riconoscere i fuggiaschi. Il convoglio riparte, e giunge nel paesino; l'auto, che precede il camion d'una cinquantina di metri, arrivata nella piazza centrale si ferma sul sagrato della chiesa dove viene circondata da una ventina di partigiani armati. Umberto Bardelli, come gesto di buona volontà, ordina agli uomini di scendere a terra e di mettere i mitra a tracolla, ed agli ufficiali di deporre a terra le pistole. Egli stesso posa al suolo la sua Walther P 38. Chiese poi ai partigiani di poter parlare col loro comandante; il capo della formazione, Piero Urati, conosciuto col nome di guerra di Piero Piero, di orientamento politico social-comunista (peraltro destinato successivamente a mutare), giunge nella piazza.
Fra i due inizia un dialogo, voluto soprattutto da Bardelli. I ragazzi della Decima, pure coscienti della situazione, non credono al rischio d'un agguato; un partigiano riesce persino a rubargli un mitra. Nel frattempo, attorno alla piazza hanno preso posizione altri ribelli. I rapporti di forza sono mutati a loro favore. Urati, accerchiati i marinai, s'allontana di qualche passo, e grida a Bardelli "Comandante, siete circondato, arrendetevi!" Bardelli, urlando "Barbarigo non s'arrende!" si china, raccoglie la sua pistola, e risponde al fuoco incrociato che è stato improvvisamente aperto. È colpito ad un braccio e ad una gamba, cade a terra, ma spara ancora. Una raffica al petto lo uccide. La piazza si è istantaneamente trasformata in un inferno di pallottole, di raffiche di mitra e di colpi esplosi quasi a casaccio. I marò della scorta sono presi di sorpresa. Rapidamente esauriscono le munizioni, senza abbozzare alcuna manovra. Molti sono feriti, o muoiono subito, qualcuno riesce fortunosamente a sottrarsi al fuoco partigiano, uno si nasconde infilandosi in chiesa.
Alla fine, oltre a Bardelli sono caduti Salvatore Beccocci, Roberto Biaghetti, Pietro Rapetti, Francesco Credentino, Franco De Bernardinis, Ottavio Gianolli, Pietro Fiaschi, Giovanni Grosso, Armando Mai, Angelo Piccolo. Nelle file nemiche hanno perso la vita tre partigiani ed un civile. I superstiti si arrendono. I morti ed i vivi della Decima vengono derubati; a Bardelli strappano i denti d'oro dalla bocca; il partigiano che lo ha falciato con una raffica di mitra si prende per trofeo il suo pugnale. Gli portano via persino il fischietto (di produzione inglese, marca The Acme Referee) che tiene nel taschino sinistro, appeso alla spalla con un cordoncino giallo e rosso. I partigiani, finiti i feriti gravi, fanno sfilare i superstiti in mezzo alla folla, fra percosse e sputi. Alla sera il marò scampato alla cattura nascondendosi nel campanile, scende e dà l'allarme. Immediatamente, il Barbarigo viene trasferito da Viverone ad Ivrea. La mattina successiva, un reparto entra ad Ozegna: i corpi dei caduti, ad esclusione di quelli di Bardelli e Grosso, sono allineati nella piazza. Alcuni sono stato coperti di sterco, e recano tracce di violenza. Le salme di Bardelli e di Grosso sono state raccolte dalle suore di un vicino Istituto Religioso, portate nella loro chiesetta, e lì composte in qualche modo. Le religiose hanno anche prestato assistenza ed accolto i feriti. Nei giorni seguenti i prigionieri della Decima saranno scambiati, e il 4 settembre successivo il disertore Oneto finirà fucilato da un plotone misto di partigiani e decumani. Fin qui l'episodio, ma quanto di fondamentale è accaduto ad Ozegna, ossia il tentativo di dialogo della Decima strumentalizzato e ritorto contro i suoi stessi uomini, ha convinto Borghese che la linea della "coesistenza" non può più continuare. La Decima si difenderà attivamente contro chiunque cerchi di attaccarla. Sorprendentemente, la stagione del dialogo non si chiude così; accordi tentati ed in parecchi casi raggiunti permetteranno di salvare numerose vite di ambo le parti. Il tentativo più clamoroso sarà lo sfondo per un'altra lugubre tragedia in quell'Italia corrosa d'odio: la strage della malga di Porzus.
Marino Perissinotto

Voce CLN (Piero Urati)

Piero Piero è all'albergo Centrale di Pont Canavese. E passato da poco mezzogiorno quando vede arrivare una donna anziana, una delle tante staffette delle Formazioni Matteotti; viene a riferire che dei marò della X Mas sono a Ozegna pronti a disertare, attendono un treno. Il comandante Piero Piero decide prontamente di partire per Ozegna con un'Aprilia e due camion; il camion più grande a Cuorgnè si ferma, il Comandante ordina di far salire il maggior numero possibile di uomini sull'altro camion e di proseguire. Giungono così in breve tempo, via Rivarolo, a Ozegna. Il comandante Piero Piero è sull'Aprilia con tre partigiani, lo seguono sul camion gli altri della sua Volante.
Si dirige verso la stazione. Un marò di guardia spara per paura, era mezzo addormentato, anche gli altri dormivano, e colpisce il parabrezza dell'auto che finisce in una cunetta di scolo. Il colpo attraversa l'abitacolo senza ferire nessuno ed esce dal vetro posteriore. Dietro all'Aprilia sta arrivando il camion con i partigiani. Gli altri marò fermi alla stazione in attesa di un treno che non arriva, non sparano; volevano arrendersi, qualcuno ha ringraziato il cielo perché il comandante Piero Piero è arrivato per primo.
I partigiani tirano fuori l'auto dalla cunetta di scolo e accerchiano i marò, li prendono senza sparare un colpo. Intanto, Piero Piero sente un rumore di camion che proviene dalla vicina piazza. gira la macchina e si dirige verso la piazza. Il rumore aumenta, sono in arrivo altri marò con due macchine, di cui una del capitano Umberto Bardelli, un camion e una corriera; stanno cercando i presunti disertori perché il loro capo, tenente medico Gaetano Oneto, ha disertato con loro e si è portato via la cassa del battaglione. Appena l'Aprilia si affaccia sulla piazza, Piero Piero viene tirato fuori dall'auto da un marò. E’ il vice di Bardelli che gli dice: 'Tu sei Piero" e lo mette contro il muro della chiesa. Il comandante Piero Piero è disarmato, il suo mitra è sul sedile. Sul sagrato ci sono in quel momento anche il parroco don Bacchio, don Dante Ruffa di San Giorgio e il podestà. Qui comincia il colloquio con Bardelli. Si parlano quasi da vecchi amici; Piero Piero gli chiede anche la sua provenienza e viene a sapere che è nativo di Conegliano Veneto. Il capitano Bardelli chiede la restituzione di Oneto e dei disertori appena fatti prigionieri, in cambio promette di non fare nulla né a lui né ai suoi. Minaccia anche di portare Piero in caserma se non consegna i disertori. Piero Piero risponde: "So la fine che fate fare a chi portate in caserma", poi tergiversa, tratta, intanto vede dalla sua posizione privilegiata i marò in assetto di guerra, pronti a sparare a un cenno del loro comandante. Bardelli parlotta con i suoi, torna alla carica, vuole Oneto a qualunque costo; ma il comandante Piero Piero vede affacciarsi alle finestre, sui tetti in posizione ottimale i suoi partigiani, tutti appostati e pronti a sparare. Eleganti i marò nelle loro divise ordinate, ma che sollievo nel vedere le proprie truppe rabberciate e armate! L'aria si fa carica di elettricità e don Bacchio, il podestà e don Dante Ruffa a un cenno di Piero Piero si defilano, hanno capito che aria tira, entrano in chiesa. Alle insistenze del capitano dei marò, Piero Piero resiste ancora un po' con la tattica del tira e molla, ma è una questione di secondi, Bardelli è avvisato con un cenno dai suoi, che i partigiani li hanno circondati, si distrae un attimo, fatale, e Piero Piero con un gesto fulmineo gli strappa la mitraglietta e grida: "Arrendetevi!", ma il capitano Bardelli risponde: "Il Barbarigo non si arrende" ed è la sua ultima parola.
Il Comandante fa fuoco per primo, e con una raffica di mitra uccide Bardelli e gli ufficiali che sono vicini a lui. Si scatena il finimondo; tutti sparano, sono un centinaio di persone in mille e quattrocento metri quadri. Diventa un inferno: in ogni angolo della piazza, un marò ferito cerca di farsi scudo con dei mattoni ammucchiati. Il fuoco è concentrato su Piero Piero che viene ferito alla natica sinistra da una bomba lanciata da un marò contro di lui; si salva grazie all'eroismo del Balilla (Armando Francone), il più giovane partigiano del gruppo, tredici anni appena.che gli si butta addosso e rotolano entrambi nel fossato. Francone perderà un occhio e quattro falangi di una mano. Il fuoco dura per alcuni interminabili minuti ma alla fine i marò si vedono sconfitti e si arrendono. Restano a terra tre partigiani, tra cui Giorgio Davito che muore proprio nell’angolo della piazza dove è stata sistemata la lapide in ricordo, e undici uomini di Bardelli tra cui tutti gli ufficiali. I feriti sono parecchi da entrambe le parti. Il Bailla piange e strilla; Piero Piero si alza a fatica, ma è gioioso, tutti i partigiani corrono verso di lui per prendere ordini.
Alcuni marò riescono a scappare e si rifugiano nel cimitero poco distante; tutti gli altri, su ordine del comandante Piero Piero, vengono disarmati e caricati su due camion controllati dai partigiani. I prigionieri vengono portati a Pont e di lì in Val Soana a Campiglia. I feriti vengono curati e ai prigionieri non viene torto un capello.
Piero Piero non può fermarsi, afferra la prima macchina che trova, l'Aprilia è ormai inservibile, carica il Balilla e altri feriti e si dirige verso l'ospedale di Cuorgnè, nel reparto del bravo professor Maggi, dove viene medicato. Lascia lì il Balilla e altri feriti e riparte per la Val Soana. E’ indolenzito, la ferita è molto fastidíosa data la posizione, ma il morale è alle stelle, la vita è salva, è entusiasta. In piazza intanto viene fatto scempio dei morti del Barbarigo da parte di persone che nulla hanno a che fare con i partigiani.

