Rara immagine (probabilmente di propaganda) di un'Ausiliaria che imbraccia un fucile.
Di solito le Ausiliarie erano destinate a compiti di supporto e mai ad attività armate.

Servizio Ausiliario
Femminile R.S.I.

Fu l'indignazione per il tradimento badogliano dell'8 settembre 1943, che vanificava il sacrificio dei Caduti e lo sforzo comune di più generazioni, a provocare la reazione di un rilevante numero di donne, la maggior parte giovani, e a spingerle ad una scelta non soltanto politica ma a difesa dell'onore stesso d'Italia. Esse vollero dimostrare in modo tangibile la loro ribellione all'ignobile tradimento consumato il 3 settembre 1943 a Cassibile, in Sicilia, dove Badoglio firmò all'insaputa dell'alleato tedesco l'armistizio con il nemico. Per rigore storico precisiamo che il 5 dello stesso mese (nonostante l'armistizio firmato) fu violentemente bombardata dalle "fortezze volanti", gli enormi bombardieri angloamericani, la città di Frascati e che solo l'8 settembre gli italiani vennero a sapere dell'avvenuta resa.
Nel gennaio 1944 il giornalista Concetto Pettinato scrive su "La Stampa" un appassionato articolo nel quale chiama a raccolta nell'ora difficile e disperata le donne d'Italia.
A Milano, in Piazza S. Sepolcro, circa 600 giovani donne si radunano spontaneamente e ribadiscono la loro volontà di partecipare in modo attivo al conflitto, chiedendo di essere arruolate.
Situazioni analoghe si verificano in altri centri della Repubblica Sociale italiana. Cominciano a costituirsi spontaneamente gruppi femminili in servizio presso i Comandi Militari. Si va sempre più concretizzando l'idea di un arruolamento volontario femminile nelle file dell'Esercito Repubblicano.
A Torino l'insegnante Anna Maria Bardia raduna un gruppo di ragazze che, dopo un corso di addestramento in una caserma di Moncalieri, vengono impiegate nei reparti della Guardia Nazionale Repubblicana di Frontiera (Confinaria), dando prova di disciplina, di serietà e di attaccamento al dovere.
Anche la Decima Flottiglia MAS comincia ad inquadrare le sue volontarie. i corsi dei Servizio Ausiliario della Decima, organizzati e guidati da Fede Arnaud Pocek, furono tre (Sulzano, BS - Grandola, CO - Coi di Luna, TV), per un totale di circa 300 ragazze.
Dai primi dell'aprile 1944 è in svolgimento a Noventa Vicentina il primo Corso Nazionale "Avanguardia" dell'opera Balilia, il cui Presidente, Generale Renato Ricci, è un convinto assertore dell'arruoiamento femminile nelle Forze Armate.
Seguiranno altri due corsi nazionali: "Ardimento" a Castiglione olona e "Siro Gaiani" a Milano, quest'ultimo intitolato al milite della G.N.R. falciato da una raffica di mitra esplosa dai partigiani mentre essi tentavano di penetrare nell'edificio adibito ad accantonamento delle allieve. Le ausiliarie uscite da questi tre corsi vengono scherzosamente chiamate "Balilline" in quanto la loro età minima di arruolamento è di soli 16 anni. In prevalenza, esse presteranno servizio alla Guardia Nazionale Repubblicana.
