Settecentosettantasei donne uccise

Qualcuno si chiede se le cifre siano veritiere, ma è quasi certo che peccano in difetto. Sono almeno 776 le donne uccise in Piemonte. Non erano tutte ausiliarie fasciste, molte, di ceto sociale modesto, vennero attirate con l’inganno, seviziate, eliminate e sepolte in gran segreto.

di Gianpaolo Pansa

 

Settecentosettantasei donne uccise dai partigiani in Piemonte lungo tutta la guerra civile e nelle mattanze dopo la Liberazione. Il conto emerge da un minuzioso lavoro d'indagine condotto da un gruppo di ricercatori torinesi che, da anni, si occupano di inchieste sul versante fascista della nostra guerra interna. Il gruppo è quello che fa capo a Michele Tosca. Suddivisa per le sei province piemontesi, più la regione autonoma della Valle d'Aosta, la cifra di 776 si ripartisce del modo seguente. Torino e provincia: 292 donne uccise. Cuneo e provincia: 164. Vercelli e provincia: 138. Novara e provincia: 108. Alessandria e provincia: 27. Asti e provincia: 24. Valle d'Aosta: 23.

Sono attendibili questi dati? La mia opinione è che lo siano. Com'è quasi inevitabile in ricerche così difficili, possono esserci cifre errate sia per eccesso che per difetto. La mia impressione è che, semmai, esistano errori per difetto. È quasi certo che le donne uccise dai partigiani in Piemonte siano state di più e non di meno delle vittime censite in quell'inchiesta. L'esperienza mi ha insegnato che, a proposito della guerra civile italiana, tutti sappiamo ancora poco rispetto a quanto è davvero avvenuto tra il 1943 e il 1945. E molto poco di quanto accaduto nei tre mesi successivi, durante la resa dei conti sui fascisti sconfitti.

Prenderò in esame Torino e la sua provincia, ossia l'area che vede il più alto numero di donne uccise dai partigiani nella regione. Come ho detto, risultano 292. Di queste, 135 vennero soppresse nel dopoguerra, ossia a partire dal 25 aprile 1945: 99 giustiziate nella città di Torino e 36 nei comuni della provincia.

Perché vennero ammazzate? Per le ausiliarie non possono esserci dubbi. Vestivano la divisa dell'esercito della Rsi e, in parecchi casi, della X Mas, della Gnr e della Brigata Nera. Anche se non portavano armi, i partigiani le consideravano militari nemici a tutti gli effetti. E come tali venivano trattate. Una volta catturate, durante la guerra civile o nel dopoguerra, la loro sorte era spesso una sola: la morte.

Per le altre donne uccise il quadro si fa più complesso. Gli elenchi del gruppo Tosca presentano una grande varietà di storie. Quasi sempre si trattava di persone di modesta condizione sociale: casalinghe, impiegate, maestre elementari, ostetriche comunali, operaie, domestiche. Di tutte le età: dalle settantenni alle giovanissime, persino di 16 o 17 anni.

Di solito, la loro unica colpa era di essere fasciste, o di sembrare che lo fossero. Oppure erano madri, sorelle, mogli, figlie, fidanzate di piccoli esponenti del Pfr o di militari della Rsi. In altri casi erano ritenute ostili al movimento partigiano. Un'altra circostanza che poteva costare la vita era di avere relazioni amorose con militari fascisti o tedeschi.

Ma l'accusa di gran lunga più frequente era di essere spie per conto dei fascisti o dei tedeschi e ai danni della Resistenza. Colpisce la presenza quasi ossessiva di questa imputazione. Lo spionaggio era un'attività sempre molto difficile da provare. Tuttavia, nelle guerre interne, chi si sente minacciato dagli informatori del fronte avversario non va mai per il sottile. Basta un semplice sospetto, anche generico e fondato soltanto su voci o lettere anonime, per decidere un'esecuzione. L'ossessione delle spiate era tale che in qualche caso vennero giustiziati anche informatori della Resistenza, infiltrati nelle file fasciste. A ucciderli furono partigiani che lo ignoravano. Non poche delle donne fasciste catturate, prima d'essere soppresse, subirono violenze sessuali. O furono vittime di torture.

Anche l'essere donne anziane non bastava a evitare la morte. In provincia di Torino, Maria Gabella aveva 66 anni e venne fucilata nel 1944 a Vische, in località Castellazzo. Aveva la stessa età anche Laura Rava in Roscio, nata a Ivrea e vedova di un notaio. Era stata insegnante e ormai si trovava in pensione. I partigiani la rapirono e il 24 settembre 1944 la eliminarono a Noasca, in val Locana, dopo averla seviziata. Il corpo fu poi gettato nudo in un canale.