All'indomani della battaglia di Ozegna, i marò minacciano di bruciare il paese. Dopo qualche giorno, un gruppo di ufficiali della X Mas inizia in Val Soana la trattativa con il comandante Piero Piero. L'obiettivo degli ufficiali è quello di riavere il tenente Gaetano Oneto per farsi restituire la cassa e i prigionieri, ma Piero Piero e i suoi partigiani non hanno visto nulla addosso a Oneto e dubitano che possa aver preso il denaro; era però un traditore perché voleva disertare e unirsi ai partigíani e per questo meritava la pena di morte. Il comandante Piero Piero intuisce anche che avrebbero potuto torturarlo per questo, quindi non vuole consegnarlo. Per concludere le interminabili trattative, Piero Piero propone di fucilare sul posto Oneto, visto che il suo destino è comunque segnato, onde evitargli almeno le torture; si prepara un plotone formato da cinque marò e da cinque partigiani della Volante. E’ Piero Piero a dare l'ordine per l'esecuzione che avviene in Val Soana il 16 luglio 1944.

22 luglio 1944 Torino, in risposta a un attentato partigiano, entra in vigore il divieto di circolare in bicicletta nella cinta daziaria (sarà revocato l’11 agosto).
4 partigiani sono impiccati all’angolo tra corso Vinzaglio e via Cernaia, per rappresaglia dopo un attentato contro un ufficiale della Gnr. Altri due partigiani sono impiccati in corso Giulio Cesare.
23 luglio 1944
Morte del partigiano Francesco Poletto
In uno scontro a fuoco ad Agliè tra partigiani della 49° brigata Garibaldi e militi della Decima M.A.S. il garibaldino valperghese Francesco Poletto (Barba), di 19 anni, viene gravemente ferito. Verrà trasportato all'ospedale d'Ivrea, dove morirà. Dell'accaduto abbiamo una testimonianza di Mariuccia Ossola e di sua madre Teresa, titolari a quell'epoca dell'Albergo Sole prospiciente la zona dove avvenne lo scontro: "Una macchina di partigiani con 5 uomini a bordo stava scendendo ad Agliè proveniente da Cuceglio. Alla sua vista i militi della X  MAS, che avevano le loro postazioni sotto i portici, hanno incominciato a sparare. Quei ragazzi  erano proprio finiti, come si dice, in bocca al lupo. La macchina ha cercato di fare in retromarcia il tratto fino alla prima curva per nascondersi al tiro incrociato del nemico, ma uno di loro è stato colpito mortalmente, era il partigiano Poletto Francesco di Valperga. … Noi, del bar, abbiamo avuto tutti i vetri rotti; presi dal panico in quell'occasione ci siamo rifugiati in cantina. Il partigiano ucciso aveva appena 19 anni. L'azione è stata d'una tale rapidità e imprevedibilità che abbiamo sulle prime stentato a capire quello che stava succedendo …"
24 luglio 1944 Ultima incursione aerea sul centro di Torino.
Alessandro Pavolini, segretario del partito Fascista Repubblicano, annuncia alla radio la nascita delle Brigate Nere, definite “forze della riscossa (…) in cui fiammeggerà, in una seconda primavera, il vecchio fuoco dello squadrismo.”

Pont Canavese sono assassinate madre e figlia: Candida Crosasso, 57 anni, e Olga Crosasso, 27 anni, abitanti a Ingria, in val Soana. Arrestate dai partigiani, le due donne non avevano voluto rivelare dove stava nascosto il nipote e cugino Arduino Crosasso, un ufficiale fascista, forse della Gnr. I partigiani le fucilano alle cinque e mezzo del mattino, all'ingresso del cimitero di Pont sotto gli occhi dei parroci di Ingria e di Ronco che le avevano assistite prima dell'esecuzione.

28 luglio 1944
Furto alla conceria di Gallenca

I fratelli Peradotto, titolari della conceria di Gallenca, denunciano un furto compiuto "da una banda di circa una ventina di individui armati … asportando a mezzo di un'automobile ed un grosso camion cuoio per cinghie e articoli tecnici, senza rilasciare nessuna ricevuta. Il furto venne eseguito nella notte dal 28 al 29 luglio 1944 svegliando i proprietari già a letto sfondando una porta di abitazione …"
Sempre alla conceria di Gallenca, secondo alcune testimonianze, avvenne un tragico fatto. Pare che due partigiani si fossero recati alla conceria per requisire del cuoio (non si conoscono i nomi, l'eventuale formazione e la data del fatto). Ai partigiani di Bellandy venne comunicato che dei ladri stavano rubando alla conceria. Una squadra di partigiani (forse al comando del Diavolo Nero), raggiunse immediatamente la conceria ed aprì il fuoco sui due uomini, uccidendone uno e ferendo l'altro che riuscì comunque a fuggire. Accortisi poi, che i due erano effettivamente dei partigiani di un'altra formazione che stavano svolgendo una requisizione, raccolsero il cadavere dell'ucciso, lo misero sulla loro "Topolino", e portarono l'auto oltre Salassa, abbandonandola, e con essa il cadavere. Pare che questo fatto abbia creato un serio conflitto tra le formazioni partigiane interessate.