Anche le "Balilline", come le sorelle maggiori, non esitano ad abbandonare la casa, la scuola, gli affetti e le comodità della famiglia. Scelgono, temperando l'esuberanza dell'adolescenza, una vita di disciplina e di sacrificio, pur di poter essere anche loro utili alla Patria.
La loro divisa è costituita da: giacca sahariana senza collo e gonna pantaloni, entrambe di colore kaki, camicia nera, basco, e fregi della doppia M della G.N.R. sulla fibbia dei cinturone di pelle e sul bavero.
Comprendere il fenomeno dei Servizio Ausiliario Femminile della Repubblica Sociale italiana è praticamente impossibile, se non si analizza in breve la rivoluzione che il Fascismo operò nel mondo femminile durante il Ventennio.
Per la prima volta in Italia, la donna venne valorizzata e resa autonoma nelle sue scelte e nelle sue prospettive: le fu affidato il settore a lei più congeniale dell'assistenza all'infanzia e alle categorie disagiate e, in tale compito, ebbe piena autonomia e piena responsabilità.
Fu incoraggiata a dedicarsi allo sport (scavalcando la palese ostilità della Chiesa): furono creati l'Accademia Femminile di Educazione Fisica di Orvieto e i vari Collegi, retti dal Partito Nazionale Fascista, nei quali le ragazze "capaci e meritevoli", segnalate dagli insegnanti, venivano fatte studiare gratuitamente, a spese non dello Stato ma del Partito stesso. Tali "scuole" raggiunsero una notevole fama, anche a livello internazionale, per la serietà degli studi, la disciplina dello sport e la vita gioiosa e serena che vi si conduceva.
Le organizzazioni femminili fasciste erano affidate esclusivamente alle donne e la Segretaria Nazionale rispondeva dei suo operato soltanto al Segretario dei Partito, il quale esercitava però la sola vigilanza amministrativa e di coordinamento.
Le donne si dimostrarono all'altezza della fiducia riposta in loro. In quel particolare clima spirituale, fatto di amore per la Patria, senso della disciplina, del dovere e del sacrificio, le giovani d'Italia si formarono sia nelle scuole che nelle attività educative dell'opera Nazionale Balilla (divenuta poi Gioventù italiana dei Littorio), dei Fasci Femminili e dell'opera Nazionale Maternità e Infanzia.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale molte italiane parteciparono al conflitto quali crocerossine, oppure frequentarono corsi di pronto soccorso, coloniali, dell'Unione Nazionale per la Protezione Antiaerea(U.N.P.A.), o dei Servizio Avvistamento Aereo dell'Aeronautica Militare, esercitando le previste funzioni di visitatrici degli ospedali militari - in aiuto e supporto alle strutture ospedaliere stesse - o di assistenza sotto i bombardamenti. Bambine e ragazze delle scuole medie inferiori e superiori confezionavano indumenti per i soldati al fronte e andavano a visitare i feriti negli ospedali, mentre i militari di passaggio con le tradotte e quelli di stanza nelle caserme ricevevano generi di conforto accompagnati da un sorriso femminile.