Aveva 73 anni e mezzo Camilla Durando Chiappirone, nata a Mondovì l'11 maggio 1871. Mentre si trovava sfollata a Scalenghe, il 13 dicembre 1944 venne prelevata dai partigiani e uccisa. Era iscritta al Pfr e soltanto per questo l'accusarono di fare la spia. A Pont Canavese il 24 luglio 1944 furono assassinate madre e figlia: Candida Crosasso, 57 anni, e Olga Crosasso, 27 anni, abitanti a Ingria, in val Soana. Arrestate dai partigiani, le due donne non avevano voluto rivelare dove stava nascosto il nipote e cugino Arduino Crosasso, un ufficiale fascista, forse della Gnr. I partigiani le fucilarono alle cinque e mezzo del mattino, all'ingresso del cimitero di Pont. E sotto gli occhi dei parroci di Ingria e di Ronco che le avevano assistite prima dell'esecuzione.

Una strage fu quella della famiglia Sito, di Pinerolo. Uno dei fratelli Sito, Francesco, classe 1923, era iscritto al Pfr della città e milite della Brigata Nera. Lui verrà soppresso il 29 aprile 1945, a San Germano Chisone. Ma ben prima, il 18 dicembre 1944, furono uccise le sue tre sorelle: Elisabetta, Giovana e Teresa. Le tre ragazze vennero fucilate nel cimitero di Rivasecca di Buriasco, una frazione vicina a Pinerolo, dopo essere state stuprate. Con loro fu eliminata Rosa Chiale, della Rosita. In tutto, morirono quattro tra fratelli e sorelle, più la Rosita Chiale.

Il 17 aprile 1945, a Verrua Savoia i partigiani rapirono una donna di 64 anni, Maria Scagliotti vedova Porta e la uccisero subito. La stessa sera, fu soppressa sua figlia, Matilde Porta in Pernice, sequestrata a Moncestino. Erano anche loro sospettate di aver fatto la spia? No, però Matilde aveva sposato un tenente della Brigata Nera.

Si poteva essere uccise soltanto perché un figlio stava con la Repubblica Sociale. Maria Deffar in Delfino, 55 anni, nata a Fiume, era la madre di un marinaio della X Mas. Anche avere un figliastro brigatista poteva bastare per una condanna a morte. Fu il caso di Giuseppina De Mar, uccisa a Pomaretto, in val Chisone, il 28 aprile 1945 con il marito Leonzio Scattolin, di 57 anni. Giuseppina era la seconda moglie di Leonzio che aveva un figlio di primo letto arruolato nella Brigata Nera. A ucciderli furono i partigiani di una Brigata di Giustizia e Libertà.

Una fine oscura fu quella di Matilde Abrile in Alciati. Aveva 46 anni e, poi era la moglie di un milite della Gnr, veniva ritenuta una «fervente fascista». Il marito era stato nella Milizia Confinaria. Fu uccisa il 19 giugno 1945, a Torino, quando la guerra civile era terminata da quasi due mesi. Secondo una fonte, la donna fu gettata dalla finestra di casa. Ancora a Luserna San Giovanni, in val Pellice, il 3 settembre 1944, fu assassinata in casa come spia una ragazza di 17 anni, Domenica Careglio. Più di tre mesi dopo, il giorno di Natale del 1944, i partigiani uccisero pure il padre e la madre di Domenica: Tommaso Careglio, 41 anni, e Anna Olivero, 44 anni. Anche loro vennero soppressi in casa. E anche loro perché ritenuti spie dei fascisti.

Persino vendere il pane a qualche reparto fascista poteva condurre alla tomba. Successe così a madre e figlio, uccisi il 15 agosto 1944 a Caselette, un comune vicino a Torino. Lei si chiamava Giuseppina Bessone in Pasinetti e il figlio Bruno Pasinetti, entrambi fornai.

Un altro mestiere pericoloso era quello della maestra elementare. Nella guerra civile, ne furono uccise molte, in tutte le regioni. Erano sospettate di essere fasciste scaldate, anche quando non lo erano. Il censimento guidato da Tosca e il Martirologio dei caduti e dispersi della Rsi a Torino ne registrano più di una.

Il 26 giugno 1944 venne sequestrata Maria Giordana Sibille, di ruolo nella scuola di Chiomonte, vicino a Susa. I partigiani la fecero sparire e di lei non si seppe più nulla. Il 16 settembre toccò a Mirella Armida Iacovini, maestra a Drubiaglio, una delle frazioni di Avigliana. Anche lei scomparve, forse soppressa subito dopo la cattura.