30 luglio 1944
Combattimento di Valperga

I comandi delle formazioni partigiane venuti a conoscenza di colonne nemiche in marcia verso l'alto Canavese decidono di attaccarle a Valperga.
Partecipano all'azione distaccamenti delle Brigate "Matteotti", della 47° "Garibaldi" compreso il distaccamento cecoslovacco della stessa formazione, la 49° "Garibaldi", le Brigate "Mario Costa" e "De Palo" della VI° Divisione "G.L." per una forza complessiva di quattrocento uomini.
Il primo contatto lo ha avuto "Piero Piero" (Piero Urati) comandante delle "Matteotti" che ne ha sostenuto l'urto con un'avanguardia alcune ore prima.
I partigiani della 47°, della "G.L." ed i Matteottini si appostano piazzando mitragliatori sul campanile e mitragliatrici alla curva della chiesa per battere il rettilineo della strada per Salassa. Altre squadre della 49° e della "Mario Costa" prendono posizione al castello, ai Trucchi e alla fornace. Un gruppo al comando di "Piero Piero", che li precede con una specie di autoblindo autofabbricata, si dirige a Busano per ostacolare un eventuale arrivo di truppe nemiche da quella parte.
Verso le ore 16 si avvista la colonna composta da una trentina di automezzi provenienti da Salassa che sta avanzando a velocità moderata.
Appena giunta a tiro delle armi viene presa tra due fuochi dal centro del paese e dalla strada per Busano. I camions si arrestano sbandando ed i guidatori dei primi automezzi, colpiti dalle raffiche, cadono riversi sui sedili.
Dopo il primo panico, i repubblichini rispondono al fuoco mentre la coda della colonna cerca di retrocedere, ma viene colpita al fianco dai partigiani appostati in via Busano. Restano sul terreno diversi morti e feriti. Dal campanile e dal castello mitragliatori e mitragliatrici pesanti tengono sotto il fuoco il rettilineo della stazione.
Un'altra colonna fascista proveniente da Favria verso Busano viene fermata e respinta.
L'imboscata è riuscita e si è trasformata in un lungo combattimento. Sia a Valperga che a Busano tutti i tentativi fascisti di sfondare vengono respinti. Gli automezzi non riescono ad avanzare bloccati dal fuoco partigiano. E' ormai sera, gli scontri sono durati più del previsto con dispendio di molto munizionamento, i comandanti prevedendo l'arrivo di rinforzi nemici danno l'ordine di ritirarsi.
E' buio quando i fascisti entrano in Valperga sotto la protezione dei carri armati tedeschi "Tigre" e per rappresaglia incendiano le case del Borghetto. Durante il combattimento muore il valperghese Rocco Franco, di anni 23 , che incautamente si è sporto sotto l'arco di via Volta ed è stato colpito dal tiro dei fascisti appostati alla stazione. Dei caduti nazifascisti nella battaglia di Valperga si conosce un solo nome: Vitarelli Giuseppe di anni 32 nativo di Pola.
L'incendio per rappresaglia potrebbe essere esteso a tutta Valperga, fortunatamente è   circoscritto alle case del Borghetto ed a diverse case di V. Mazzini come la locanda del Valentino e la panetteria Cresto. Dall'incrocio di Via Verdi e V. Villa, verso il centro di Valperga, i fascisti rompono porte, finestre e suppellettili varie.
Nella notte del 29 e 30 i partigiani presero posizione; parte in Val Canischio, parte a Formiero e Alpette, parte a Voira e Pont e parte nella Valle Sacra. Nei giorni 30  e 31 i luoghi citati videro numerosi scontri tra i partigiani e le forze avversarie, preponderanti di uomini e mezzi.

31 luglio 1994

Il giorno successivo al combattimento di Valperga, il Podestà fece affiggere dei manifestini:

VALPERGHESI !

Vi invito a voler riprendere immediatamente le Vostre attività. I negozi si riaprano immediatamente, perché la calma assoluta deve regnare in Valperga, e nessun altro incidente deve accadere. La popolazione non deve temere nessuna deportazione, o altre cose del genere.
Se uno scontro estraneo a noi, ha provocato l'incendio di alcune case, dobbiamo rivelarci degni di essere Canavesani, forti e leali e soprattutto Italiani. Le Forze Armate che hanno dovuto fare la suddetta rappresaglia, hanno riconosciuto pure loro che noi eravamo soggetti alla legge del più forte.
Siamo forti, tale incidente non è avvenuto per nostra colpa. Come cosa superflua, invito la popolazione tutta ad essere corretta colle truppe di passaggio, e non ostacolare il compito loro assegnato.
Siate calmi, tranquilli e disciplinati come sempre, e vedrete che ne trarremo vantaggi per noi, per Valperga e per la nostra bella Italia già tanto martoriata.
Valperga, 31 luglio 1944
IL PODESTA rag. Remigio Bargero

Dopo l'imboscata di Valperga i nazifascisti iniziano un grande rastrellamento che si estende da Rivara a Cuorgnè. A Buasca  i fascisti bloccano alcuni operai che stanno uscendo dalle fabbriche, poiché e mancata l'energia elettrica, li perquisiscono e ne controllano i documenti. Incappa nel rastrellamento il partigiano Grosso Pierino di Valperga, di anni 32, della 49° "Garibaldi". Viene perquisito, nelle tasche ha il tesserino: è un garibaldino e per il nemico è un motivo sufficiente per essere messo al muro e ucciso con due colpi di pistola alla nuca.

Il 31 luglio la X inizia un’azione di rastrellamento nella valle dell’Orco, e lo stesso giorno il gruppo di artiglieria “Colleoni” perde 4 uomini in uno scontro con i partigiani.
Nei giorni seguenti i marò fecero la loro comparsa nei paesi di Pont Canavese, Lanzo e Alpette, puntando poi, con il sostegno delle Brigate Nere, su Sparone, Ribordone, Prascondù e in Val Soana. I partigiani, che si erano già preparati nei giorni precedenti, si ritirarono sopra Noasca. Gli unici scontri di qualche significato videro l’intervento dei pezzi da 75/13 del “Colleoni”, che in un paio di occasioni spararono alcuni colpi in direzione delle montagne. Per le forze della R.S.I. le difficoltà cominciarono a partire dal 5 agosto, a causa di un periodo di piogge fastidiose e di una serie di frane provocate dai partigiani sopra Noasca.
Le forze partigiane vista l'inutilità di una resistenza prolungata per l'inferiorità nel numero di uomini e di mezzi logistici si ritirarono nella notte fra il 31/7 el'1/8 parte in Val Soana e Ribordone e l'altra verso l'alta Valle Orco. Sopra Noasca i giorni 3 e 4 si trovarono a fronteggiare il nemico: la 77° Brigata Garibaldi comandata da Goglio Battista (Titala) con un gruppo di Jugoslavi, comandati dal Maresciallo Popovic, la 49° Brigata Garibaldi al comando di Trione Giuseppe (Ciciolo), un gruppo di cecoslovacchi comandati da un loro ufficiale ed infine una squadra di G.L.
I partigiani in tale posizione contrastarono l'attacco nemico infliggendogli gravi perdite e perdendo tre valorosi compagni.
Nella notte fra il 4 ed il 5 agosto i partigiani spostandosi da Noasca si attestavano a difesa di Ceresole, mentre i Nazifascisti inferociti dalle perdite subite si ritiravano dando alle fiamme parecchie  case di Noasca e della vallata.

 

 

2 agosto 1944

Ai primi di agosto 1944 oltre mille partigiani sono imbottigliati in fondo alla Valle Soana con pochi viveri e con la necessità di approvvigionamenti; un problema che si affronterà organizzando un centro logistico.

Il 2 agosto comincia l'avanzata nemica in Valle Orco dove tra Noasca e Ceresole sono concentrati i garibaldini e alcuni nuclei delle GL.
L’ 11 agosto l'offensiva nazifascista è ormai nella piana di Ceresole, dove si svolge la celebre battaglia in cui restano feriti diversi gerarchi fascisti, tra cui lo stesso Pavolini. Intanto il 4 agosto le truppe nazifasciste tentano anche di occupare la Valle Soana e la Valle di Ribordone. In Val Soana giungono fino a Stroba e vengono ricacciati dagli uomini di Piero Piero; muoiono due partigiani delle Matteotti: Pierino Gallo Balma e Domenico Orso. Nella Valle di Ribordone la X Mas arriva fino al Santuario di Prascondù.
1 partigiani si ritirano, ma non svallano e decidono di non attaccare più, ma di filtrare poi tra le maglie dei nemici. 1 fascisti, dopo qualche giorno si ritirano.
U offensiva nazifascista riesce a tenere in pugno tutto il Canavese e costringe i par¬tigiani a rinunciare ai combattimenti: si toma alla tattica della primavera: imboscate, agguati a veicoli più o meno isolati, attacchi ai posti di blocco, inoltre si attendono i lanci che non arrivano o che non vanno a buon fine. 1 nazifascisti tuttavia, nonostante i successi di agosto, non riescono a debellare le formazioni partigiane del Canavese.
A Cuorgnè lavora a pieno regime un ufficio investigativo a capo del quale vi è il tenente Umberto Bertozzi, fascista fanatico, comandante della compagnia ope¬rativa della X Mas e famoso per le sue crudeltà, assimilabile al temuto Fumai di stanza a Volpiano.
Vengono presi di mira soprattutto i parroci dei piccoli centri perché ritenuti fiancheggiatori dei partigiani. Sono incarcerati il parroco e il vice parroco di Forno, il parroco di San Giusto don Scapino, quello di Feletto don Barettini. di Spineto, di Pertusio. Tutti vengono sottoposti a sevizie fisiche e morali, ma nessu¬no tradirà la sua gente. La popolazione vive nel terrore; la X Mas compie arresti

 