Dopo il 25 aprile ’45, la sopravivenza o la morte delle ausiliarie furono dovute alla capacità e alla prudenza dei comandanti dei reparti cui erano aggregate, ma anche al caso e alla fortuna.
Chi cadeva nelle mani degli Alleati, era sicuro e generalmente, dopo un sommario interrogatorio, veniva posta in libertà. Chi, invece, cadeva nelle mani di partigiani non comunisti, finiva in campo di concentramento, in attesa di accertamento per eventuali responsabilità personali.
Ma poiché responsabilità personali non ce n'erano, dopo qualche tempo tornava libera. Non ci fu scampo, invece, per le sventurate cadute in mano ai comunisti che restano gli unici responsabili del massacro delle ausiliarie.
Le ricerche fatte dall' "Associazione nazionale servizio ausiliario femminile", costituita dopo la guerra per tramandare il ricordo del Servizio e la memoria delle Cadute, hanno potuto stabilire che una ventina di esse furono fucilate nei giorni compresi tra il 25 aprile e il 2 maggio.
Non c'e' dubbio che si trattò di azioni illecite e ingiustificate, perché le volontarie non erano armate e furono uccise dopo che si erano arrese. Tuttavia, se ricordiamo i bandi emessi da taluni CLN, come quello del Piemonte che prevedeva la fucilazione senza processo di tutti gli appartenenti alle formazioni volontarie della RSI (cioè in pratica di 350 mila italiani), questi omicidi possono trovare una spiegazione, sia pure rapportata al clima infuocato e feroce di quei giorni.
Ma il 2 maggio, alle ore 12, diventò operante, su tutto il territorio nazionale, la resa firmata a Caserta dai plenipotenziari tedeschi anche a nome di tutte le formazioni della RSI, resa che impegnava gi Alleati, il governo italiano e tutte le forze partigiane a rispettare la convenzione di Ginevra.
Pertanto, le uccisioni di ausiliarie avvenute dopo quella data, furono crimini spietati che non trovano alcuna spiegazione se non nelle bestialità di chi li commise.
Un'idea precisa ed impressionante del clima in cui vennero a trovarsi le ausiliarie in quei giorni è resa da Antonia Setti Carraro, mamma di Emanuela Setti Carraro e futura suocera del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa che, nei drammatici giorni dell'insurrezione torinese, era capogruppo della crocerossine della Divisione "Littorio".
Antonia Setti Carraro, che ha narrato la sua testimonianza in un libro dal titolo Carità e Tormento (1982), ancora quarant'anni dopo non riusciva a togliersi dalla memoria le scene spaventose alle quali aveva dovuto assistere, allorché, dopo essere scesa a Torino con un treno - ospedale proveniente dalla Val d'Aosta, aveva dato vita ad un infermeria da campo vicino a Porta Nuova, con l'aiuto di tre consorelle e di cinque ausiliarie infermiere.
Scoppiata l'insurrezione, i feriti (tutti soldati fascisti) furono fatti a pezzi, le otto ragazze catturate e messe al muro. Prima che toccasse a loro, furono costrette ad assistere a qualcosa che Antonia Setti Carraro descrive con queste parole:" Sul fondo della baracca di legno vedemmo un mucchio di cose immobili che sembravano stracci. Il sangue rappreso aveva modificato le tinte di quelle giacche e di quei pantaloni grigioverdi e ne aveva smorzato i toni. Ora non sembravano più cadaveri ammucchiati: le facce erano fori e poltiglia, le teste erano scoppiate, i capelli confusi tra loro, sembravano ammassi di foglie autunnali, cataste di legname coperto di muffa. E invece, fino a poche ore prima, erano creature umane".
Scambiate tutte per ausiliarie (inutilmente sorella Antonietta e sorella Myriam si affannavano a mostrare la croce rossa che portavano sul grembiule sotto il cappotto militare, ottenendone, come unica risposta:"Non vogliamo più Cristi né padroni! Vogliamo solo ammazzarvi tutti, voi fascisti: tutti, uomini e donne, grandi e bambini") un ulteriore "intermezzo" sopraggiunse a sottrarle ancora alla morte. Alcuni uomini arrivavano sui mezzi a motore chiamando a gran voce i carcerieri: "Venite, preso, li ammazziamo con gli autocarri. Li riduciamo con tutte le ossa rotte. Uno spettacolo fantastico! Vedrete! Li inseguiamo mentre cercano di scappare. Muoiono urlando come cani!" L'eccitazione per la nuova carneficina distrae per un attimo quelle belve e consente alle ausiliarie e alle crocerossine di darsi alla fuga.
E' una fuga allucinante, attraverso una Torino in preda all'odio e al sangue, con cadaveri disseminati dovunque, corpi che precipitano da qualche piano alto venendo a sfracellarsi ai piedi delle ragazze, disperati che spirano su una panchina o in mezzo a un'aiuola con un'espressione di terrore sul volto, individui portati in giro per le strade dentro gabbie da polli, continuamente pungolati con bastoni appuntiti che ne riducono visi e membra a pezzi di carne sanguinolenta, e infine impiccati tra la gioia generale.
La signora Setti Carraro con le due sorelle e le cinque ausiliarie, si illudono finalmente di trovare la salvezza in casa di conoscenti, ma vengono bruscamente messe alla porta: "Questa guerra non l'abbiamo voluta noi. Non possiamo impedire al popolo di prendersi le sue vendette". "Ma siamo crocerossine!" "Arrangiatevi!"
Ed eccole nuovamente catturate da una banda di partigiani comunisti, all'inizio di un ponte sul Po, costrette per un pezzo a guardare giù. "L'acqua" scrive Antonia Setti Carraro " che era bassa e sembrava ferma, brulicava di cadaveri. A testa in giù, a braccia aperte, a gambe divaricate, a faccia in su, a pezzi o tutti interi, giovani, ragazzi, uomini, donne e fanciulle giacevano scomposti, aggrovigliati, ammassati, paurosi a vedersi, atroci nelle posizioni. Le ausiliarie erano impallidite in modo terribile".


