Marilena Grill

Marilena Grill ha 16 anni il giorno in cui viene assassinata, la notte fra il 2 e il 3 maggio 1945, da un manipolo di partigiani torinesi. Aveva scelto la parte sbagliata. Era una delle 4 mila ragazze di Salò che dall’aprile del 1944 aderirono al Servizio Ausiliario Femminile della RSI. Con queste donne, «intransigenti come la giovinezza», condivise la febbre ardimentosa di un’Italia cresciuta nel «culto del littorio» (E. Gentile), in una mistica della nazione che riassumeva e inferava le virtù e i sentimenti del popolo.

È probabile che Marilena coltivasse l’illusione di arretrare le lancette della storia e riscattare, perfino con il sacrificio, la viltà dei padri e i repentini cambi di casacca. Come molte di loro, aveva più paure che certezze, più domande che risposte: ma in quella comunità viscerale e umana, pietosa ed eroica al tempo stesso, perché già condannata e priva della consolante retorica ottimistica del partigiano per la libertà, Marilena doveva aver trovato il senso della propria giovane vita. Prestava servizio disarmato presso l’ufficio ricerche dei militari torinesi dispersi nei vari fronti e al posto di ristoro per soldati, spesso sbandati e in fuga, alla stazione ferroviaria di Porta Nuova.

Compiti tutto sommato di second’ordine; tuttavia, «fiera nella sua divisa grigioverde, del suo basco grigio con la fiamma rossa, dei gladi con scritto “Italia” nell’elsa, quali mostrine», era certa di servire anche in queste umili incombenze il proprio Paese. Le poche testimonianze la descrivono come una ragazzina minuta – tanto da sembrare anche più giovane – capelli ricci castano chiari e occhi azzurri venati da una punta di verde, una voce armoniosa, insomma una normale liceale dall’alterno profitto scolastico, come capita a quell’età.

Eppure, il 28 aprile 1945 Marilena venne prelevata dalla propria casa da quattro partigiani che la strapparono dalle braccia di mamma Silvia. Venne trattenuta 5 giorni presso la caserma Valdocco per poi essere ammazzata con un colpo alla nuca in quel tristemente famoso “Rondò della Forca”, un crocicchio di vie in cui fino al 1863 veniva allestito il patibolo per le condanne capitali e dove, nell’immediato dopoguerra, il tribunale del popolo eseguiva gran parte delle proprie sommarie esecuzioni. Una tribolazione comune, purtroppo, a tante ausiliarie che, a centinaia, furono vittime incolpevoli della belluina vendetta partigiana la quale inflisse loro patimenti bestiali, torture, stupri, rasatura dei capelli e sevizie mortali.

La «breve vita e la brutta morte» della Grill affiora, finalmente, dall’oblio comminatole dall’ortodossia storiografica e da quella congiura del silenzio imposta dai vincitori che, per oltre 60 anni, ha negato il diritto alla memoria a chi si è trovato “dalla parte sbagliata” e che per questo si è visto cancellate pagine di vita, bollate dall’infamia. Merito di un bel libro di Massimo Novelli, L’ausiliaria e il partigiano. Storia di Marilena Grill 1928-1945 (Spoon River, Torino 2007, pp.144, E14,00, tel. 011/2386281) se la vicenda, edificante e tragica, esce ora dai bassifondi della memorialistica del reducismo nostalgico.