1944  
Agosto 1944
Arresti di civili da parte della X

Con l'occupazione di Cuorgnè da parte della X MAS, iniziano le rappresaglie nelle famiglie dei partigiani. I familiari dei giovani datisi alla macchia sono in gran parte imprigionati   nella caserma Pinelli di Cuorgnè, fra loro numerosi valperghesi.
Tra i prigionieri  diverse mamme di giovani di leva che non si sono presentati all'arruolamento. Verranno trasferite in seguito, con autocarri militari, dalla caserma di Cuorgnè alle carceri "Le Nuove" di Torino. Una di loro, Domenica Serena, di salute cagionevole, avrà gravi problemi   a causa dell'arresto e della successiva prigionia. L'aggravamento delle sue condizioni  sarà causa della morte che avverrà, all'età di 47 anni, il 10 luglio dell'anno successivo. Domenica Serena sarà considerata  vittima civile per causa di guerra.  Anche diversi parroci sono perseguitati perché accusati di collaborazionismo con i partigiani. I primi ad essere imprigionati sono il parroco e vice parroco di Forno, poi quello di S. Giusto. Successivamente  vengono reclusi i parroci di Feletto, di Bosconero e di Spineto. Il vice parroco di Pertusio, don Felice Bergera, sarà incarcerato per cinque giorni. Anche il prevosto di Pertusio, don Tomaso Favero, nonostante i suoi ottant'anni verrà   trattenuto come ostaggio nella caserma di Cuorgnè.
Il volume " Clero, guerra e Resistenza nella diocesi di Torino " contiene questa relazione sulla detenzione del parroco e del vice parroco di Pertusio: "…A beneficio di sfollati: fu dato in affitto un alloggio con due camere nei locali della canonica ad una famiglia di sfollati.
Dei perseguitati per motivi di razza: dall'ottobre 1943 fino ai giorni della Liberazione fu ospitato in casa con alloggio e vitto il sig. Alessandro Momigliano, fu protetto e messo al sicuro sì da non avere avuto la minima noia.
Dei perseguitati per motivi di politica: fu data ospitalità per un mese e mezzo alla signora Annunziata Spadaccini, proveniente da Nizza e nei giorni della persecuzione residente a Genova. Fu dato altresì alloggio e vitto per un mese circa al sig. Cellerino Antonio da Torino cercato dalla questura repubblicana. Sconosciuto in paese, declinava le proprie generalità al sig. prevosto can. Don Tommaso Favero e si raccomandava alla sua grazia come appartenente al CLN clandestino della DC. In seguito a denuncia veniva ricercato in paese la sera del 25 settembre 1944 da una squadra di repubblicani della X  MAS al comando del tenente Bertozzi. Mentre la canonica veniva perseguita, il comandante interrogava il sig. prevosto per avere sicura traccia e così arrestare il Cellerino. Alle risposte evasive del prevosto e data la sua avanzata età, lo lasciava libero. Faceva però chiamare il vicecurato, Don Bergera Felice. Abusando della forza, faceva salire in macchina come responsabile il giovane prete e lo tratteneva nelle carceri di Cuorgnè per cinque giorni. Fu messo il libertà dietro il cambio fatto con prigionieri della X.
Opera di mediazione: Per tre mesi consecutivi tutti i sacerdoti della parrocchia furono presi per turno come ostaggi. Il sig. prevosto, nonostante i suoi ottant'anni, dovette anch'egli presentarsi e fu trattenuto per una giornata intera nella caserma di Cuorgnè.
Assistenza religiosa: Fu assistito e sacramentato un partigiano ferito in combattimento e ricoverato provvisoriamente in paese. … 

4 agosto 1944
Vengono prelevati numerosi ostaggi, compreso il podestà di Valperga

I partigiani con un atto di sabotaggio interrompono le linee telefoniche. I tedeschi, per rappresaglia, prelevano undici uomini quali ostaggi e li portano nella caserma di Cuorgnè. Il giorno successivo 2 ostaggi sono rilasciati, viene convocato in caserma il Podestà e viene  trattenuto come ostaggio. Non sappiamo quando  siano stati rilasciati. Il giorno 9 agosto,  il segretario comunale invia una lettera al Capo della Provincia per perorare il rilascio del Podestà:

A S. Ecc.za Bruno Stefanini
Capo della Provincia di Aosta,

Vi comunico, per l'interessamento del caso, che domenica sera è stato prelevato il Podestà Bargero rag.Remigio dalle Forze Armate Repubblicane di presidio a Cuorgnè.
E' ormai la terza volta che il Podestà viene prelevato. Questa volta non conosciamo ancora il motivo. Precedentemente era stato prelevato su denunce di privati in mala fede e poi subito rilasciato; qui si vede che è sempre la stessa fonte che spinge approfittando dell'alternamento dei reparti.
… Non comprendo tale modo di agire verso una autorità che rappresenta la Repubblica Sociale.
Certo che questo modo di agire stanca chi deve servire nelle condizioni che ci siamo venuti a trovare noi in questi paesi sede di incursioni alterne dalle Forze Armate Repubblicane e dei ribelli. Già è molto difficile opporsi ai ribelli quando partono le Forze Armate Repubblicane…
I comuni di Valperga e Pratiglione con a capo il Podestà Bargero mai hanno mollato, anzi, specialmente a Valperga si sono prese iniziative e la popolazione ancora possiamo dire di tenerla in pugno.
… Disgraziatamente stavolta un po’ di battaglia si è svolta in paese perché i ribelli scesi dalle montagne si sono appoggiate al nostro abitato e di ciò la popolazione ha già dovuto sopportare gravi rappresaglie. …
Prego il Vostro interessamento per la pronta liberazione del Podestà.

12 agosto il Podestà è ancora trattenuto in caserma, perché in quella data invia anch'egli una supplica al Capo della Provincia:

… Mi permetto farVi osservare che così  facendo tutti i Podestà della zona dovrebbero essere fermati, essendo tutti senza forze armate e di P.S. …
Swcca solo essere trattenuto come ostaggio, dopo tutto quanto ho fatto, tutte le brutte avventure e pericoli corsi quando non si poteva comunicare con la Prefettura; e qui nella zona scorrazzano i ribelli armati che avremo dovuto fermare noi, e con quali mezzi?
Confido nel Vostro autorevole interessamento e porgo distinti saluti.