Ritratto di tre Ausiliarie

Questo racconto, che resta uno dei più sinceri, fedeli ed anche religiosi dell'odio demoniaco di cui sono capaci, in certe circostanze della loro storia gli italiani, si conclude con la quasi miracolosa fuga delle otto donne inseguite, per fortuna invano, da raffiche di mitra e bombe a mano, dopo che sono riuscite a distrarre i loro carcerieri, troppo impegnati a gustarsi, nei minimi particolari, l'agonia di un fascista che "meno esposto ai colpi dei carnefici, non era morto sul colpo, ma si lagnava debolmente e, annaspando con le mani, cercava di sciogliersi dalle funi che lo tenevano legati agli altri del gruppo, e, mugolando, suscitava l'ilarità di chi lo aveva appena colpito, e continuava a colpirlo con randellate sorde che gli frantumavano ossa e cranio".
Se le cinque ausiliarie protagoniste di questa agghiacciante, tremenda pagina di vita vissuta scritta da Antonia Setti Carraro, poterono salvarsi, una sorte ben più tragica era in agguato per le otto ausiliarie del Comando provinciale di Piacenza che, la mattina del 26 aprile, mentre viaggiavano su un autocarro alla volta di Como, incapparono in un posto di blocco di partigiani comunisti a Casalpusterlengo. Con loro viaggiavano sei soldati di sanità, tutti disarmati.
Portato alla Torre, il gruppo vi trascorse l'intera giornata e la notte tra le urla e gli insulti della folla che chiedeva giustizia sommaria.
La mattina dopo furono fatti salire su una corriera, trasportati davanti all'ospedale e qui schierati in fila davanti al muro, mentre un plotone improvvisato si allineava di fronte a loro.
Fu a quel punto che una delle ausiliarie, Adele Buzzoni, si mise ad urlare scongiurando i "giustizieri" di salvare sua sorella Maria, che era nel gruppo, perché potesse aver cura della loro madre, cieca e sola. Maria Buzzoni fu afferrata da un partigiano e spinta da parte. Subito dopo il plotone aprì il fuoco, ma vedendo la sorella cadere assieme agli altri Maria gridò per la disperazione con quanto fiato aveva in gola. Per farla tacere un partigiano le scaricò il mitra addosso, freddando anche lei.
Intanto, una scena irreale, spaventosa, stava accadendo.
L'ausiliaria Anita Romano, che era rimasta soltanto ferita. si alzò dal mucchio sanguinante, avanzando verso i suoi assassini. tra le ausiliarie c'erano altre due sorelle, Ida e Bianca Poggioli.
Anch'esse erano rimaste soltanto ferite, e Bianca Poggioli gridava: "Uccidetemi! Uccidetemi!".
Mentre i partigiani si preparavano a finirle, si precipitò davanti a loro padre Paolo del vicino convento dei Cappuccini. "No" disse " non lo fate. Stanno morendo. andate via. Le assisterò io fino alla morte".
Lividi, sudati, i "giustizieri" si allontanarono, ma poco dopo tornarono sui loro passi, pentiti di aver dato retta al frate. Ma quei pochi istanti erano bastati a padre Paolo per trascinare le tre sventurate all'interno dell'ospedale e nasconderle con l'aiuto delle suore, in uno scantinato. I comunisti diedero loro al caccia per tutto il giorno, poi si stancarono.
Le ragazze poterono così essere curate e salvate. Le altre vittime, oltre ai sei soldati sconosciuti e alle sorelle Buzzoni, furono Luigia Mutti, Rosetta Ottadana e Dosolina Nassani.
Nessuna pietà, invece, per l'ausiliaria Jolanda Crivelli. Aveva solo 20 anni ed era la giovanissima vedova di un ufficiale del "Battaglione M", ucciso a Bologna durante la guerra civile, in un agguato dei "sapisti" (costola della banda comunista dei gap).
Il 26 aprile raggiunse Cesena, la sua città, per tornare dalla madre, che viveva sola.
Fu riconosciuta e additata dai concittadini ad alcuni partigiani comunisti:"E' una fascista, moglie di fascista!" Percossa a sangue, denudata, fu trascinata per le strade di Cesena tra gli sputi della gente.
Davanti alle carceri fu legata a un albero e fucilata. Il cadavere nudo, rimase per due giorni esposto. Poi fu permesso alla madre di seppellirla.
A Novara invece, il vescovo riuscì ad impedire il progetto di fare sfilare nude tutte le ausiliarie catturate, circa trecento, per le vie della città. I partigiani dovettero accontentarsi di raparle a zero. In seguito, alcune di esse furono violentate e quindi fucilate.
In quella autentica tomba delle ausiliarie che fu Nichelino, trovarono la morte, il 30 aprile, assieme ad un gruppo di loro compagne, anche le ausiliarie scelte Laura Giolo, di 25 anni e Lidia Fragiacomo, di 32, dopo un'autentica gara di emulazione per rispondere alla domanda:" Chi di voi è la comandante?"
Questa qualifica spettava a Laura Giolo, che infatti non ebbe esitazione a rispondere, ma Lidia, convinta di poter così salvare la compagna, disse, rivolta ai partigiani:" Non datele retta, sono io che comando il gruppo". Fu messa al muro e accadde, allora, uno di quei fatti che, nella barbarie, rappresentano un raggio di speranza.
I partigiani che formavano il plotone di esecuzione, pur essendo comunisti, garibaldini della 105a brigata "Pisacane", toccati dall'eroismo e dalla generosità di quella scena, scaricarono i mitra in aria. ma intervennero altri partigiani che non ebbero pietà. Fu accolta soltanto la richiesta di assistenza religiosa e don angelo Ruffino, parroco di San Secondo, potè confessare le condannate.