10 agosto 1944 Il 10 agosto, nel quadro delle operazioni intese a preparare le prime operazioni antipartigiane, Pavolini incontrò a Torino i federali che avevano costituito reparti di Brigate Nere. Secondo quanto raccontato dal Federale di Brescia Antonio   Melega, il segretario del partito aveva ricevuto da Mussolini, proprio in quei giorni, anche l’incarico di contattare il comandante Borghese per sondarne le intenzioni in caso di sconfitta tedesca, eventualità che appariva ogni giorno sempre più probabile.
11 agosto 1944 Pavolini, assieme al Federale di Torino Giuseppe Solaro, al vice federale Lorenzo Tealdy e allo stesso Melega, raggiunse Cuorgné, incontrando il capitano di corvetta Beniamino Fumai, comandante del battaglione “Sagittario”. Quest’ultimo informò i visitatori che Borghese si trovava dalle parti di Ceresole Reale, e dopo il rancio offrì loro la guida di un militare per raggiungere più facilmente la località.
Dopo aver parlato con il comandante della X e aver assistito a qualche breve scambio di fucilate fra le truppe della R.S.I. e i partigiani, Pavolini decise di avanzare lungo la strada stretta e piena di tornanti che porta a Ceresole Reale. L’intenzione era con tutta probabilità quella di verificare le condizioni della zona e le difficoltà operative in vista dell’impiego della Prima Brigata Nera Mobile del colonnello Gori, con base a Sandigliano, ma il federale Melega si oppose all’iniziativa, perché temeva che i partigiani fossero ancora in zona. Dopo una breve discussione Pavolini riprese però la marcia, senza curarsi delle proteste degli uomini che gli stavano intorno. La decisione fu tutt’altro che felice, perché in effetti i partigiani erano numerosi e determinati: nella zona si trovavano la IV divisione “Garibaldi” (5 brigate al comando dell’ex sergente degli alpini Giovanni Picat Re, nome di battaglia “Perotti”), la brigata di manovra “Spartaco II”, i distaccamenti di Giustizia e Libertà “Piero Franceschini” e “Paolo Braccini” (comandati rispettivamente da Roberto Genesi e dal tenente Cassioli) con un totale di 60 uomini, una cinquantina di cechi che avevano disertato dalla Wehrmacht ed erano comandati dal tenente Mirko Vrana, 24 serbi, alcuni russi e iugoslavi, un turco, un inglese, un polacco e alcune squadre della II divisione “Garibaldi”.
Dopo aver percorso un breve tratto di strada il gruppo di Pavolini fu raggiunto da numerosi colpi di arma da fuoco. De Benedictis rimase ferito ad una spalla, mentre il colonnello Quagliata fu raggiunto da un proiettile al ventre. Subito dopo, anche Melega fu raggiunto da due proiettili, che lo colpirono uno sulla fibbia del cinturone, facendolo cadere a terra, e uno alla mascella.
Anche Tealdy e Pavolini rimasero feriti nell’azione, e Pavolini, in particolare, fu colpito ai glutei dalle schegge di una bomba a mano lanciata dal Gino Seren Rosso di Cuorgné, salvandosi solo perché indossava una divisa senza segni distintivi particolari; i partigiani, di conseguenza, non si resero conto dell’importanza dell’uomo che giaceva ferito in mezzo alle rocce a poca distanza dalle loro posizioni.
La situazione si sbloccò soltanto verso il tramonto, quando le truppe della R.S.I. e un reparto di “Alpenjager” tedeschi raggiunsero il luogo dello scontro e recuperarono Pavolini e de Benedictis. Il segretario del partito, a causa delle ferite, non era in grado di camminare, e così fu necessario improvvisare una barella con un telo militare e due rami per portarlo al sicuro.
Lo scontro aveva avuto un prezzo molto alto per le truppe della R.S.I. (il colonnello Quagliata e diversi altri militari), ma anche i partigiani avevano subito gravi perdite: erano infatti caduti il militante comunista Battista Goglio (detto “Titala”), Andrea Marchetti, Angelo Andolina, Antonio Brega, Cesare Dellacrà, Vaclav Gibulka.
Con un’azione aggirante reparti della X costrinsero i partigiani a ritirarsi, e così le truppe della R.S:I. entrarono a Ceresole, spingendosi poi in direzione dei passi del Nivolet e della Galisia.
Nel frattempo, Pavolini era stato ricoverato nella sezione chirurgica delle Molinette, dove fu sottoposto ad un intervento chirurgico durato una ventina di minuti.
Domenica 13 agosto 1944 il quotidiano “La Stampa” commentò l’accaduto, sottolineando come il segretario del partito  non si fosse “limitato a firmare delle circolari ed a diramare degli ordini”, ma avesse “lasciato la sede comoda e sicura per affrontare, nelle zone impervie di montagna, gli agguati di elementi asserviti al nemico. La degenza di Pavolini fu piuttosto lunga, perché trascorse circa un mese prima che il segretario del partito potesse camminare da solo, sia pure con l’aiuto di un bastone.
15 agosto 1944 Persino vendere il pane a qualche reparto fascista poteva condurre alla tomba. Successe così a madre e figlio, uccisi il 15 agosto 1944 a Caselette, un comune vicino a Torino. Lei si chiamava Giuseppina Bessone in Pasinetti e il figlio Bruno Pasinetti, entrambi fornai.
16 agosto 1944 Feletto, dopo uno scontro con i partigiani, i fascisti incendiano per rappresaglia circa trecento case.
17 agosto 1944 Giaveno, il comandante partigiano Felice Cordero di Pamparato, catturato due giorni prima dalle Brigate nere, viene impiccato nella piazza della stazione insieme a Giorgio Baraldi, Vitale Cordini e Giovanni Vigna.
26 agosto 1944 Una colonna nazifascista parte da Susa e risale il Rocciamelone per attraversare il colle della Croce di Ferro e sorprendere alle spalle le forze partigiane. Alle Grange Sevine viene fermata dai partigiani della Valle di Susa. Dopo un combattimento di sette ore 150 fascisti vengono fatti prigionieri.
30 agosto 1944 Torino, attentato partigiano al Caffè degli Artisti di via Bogino; vengono uccisi 5 militi della X Mas. Per rappresaglia vengono fucilati in piazza Carlo Alberto 5 (6?) partigiani prelevati dalle carceri Nuove
1 settembre 1944 Brigate nere a Valperga Sono presenti a Valperga brigatisti neri del 115° battaglione "M" Montebello. Questa informazione si ha dalle fatture dei pasti consumati presso la Società Operaia allora trasformata nell'Albergo Impero, gestito dalla famiglia Ibis, che si trovava nell'edificio, ancora di proprietà Ibis, di V.Matteotti n° 3.
3 settembre 1944 Assassinata in casa come spia una ragazza di 17 anni, Domenica Careglio. Più di tre mesi dopo, il giorno di Natale del 1944, i partigiani uccisero pure il padre e la madre di Domenica: Tommaso Careglio, 41 anni, e Anna Olivero, 44 anni. Anche loro vennero soppressi in casa. E anche loro perché ritenuti spie dei fascisti.
5 settembre 1944 Barbania, i nazisti distruggono la frazione Boschi e fucilano 6 civili.
6 settembre 1944
Il partigiano Giuseppe Massola viene ferito mortalmente

Una squadra della VI "G.L.", nell'intento di catturare prigionieri ed armi, attacca   il treno la Canavesana nel tratto Oglianico-Favria. Nella sparatoria restano uccisi alcuni nemici. Purtroppo perdono la vita anche tre partigiani: Torriani Luigi, di anni 20, da Torino - Rolando Perino Domenico, di anni 24, da Busano e Massola Giuseppe, di anni 19, da Valperga.
Giuseppe Massola, nato a Villanova Biellese nel 1924, viveva a Valperga nella cascina San Martino di Gallenca, con altri sette fratelli e quattro sorelle. Contadino, esentato dal servizio militare, dopo l'8 settembre '43 sente comunque il dovere di arruolarsi nella VI Divisione Alpina Canavesana G.L. Nell'assalto alla Canavesana del 6 settembre '44, rimane gravemente ferito all'addome. Soccorso da persone amiche, durante la notte viene trasportato a casa dai familiari, su un carro agricolo. Nonostante l'intervento del medico, morirà la mattina successiva, il 7 settembre '44.
Si riportano alcuni brani della testimonianza di Palmira Santagiuliana, ved. Fusi, che si trovava sul treno all'epoca del fatto:
…ritornavo in treno da Bosconero dove ero andata ad acquistare un sacco di grano. Sul treno c'erano numerosi "repubblichini", nei pressi di Favria fu fatto fermare dai partigiani. Inizio subito una sparatoria, noi sbirciavamo dai finestrivi quello che stava accadendo, naturalmente con molta paura. Nella confusione di spari e  armati che correvano, vidi un giovane cadere colpito nella scarpata ferroviaria. Lo riconobbi perché era uno di Gallenca, di San Martino, era Giuseppe Massola. Dopo qualche tempo il treno ripartì, non si fermò a Valperga ma raggiunse Cuorgnè. Ritornai a casa, e con mio marito andammo a portare la brutta notizia ai famigliari del povero Giuseppe. Essi partirono con un carretto ed andarono a recuperare il loro congiunto che non era morto ma gravemente ferito. Andai a trovarlo, ma non mi riconobbe, era ferito mortalmente, morì alcune ore dopo. Questo episodio mi rimase impresso nella mente con dolore…

8 settembre 1944
Assalto alla Canavesana

"La Canavesana" è ancora fermata, tra Valperga e Salassa, da una squadra di "Gielle": i militi rispondono al fuoco e lo scontro si fa cruento. I partigiani non possono portare a fondo l'attacco per non colpire i civili.

11 settembre 1944 Sciopero generale dei ferrovieri. In Val di Lanzo i nazifascisti scatenano una violenta offensiva che, dopo 17 giorni di resistenza costerà ingenti perdite ai partigiani.
13 settembre 1944 Vengono sequestrate le radio private

La Decima Mas fa sequestrare, dal Comune, le radio, e ordina l'affissione dei nomi degli abitanti sulla facciata del portone della casa da essi abitata. Viene sollecitato il Podestà a comunicare se l'ordine è stato eseguito.
Il Podestà, rag. Remigio Bargero, invia l'elenco dei nominativi delle persone proprietarie delle radio sequestrate (n° 31 radio) e comunica che la popolazione ha eseguito l'ordine di affiggere i nomi degli abitanti sui portoni di casa.

22 settembre 1944
Il partigiano Vittorio Peradotto viene ferito mortalmente

Nella valle di Ribordone in località "Il Biro" muore il partigiano valperghese della VI "G.L." Vittorio Peradotto a seguito di ferite riportate  durante uno scontro a fuoco con una pattuglia della X° MAS. Della sua morte esiste una testimonianza, del cugino Remo Bonetto di Cuorgnè, riportata nel volume "La Resistenza di Giustizia e Libertà nel Canavese" di Bruno Rolando: La sera dell'11 settembre Vittorio scende dall'alpe Testona, sede del Comando di Divisione, per raggiungere più in basso il cugino Remo e Dario Fenoglio. Devono andare per servizio a Cuorgnè, sono tutti e tre armati, e sono preceduti da Paolo Orso disarmato. Conoscono la strada ad occhi chiusi, alla frazione Ceresetta dovranno lasciare la strada che va Sparone  per percorrere un sentiero a mezzacosta che porta alla frazione Frachiamo, per scendere alle Fasane, attraversare la strada provinciale ed infine il fiume Orco e giungere a Cuorgnè percorrendo il terreno sulla destra dell'Orco. Scendono tranquilli perché quel percorso è sicuro e non si sono mai fatti cattivi incontri. Camminavano da oltre un'ora  quando sentono gridare: "Decima!  Mani in alto!" ( i fascisti della X° avevano già bloccato di sorpresa Paolo che essendo disarmato non li aveva costretti a sparare).
Questione di attimi e si sente un crepitare di colpi di mitra, anche perché non avevano alzate le mani.
Vedo Vittorio che fa cenno di voltarsi ed io mi butto giù dal sentiero. In quel punto c'è un salto di 15 metri circa e vado a finire dopo qualche ruzzolone appeso con lo zaino ad un gruppo di piante. Sento sempre i colpi di mitra, mi sfilo lo zaino che lascio tra le piante e mi butto nuovamente giù. Trovo una balma (un riparo sotto roccia  n.d.r.), mi metto sotto, tolgo la sicura ad una bomba a mano e resto in attesa degli eventi. Nel frattempo gli spari sono cessati e dopo circa un quarto d'ora vedo in alto, sul sentiero, degli uomini che tornano verso Frachiamo, vedo una maglia bianca in mezzo a loro, e subito penso: Dario è stato preso. Penso a mio cugino che era vestito quasi da cittadino e non mi passa per la testa nulla di grave e mi dico: avranno preso pure lui e così torno indietro attraverso il bosco.
Arrivo a Ribordone e la ronda partigiana mi corre incontro, racconto dell'imboscata e vado a curarmi un taglio vicino alla bocca e tante graffiature, ma mentre sto raccontando la mia disavventura giunge una ragazza da Ceresetta che dice: "Venite giù che Vittorio è ferito gravemente!". Si corre a Talosio dove avevamo una 500 in dotazione a Ricco Enrico (Ricco morirà nella tragedia della Galisia) che parte immediatamente, mentre io salgo a Testona (due ore di salita ed una di discesa) a chiamare il dottore. Intanto Ricco è tornato col ferito e alle 1,30 circa siamo al capezzale di Vittorio dove il medico diagnostica un colpo alla spalla sinistra ed uno alla schiena, sono due brutte ferite ma dovrebbe farcela. Purtroppo non fù così, la sera del 22 avviene un improvviso peggioramento e dopo un'ora e mezza di agonia è spirato tra le mie braccia.

24 settembre 1944 Laura Rava in Roscio, nata a Ivrea e vedova di un notaio. Era stata insegnante e ormai si trovava in pensione. I partigiani la rapirono e il 24 settembre 1944 la eliminarono a Noasca, in val Locana, dopo averla seviziata. Il corpo fu poi gettato nudo in un canale.
 


3 ottobre 1944

A fine settembre un distaccamento d'una cinquantina di partigiani si stabilisce al rifugio Gastaldi per controllare il versante del Pian della Mussa, onde prevenire eventuali passaggi nemici volti a prendere alle spalle la Valle di Viù dal Passo delle Mangioire.
Il 3 ottobre il nemico attacca quella posizione, dopo un cannoneggiamento preparatorio contro le pendici della Bessanese e tutt'attorno al rifugio. Con la mitraglia Celso Miglietti tiene a bada le pattuglie avanzate, senonché la solita spia guida i repubblichini per una via defilata sino a sbucare nei pressi dell' arrivo della teleferica del rifugio, mentre altre squadre salgono da diverse parti. Bisogna fuggire con Celso gravemente ferito, tentando col buio di raggiungere il Col d' Arnas per sconfinare in Francia. Intanto il rifugio viene occupato e dato alle fiamme.
7 ottobre 1944 Torino, 4 partigiani sono condannati a morte dal Tribunale speciale e giustiziati.
9 ottobre 1944
Fucilazione del partigiano Franco Dusi

Nella notte tra l'8 e il 9 la brigata "Mario Costa" della VI° GL si trasferisce in Valchiusella a Rueglio. Cinque partigiani, che hanno dovuto ritardare la partenza per un guasto ad un automezzo, vengono sorpresi da un rastrellamento tedesco e catturati alle Benne di Oglianico. Legati ai polsi, le braccia dietro la schiena, vengono quindi condotti ai Mastri a piedi, ed lì fucilati alla schiena con raffiche di fucile mitragliatore. Tra di loro vi è Franco Dusi , di anni 18, di Torino. Gli altri caduti sono: Dazzo Mario, Elio Mattioda, di 20 anni, da S.Anna di Castellamonte, Bruatto Bartolomeo e Ugo Marcone.
Franco Dusi  era residente a Valperga  con la famiglia sfollata da Torino. Il padre Luigi, capitano di complemento e combattente della Prima guerra, richiamato in servizio per la Seconda guerra,  morì a Valperga, nel 1943, a seguito di postumi di prigionia.
Di Franco Dusi esiste un ricordo, a cura di Ferdinando Prat, pubblicato su "Il mio angolo di Resistenza - Gimmy Troglia": …era nato a Torino il 15 aprile 1926. Animato da alti ideali, precocissimo nel corso degli studi (aveva quasi compiuto il primo biennio di Medicina quando morì), adempì con entusiasmo per parecchi mesi al suo dovere di partigiano, sorretto anche da un fisico robusto ed addestrato alla montagna…
Un altro ricordo, toccante, di Dusi lo troviamo pubblicato nel "Diario partigiano" di Ada Gobetti:
Franco Dusi è morto fucilato, nel Canavese.
Penso a sua madre. Ma penso soprattutto a lui: a lui come lo vedevo bambino quando andavo a prendere Paolo alle elementari e sorridevo al suo visetto arguto ed alla sua aria di ponderata importanza; e ricordo quando venne a dare l'esame di ammissione al "Balbo" e sbalordì tutti colla sua conoscenza del sistema alpino; e come lo vidi crescere, anno per anno, accanto a Paolo. Me li vedevo dinanzi, nello stesso banco, a scuola, e perpetuamente cinciavano e si litigavano; e me li vedevo insieme a casa quando preparavano la licenza e traducevano Sofocle e leggevano Dante e Spinoza; e preparavano le voci per il "Dizionario Bompiani"; e si andava insieme in montagna. E sempre provavo, guardandolo, così bello e forte e intelligente, un intimo materno compiacimento e per lui, come per Paolo, costruivo i sogni più belli. E quando venne l'ora del pericolo, cercai di tenerlo fuori, quasi dominata da un timore presago. Ma Franco entrò lo stesso nella battaglia; non era uno che potesse starsene fuori. E ora è caduto.
Pare impossibile, dopo simili colpi, poter continuare a camminare.