Tra i più spregevoli crimini compiuti ai danni delle ausiliarie dopo il 2 maggio, vi fu il massacro del Santuario di Graglia, nel Biellese. Qui era stato condotto, dopo aver stipulato regolare resa con l'onore delle armi,. grazie all'intervento dell'autorità ecclesiastica, l'intero II° Reparto allievi ufficiali della GNR; 30 uomini, al comando del maggiore Galamini, più le ausiliarie Rina Chandrè, Itala Giraldi e Lucia Rocchetti.
Del gruppo facevano parte anche le signore Antonietta Milesi, e Carla Paolucci, mogli di due ufficiali. Ebbene, infrangendo tutte le leggi di guerra, nonché la parola solennemente data, i carcerieri comunisti di Moranino, fucilarono tutti gli uomini del gruppo e le due signore.
Le tre ausiliarie, risparmiate sul momento, furono fucilate più tardi a Muzzano, perché i partigiani, come riferì un testimone, "dovevano andare a ballare e non sapevano che fare delle tre prigioniere" .
Fu la madre di Itala Giraldi che ritrovò i tre corpi, sommariamente sepolti sull'argine di un torrente, scavando la terra con una cazzuola, tra i lazzi e lo scherno dei comunisti del luogo.
A Jole Genesi, stenodattilografa della Brigata Nera "Augusto Cristina" di Novara e a Lidia Rovilda, assegnata alla GNR della stessa città, toccò una fine allucinante. Catturate alla Stazione Centrale di Milano il primo maggio, furono condotte all'albergo "San Carlo" di Arona, torturate tutta la notte con degli spilloni conficcate nella carne, poi legate assieme con un filo di ferro e finite con un colpo alla nuca. Non avevano voluto rivelare dove era nascosta la comandante provinciale di Novara.
Marcella Batacchi, fiorentina e Jolanda Spitz, trentina, erano state assegnate al distretto militare di Cuneo. Il 30 aprile, la colonna in fuga della quale facevano parte, con sette loro compagne, si arrese ai partigiani a Biella. Per salvarsi, le sette ragazze dichiararono di essere prostitute che avevano lasciato la casa di tolleranza di Cuneo per seguire i soldati.
Marcella e Jolanda rifiutarono il compromesso e si dichiararono ausiliarie, furono violentate e massacrate di botte, poi fucilate e sepolte in una stessa fossa, l'una sull'altra.
Quando i genitori, mesi dopo, poterono esumarle, trovarono due visi tumefatti e sfigurati, ma i corpi bianchi e intatti. Avevano entrambe 18 anni.

   

I partigiani comunisti assassinarono anche una ausiliaria francescana: si chiamava Angela Maria Tam, era di Buglio al Monte, in provincia di Sondrio. Venne fucilata il 6 maggio. La famiglia riuscì ad entrare in possesso del suo ultimo biglietto: "Viva l'Italia" Che Gesù la benedica e la riconduca all'amore e all'unità per il nostro sacrificio. Così sia".
Le due vittime più giovani furono Luciana Minardi e Marilena Grill: sedici anni. Luciana Minardi, di Imola, era al fronte, sul Senio. con battaglione "Colleoni" della Divisione "San Marco", addetta al telefono da campo e al cifrario. Aveva rischiato la vita cento volte. Durante la ritirata, il comandante del battaglione le affidò il gagliardetto perché lo portasse in salvo. Catturata dagli inglesi, Luciana riesce a disfarsi del gagliardetto, gettandolo nel Po. Gli inglesi la rilasciano dopo un breve interrogatorio. Gettata la divisa, torna dai genitori, sfollati a Cologna Veneta, in provincia di Verona. Ma qualcuno avverte i partigiani comunisti della zona che quella ragazzina "è una fascista". Vanno a prenderla a metà maggio, i mitra puntati alla gola dei genitori, la portano sull'argine del torrente Guà e, dopo innominabili violenze sessuali, la massacrano. "Adesso chiama la mamma porca fascista!", le grida il comunista che la uccide con una raffica.
Marilena Grill era di Torino, lavorava all'Ufficio ricerche dispersi. Il 28 aprile i partigiani vanno a prenderla in casa dei genitori, dov'è tornata. Chiede di indossare la divisa. La tengono cinque giorni alla caserma "Valdocco". Un colpo alla nuca la liquida il 3 maggio.