10 ottobre 1944 Torino, attentato all’albergo “Tre Re” nei pressi di piazza Statuto. 10 soldati tedeschi restano feriti.
11 ottobre 1944 Torino, per rappresaglia 9 partigiani vengono uccisi sul luogo dell’attentato ai soldati tedeschi.
I comandanti partigiani Battista Gardoncini e Giuseppe Casana, sono fucilati, insieme ad altri 7 partigiani, catturati durante il tentativo di trasferimento delle loro truppe dalla Val di Lanzo, in seguito al duro attacco sferrato dai tedeschi per ripendere il controllo di tutta la vallata.
14 ottobre 1944 Traveselle, nei giorni 14 e 15 ottobre, i nazifascisti uccidono 15 partigiani e incendiano il municipio e 53 case; 31 sono totalmente distrutte.
20 - 21 e 22
ottobre 1944
Cade a Ronco il garibaldino Vincenzo Comolo
Le truppe nazifasciste attaccano in forze le formazioni partigiane dislocate in Valle Soana. I combattimenti sono cruenti, l'artiglieria entra in azione e cannoneggia le postazioni partigiane. I distaccamenti sono costretti a ripiegare lasciando sul terreno oltre 30 compagni caduti. Tra questi vi è il garibaldino Vincenzo Comolo della 47^ brigata Garibaldi. Il suo cadavere viene rinvenuto nel comune di Ronco in località Pian la Sal. Vincenzo Comolo, nativo di Crevacuore (VC), di anni 51, operaio filatore è residente a Valperga. Non si sono reperite altre notizie sul Comolo, molto probabilmente era sfollato da Torino con la moglie, Galfione Romano Edvige, che risulterà ancora residente a Valperga nel dopoguerra. 
25 ottobre 1944 Torino, il Capo della provincia vieta la circolazione in città di ogni autovettura civile. Il provvedimento è dettato dall’alto numero di attentati compiuti da partigiani a bordo di autovetture.
1 novembre 1944 Muore a Corio per un incredibile incidente nel maneggio delle armi il commissario politico della Brigata Manovra « Moro » (Mura Salvatore, « Dore »), di anni 24, da Torino.
3 novembre 1944 La sera del 3, al mulino di Rivarossa, dove si erano recati per rifornimenti cadono in un'imboscata i partigiani Borlo Pietro, di anni 19 della 18°, Biava Ernesto, di anni 21, da Rivarossa, della IV Div. e Lurgo Silvio (Bersagliere), di anni 29, da Lombardore, della VI Div. che, segnalati da un delatore vengono accolti a raffiche di mitragliatrice all'uscita del mulino.
4 novembre 1944 Nel pomeriggio pattuglie antiguerriglia risalgono la Valle Soana e su segnalazione di una spia accerchiano il rifugio e le baite in località Boschettiera (Forzo) dove si trova un distaccamento « G.L. » e catturano ventisei partigiani. Peila Lodovico, di anni 19, da Rivarolo riesce a fuggire verso Pian Lavina, ma viene raggiunto e ucciso
9 novembre 1944
Tragedia del Galisia
La salita al Colle Galisia di una corvèe organizzata dai partigiani del Canavese per i primi di novembre '44 si trasforma in una trappola mortale per quarantun giovani, inghiottiti dalla neve e travolti dalla bufera, lungo la discesa attraverso le insidiosissime Gorges du Malpasset, in Val d'Isere,dopo aver sfiorato, senza neppure vederlo, il rifugio del Prariond, la salvezza per l'intera colonna. Quarantun storie che si aggiungono a quelle dei tre superstiti, l'ultimo dei quali, l'inglese Alfred Southon, scomparso improvvisamente nel 1993 durante una vacanza a Malta. E a quelle di alcuni prigionieri slavi che si unirono al gruppo, partendo però in netto anticipo rispetto al resto della colonna. Particolare che getta un elemento di inquietudine sulla vicenda e che provocherà accesi dibattiti ai vertici dei comandi partigiani alla vigilia di quel terribile inverno di guerra. Uno scampato, lo slavo Iso Altaraz, il 19 novembre del 1995 durante la cerimonia organizzata a Ceresole Reale per ricordare la tragedia, esattamente a mezzo secolo di distanza da quei giorni, riaccese le polemiche già scoppiate all'indomani della scoperta dei corpi lungo le Gorges du Malpasset, circa l'assurdità di aver fatto partire la colonna dall'Agnel in tarda mattinata.
L'ODISSEA
Sabato 4 novembre 1944 - Da Borgiallo,Colleretto Castelnuovo, da alcune baite isolate della Valle Sacra,da Ribordone, da Frassinetto e da Alpette dove vivevano nascosti da mesi, i soldati inglesi accompagnati dai partigiani canavesani raggiungono il Santuario di Prascundù, punto di ritrovo per quella "legione straniera" che decine di famiglie canavesane aveva protetto per molte settimane,in attesa delle "corvée" per la Francia liberata
Domenica 5 - Da Ribordone gli uomini della colonna - la maggior parte non si conosceva neppure - ridiscendono verso la valle Orco e raggiungono Rosone e Perebella,sopra Locana:un percorso decisamente lungo, ma scelto per evitare di essere intercettati dai soldati della Wermachat. A guidarli è il tenente "Vittorio" (Alberto Fattucci)
Lunedì 6 - La colonna arriva a Noasca senza incontrare ostacoli: i tedeschi sembrano non preoccuparsi di quell'insolito movimento di camion dell'Aem sulla strada per l'alta valle Orco. Ancora una sosta alla Trattoria del Gran Paradiso, quindi si riparte per Ceresole Reale. Al gruppo si aggiungono alcuni soldati jugoslavi
Martedì 7 - I camion, lentamente, superano il paese: qualche abitante di Ceresole esce in strada a salutare quei ragazzi che sbucano dal telone che chiude i mezzi. La colonna riparte a piedi per il Serrù; a poca distanza c'è il casotto dei guardiani della diga Aem dell'Agnel: qui inglesi, slavi e partigiani italiani trascorrono la notte. Fuori continua a nevicare
Mercoledì 8 - Alle 10 il tenente "Vittorio" dà l'ordine di partire per il Colle Galisia, dopo una lunga discussione culminata con una votazione circa l'opportunià di salire o rinunciare. La colonna lascia il casotto dell'Agnel: ci sono da percorrere settecento metri di dislivello, in condizioni normali,per superarli, bastano poco meno di tre ore. Quella mattina il tempo è pessimo,continua a nevicare, la visibilità è ridotta. Un paio di ore prima Iso Altaraz, insieme ad altri venti soldati jugoslavi, decide di inziare la salita: il gruppo raggiungerà il rifugio del Prariond nel pomeriggio. La colonna guidata da "Vittorio" arriva sul Colle Galisia dopo sette ore di marcia estenuante. La discesa verso il Prariond inizia in mezzo alla tormenta e nella oscurità. Nessuno riesce ad individuare le tracce per raggiungere il rifugio: gli uomini sono costretti a trascorrere la notte all'addiaccio.
Giovedì 9 - La colonna riparte all'alba in mezzo alla tormenta che non è mai cessata;solo gli inglesi Alfred Southon e Walter Rattue rinunciano: sono stremati. Il tenente "Vittorio" ordina ai partigiani Carlo Diffurville e Giuseppe Mina di rimanere con loro: "Quando arriveremo al Prariond vi manderemo i soccorsi"
Venerdì 10 - La tormenta non cessa, i quattro trovano riparo sotto un roccione: i soccorsi non arrivano. Sono vicinissimi al rifugio, ma la tormenta impedisce di vedere quell' "ombra bianca" che avrebbe rappresentato la salvezza
Sabato 11 - Mina e Diffurville,nel pomeriggio,decidono di scendere in cerca di aiuto. Superano il rifugio del Prariond e trascorrono la notte in un capanno di margari: la temperatura è scesa a meno 25 gradi
Domenica 12 - All'alba , Mina e Diffurville riprendono la discesa. Alle Gorges du Malpasset trovano il resto della colonna: i loro amici partigiani e i soldati inglesi morti sotto la neve,travolti dalle slavine o inghiottiti dal baratro. A sera, sono raggiunti da una pattuglia partigiana partita da Val d'Isère
Lunedì 13 - Più in alto, sotto il roccione dove si sono nascosti quattro giorni fa, i due inglesi sono ormai allo stremo delle forze: il maltempo non cessa. Rattue sembra in condizioni più precarie. Southon continua a sfregargli gli arti per eviatare il congelamento
Martedì 14 - La tormenta impedisce alla squadra dei soccorritori di riprendere la marcia alla ricerca della colonna: il comandante "Bellandy" è ormai consapevole che quella missione affidata a uno dei suoi uomini più validi - il tenente "Vittorio" - si è trasformata in una delle tragedie più agghiaccianti per il movimento partigiano.
Mercoledì 15 - Southon e Rattue trascorrono l'ottava notte all'addiaccio,sempre sotto lo stesso spuntone di roccia: i due sono ormai convinti che nessuno riuscirà a riportali a Val d'Isère
Giovedì 16 - Ha smesso di nevicare,le condizioni meteorologiche migliorano. I partigiani partiti da Val d'Isère non riescono però a localizzare gli inglesi: il cuore di Walter Rattue cede
Venerdì 17 - Alfred Southon viene finalmente trovato e trasportato a Val d'Isère dove è sottoposto alle prime cure: le sue condizioni sono preoccupanti, ma sarà salvato,anche se dovrà subire l'amputazione degli arti inferiori. In ospedale sono già stati ricoverati Giuseppe Mina e Carlo Diffurville,entrambi con gravi congelamenti. Sono loro gli unici tre superstiti della colonna di 44 uomini partita dieci giorni prima da Ceresole
IL BILANCIO DELLA TRAGEDIA
Caduti alla Gorges du Malpasset  (9 novembre '44 - Val d'Isère,Francia)
24 Soldati inglesi, 4 Soldati jugoslavi, 10 Partigiani della VI Divisione canavesana "Giustizia e Libertà" (Mario Fattucci, Alberto Fattucci, Giovanni Chiarottino, Danilo Cigliana, Giovanni Diffurville, Giovanni Gallo Balma, Domenico Giovando, Enrico Ricco, Mario Salomone, Piero Tamietti), 3 Partigiani della VIII formazione autonoma "Vallorco" (Elio Di Blase, Giose Malano, Ercole Novaria)
10 novembre 1944
Imboscata sulla provinciale per Salassa e uccisione del civile Andrea Ariotto