All'istituto di medicina legale dell'Università di Torino è probabilmente ancora possibile consultare il registro del mese di maggio 1945, al quale attinse Giorgio Pisanò per completare i capitoli dedicati alle ausiliarie della sua opera Storie delle Forze Armate della RSI pubblicata a Milano nel 1967. E' dal suo libro che si riportano questi due verbali:

"Autopsia n. 7065. Entrata 3 maggio. Uscita 11 maggio. Provenienza: stazione Porta Nuova. Diagnosi: omicidio per arma da fuoco. Causa della morte: lesioni al cranio, torace, addome. Indossa la divisa militare della Repubblica, con mostrine recanti fascetti rossi. Una A rossa sulla tasca sup. sx. Si tratta di cadavere di giovane donna dell'apparente età di 18 - 20 anni. Capelli neri rasati a zero"

"Autopsia n 7143. Entrata 11.6, uscita 17.6. Provenienza fiume Po dietro caserma dei pompieri Barriera Milano. Diagnosi: omicidio per arma da fuoco. Causa della morte: lesioni cranio-cerebrali e toraco-addominali. Riferiscono che questa giovane donna, già ausiliaria presso i reparti della Repubblica, sia stata prelevata e collocata in un canile di via Nizza, indi prelevata e uccisa. Veste una gonna grigia e un giubbetto rosso a grosse fasce bianche trasversali, ha capelli color castano scuro rasati a zero. Si tratta di cadavere di giovane donna dall'apparente età di 17 - 19 anni, incinta al settimo mese circa di gestazione. All'ispezione sono rilevabili n. 6 fori tondeggianti d'arma da fuoco del diametro di circa 1 cm circondati da orletto escoriativo nerastro situati 2 vicini alla regione laterale sx del collo, un terzo alla regione precordiale e gli altri tre al basso ventre".

AUSILIARIE DISPERSE A TORINO
Anselmo Mercedes, Argonauta Lina, Bonaglia Giuditta, Castaldi Emma, disperse in Torino in data imprecisata

AUSILIARIE UCCISE DOPO IL 25 APRILE
Audisio Margherita Fucilata a Nichelino il 26 aprile 1945
Fragiacomo Lidia e Giolo Laura, fucilate a Nichelino (TO) il 30 aprile 1945 assieme ad altre cinque ausiliarie non identificate, dopo una gara di emulazione nel tentativo di salvare la loro comandante.
Grill Marilena 16 anni, assassinata a Torino la notte del 2 maggio 1945
Monteverde Licia assassinata a Torino il 6 maggio 1945
Ravioli Ernesta 19 anni, assassinata a Torino in data imprecisata dopo il 25 aprile 1945
Silvestri Ida assassinata a Torino l'1 maggio 1945, poi gettata nel Po

Nell'archivio dell'obitorio di Torino, il giornalista e storico Giorgio Pisanò ha ritrovato i verbali d'autopsia di sei ausiliarie sepolte come "sconosciute", ma indossanti la divisa del SAF.

LETTERE DELLE CONDANNATE

Ausiliaria scelta LIDIA FRAGIACOMO 33 anni, nata a Trieste, fucilata a Nichelino (TO) il 30 aprile 1945 dai partigiani comunisti della 105a brigata "Garibaldi" assieme ad altre quattro commilitone dopo aver perorato la salvezza della sua comandante, facendosi passare, mentendo, per la più alta in grado. Senza una famiglia sua, l'ultima lettera è indirizzata alla signora Giovanna Albanese, di Torino, presso la quale era stata per molti anni a servizio, prima di arruolarsi nel SAF.

Carissima signora Giovanna,
quando riceverete questa mia, io sarò nel mondo dei più, in un mondo più buono; forse avremo finito di soffrire. Sono felice di dare la mia vita per l'Italia, per questo nostro ideale. Forse, il mio sangue non sarà inutile: mi hanno promesso di salvare la mia Comandante e ciò mi fa estremamente felice. Il mio desiderio terreno è solamente uno: che l'Italia possa ritornare una, libera e grande. Non mi spiace morire, perché so che in questo mondo vi sono soltanto brutture e nell'altro troveremo giustizia, almeno così spero. Siate forte e fiera nel dolore. Io se avrò la fortuna di andare in Paradiso pregherò per la nostra Italia. Baciatemi forte Marinuccio, la zia e la contessina. Al maggiore i miei più cari saluti. Anche a Crac un bacio. Come vedete, sono tranquilla, Un bacio forte a Voi, Viva l'Italia
Ausiliaria scelta Fragiacomo Lidia.



Ausiliaria scelta LAURA GIOLO, 25 anni di Torino, fucilata a Nichelino (TO) assieme a Lidia Fragiacomo, il 30 aprile 1945. In servizio a Milano, si trovava nella sua città in licenza. Fu catturata per aver espresso indignazione di fronte alla scena selvaggia del linciaggio di un fascista.

Cari tutti, sono gli ultimi istanti della mia vita. E' già uscita la sentenza. Non posso chiedervi che una cosa: perdonatemi. Spesso, sempre forse, non ci siamo compresi e questa incomprensione mi costa la vita. Forse me la sono anche voluta. Non lo so. Io muoio innocente. So di non aver sparso sangue; questo mi tranquillizza in questi ultimi istanti. Papà, a te perdono vivissimo; so quante lacrime e affanni ti costo, ma non mi hai voluta capire. Mamma mia, coraggio, coraggio ! Hai altri figli: pensa a loro. Mimmi mia buona, addio. Lia, tesoro mio, gioia mia, ciao per sempre. Dio mi assisterà. Veglierò su di te. Infiniti auguri al mio Benito caro. Salutatemi Ruggero, non inimicatevi con lui. Non è cattivo. E quando il mio povero amato Carlo tornerà dalla prigionia, dategli la mia catenina d'oro. Gli appartiene. Consolatelo. Siate forti, tutti: ve lo chiedo io che dalla vita non attendo più nulla. Perdonate a tutti. Anche voi. Ve lo comando. Un bacio a tutti.
Laura



Ausiliaria MARGHERITA AUDISIO, 20 anni di Torino, fucilata a Nichelino (TO) il 26 aprile 1945. La sua ultima lettera è inviata alla madre, anch'essa ausiliaria della RSI. I comunisti le consentirono di scrivere l'ultima lettera anche alla sorella. La famiglia apprese così che la ragazza era morta serena solo perché aveva ottenuto di essere fucilata al petto, come un soldato.

Carissima Luciana, fra pochi minuti sarò fucilata. una consolazione devo darti: fucilazione al petto e non alla schiena. Raggiungo papà in paradiso, perché mi sono confessata e comunicata, e con lui vi proteggerò tutti. Tu sai che sono sempre stata una pura della mia fede: in essa ho sempre creduto, credo ancora e per essa sono contenta di morire. Consola la mamma. Perdono a tutti. Viva l'Italia! Ti bacio. Tua sorella".

Cara Mamma, io vivo per la Patria e per la Patria saprò morire. Tutti i pensieri, le passioni di adolescente, di giovane ventenne, non mi hanno fatto volgere gli occhi dall'orizzonte ove è la mia Patria. Madre delle mie carni, mi comprendi? Quindi, non piangerai, madre mia. Tu che nel mondo seminasti lacrime, non piangerai. Questo per me è l'unico tormento, l'unico dubbio che lascio qui in terra. L'altra mia angoscia, per la Madre grande, si placherà con la morte. E' la mia sorte. Ma una cosa voglio ancora dire. Patria mia, il nostro sacrificio non sarà vano. Ritornerai ancora unita, grande, bella. E Iddio dall'alto ti proteggerà, mentre i Morti ti guideranno. Italia credo sempre in te: risorgerai! Sorelle mie di fede, questo è il mio credo.