Nel pomeriggio del 10 novembre, sulla carrozzabile Salassa-Valperga, una squadra di garibaldini della 49° tende un'imboscata ad una pattuglia tedesca. In quel tratto di strada si trova, costretto al servizio di sorveglianza,  il civile Andrea Ariotto, di 67 anni, di Valperga. I partigiani lo invitano a seguirli onde sfuggire al pericolo della rappresaglia, ma egli non accetta e il giorno dopo i nazisti lo fucilano. Bruno Amerigo ci ha fornito una sua testimoniaza del tragico fatto … Ariotto  era stato comandato alla guardia  della zona tra Salassa  e Valperga, una notte venne sorpreso dai partigiani che lo invitarono ad andarsene e a non dire nulla dato che stavano preparando un' imboscata.
Poco dopo che l’Ariotto se ne andò passò una colonna di tedeschi con sidecar e camion,   i partigiani spararono delle raffiche senza colpire nessuno.
L’imboscata fu un fallimento, l’indomani i fascisti presero Ariotto considerandolo colpevole dell’agguato, lo portarono in caserma a Cuorgnè per un interrogatorio e poi tornati a Valperga lo fucilarono colpendolo alla nuca”. Il servizio di guardia era regolato da un apposito ufficio istituito nei municipi. Era obbligatorio e non erano ammesse inadempienze. Le guardie avevano come distintivo un bracciale bianco e dovevano sottostare a turni di sorveglianza a tratti di strade, di linee elettriche, ponti e ferrovie. Le guardie erano responsabili delle strutture assegnate alla loro sorveglianza, qualora fosse successo qualsiasi atto di sabotaggio o attacco partigiano, esse venivano fucilate per rappresaglia.
Oltre al servizio di guardia, era pure stata istituita una turnazione di ostaggi. Lo stesso ufficio che disciplinava il servizio di guardia, organizzava una turnazione di persone che dovevano recarsi presso la caserma Pinelli di Cuorgnè ed essere a disposizione come ostaggi. Qualora nel paese di loro provenienza fossero avvenuti atti partigiani, gli ostaggi ne avrebbero subito la rappresaglia.

17 novembre 1944
L'eccidio di Cudine

Corio Canavese, in frazione Cudine i tedeschi massacrano 27 partigiani, quasi tutti ex carabinieri, e 5 civili. Le frazioni Cudine e San Giovanni sono saccheggiate e incendiate.
Burlando, rimasto con oltre un centinaio di uomini della sua 80a brigata, dovette cedere il distaccamento dei carabinieri alla 46a per "tenere" la strada che collega Corio con il convalle di Coassolo appollaiato su Lanzo. Un distaccamento di punta, affidato a uomini di punta, s’installò a Cudine. Lo comandava Giambi, brigadiere dei carabinieri, che ricorda:
"Raggiungemmo la località di Cudine di Corio nella tarda sera del 16 novembre 1944. Una parte del Distaccamento, diviso in squadre, proseguì in missione per le località stabilite in precedenza, il rimanente con me e con due prigionieri tedeschi, feriti e malati, si fermò per il pernottamento nella stalla di una baita a monte della strada Lanzo-Corio.
« All’alba del mattino successivo, 17 novembre 1944, fummo accerchiati e sopraffatti da ingenti forze nazifasciste. Subito dopo la cattura, un capitano tedesco chiese chi era il comandante ed io mi presentai. Chiese ancora se vi fossero partigiani non italiani; si presentarono lo slavo, da noi conosciuto con il nome di Popovich, ed un romeno del quale non ricordo il nome. Ci legarono le mani dietro la schiena e sotto scorta ci fecero incamminare verso Corio. Gli altri, seppi in seguito, divisi in due gruppi, furono barbaramente trucidati nei pressi della strada. Erano in tutto 27. Sia dello slavo che del romeno non ebbi più notizia. Io, il mattino successivo, venni condotto da Corio a Lanzo, poi a Cuorgnè, quindi nel carcere di Torino e infine il 20 dicembre nel campo di concentramento di Bolzano, dal quale potei evadere con altri compagni verso la metà di marzo del 1945 e raggiungere il Comando della mia vecchia 80° Brigata a Levone Canavese".
Dalla vittoria liberatrice del 25 aprile ‘45, ogni anno, nel triste anniversario noi continuammo a ricordarli cosi, come li ricordiamo, con gli anni che avevano: Arbezzano Nicolino (anni 19), Audino Giovanni (19), Balmassa Aldo (19), Bertolone Antonio (29), Bria Berter Domenico (26), Campooelli Alberto (18), Cangio Viano Oreste (18), Cardaccia Orlando (27), Cassola Augusto (20), Cataldo Filiberto (21), Cella Giovanni (19), Ciciriello Antonio (22), Cigliutti Ottavio (20), Cominoli Giuseppe (20), Costa Mario (19), Dallò Enrico (19), Davito Moci Giacomo (32), Gallino An- tonio (21), Garighet Eugenio (17), Ierizza Giovanni (21), Luotto Giuseppe (18), Macario Ban Natale (21), Macario Ban Pietro (18), Maccarini Pietro (20), Maddaleno Angelo (20), Marietta Bersana Antonio (20), Mignini Nicola (18), Ossola Albino (20), Papa Ivo (29), Pelizza Giovanni (18), Ponchio Mario (18), Rosa Antonio (21), Simoni Giovanni (19), Tagliamacco Renato (19), Tassi Giovanni (21), Vietti Domenico (39). E con noi quel povero cappellano settantenne della frazione sperduta, don Bertola, che nel ‘59 portammo a spalle fino al piccolo cimitero di Corio come un vecchio padre: lui che aveva raccolto con mani pietose i poveri corpi straziati, insieme a Nicola Grosa e a quell’ Azeglio-Castagnot che del suo carro da uve aveva fatto un carro funebre come nelle tragedie greche.

17 novembre 1944
Forno Canavese
A Forno Canavese, in regione Bandito, 5 partigiani sono uccisi dai tedeschi.
22 novembre 1944
Uccisione di Pietro Varzino
Uomini armati si recano a casa del valperghese Pietro Varzino, di anni 54, e gli intimano di uscire, egli si rifiuta e viene freddato a colpi di pistola in casa.
26 novembre 1944 Cumiana, un reparto tedesco accerchia la borgata Verna cogliendo di sorpresa i partigiani. Nello scontro a fuoco cadono 14 partigiani e 5 civili. Una decina di uomini vengono catturati. I tedeschi incendiano la borgata Verna e le frazioni Fiola e Morelli.
27 novembre 1944 Val Sangone, nell’ offensiva tedesca contro le formazioni partigiane è coinvolta pesantemente la popolazione civile: 37 persone, comprese due donne e un bambino, sono uccise a Giaveno (29 novembre). Nello stesso giorno nella centrale Piazza San Lorenzo sono fucilati 14 partigiani. 15 sono le vittime a Provonda, 6 a Mollar dei Franchi, 16 tra Ruata Sangone e Monterossino; numerose sono le borgate incendiate.
13 dicembre 1944 A 73 anni e mezzo Camilla Durando Chiappirone, nata a Mondovì l'11 maggio 1871, mentre si trova sfollata a Scalenghe, viene prelevata dai partigiani e uccisa. Era iscritta al Pfr e per questo accusata di fare la spia.
29 dicembre 1944
Muore il partigiano Vincenzo Loco
Due partigiani dell' VIII Div. Autonoma "Vall'Orco", inviati alla ricerca di una squadra che era partita due giorni prima per un'azione senza più fare ritorno, incappano in truppe della "Folgore" nei pressi di Front. Nella sparatoria rimane gravemente ferito il partigiano Vincenzo Loco, originario da Foggia, e sfollato da Torino alla borgata Filippini di Gallenca. I Loco sono una famiglia numerosa, padre e madre e 10 figli. Una famiglia che verrà colpita duramente, anche un altro figlio morirà partigiano.