Fu l'indignazione per il tradimento badogliano dell'8
settembre 1943, che vanificava il sacrificio dei Caduti
e lo sforzo comune di più generazioni, a provocare la
reazione di un rilevante numero di donne, la maggior
parte giovani, e a spingerle ad una scelta non soltanto
politica ma a difesa dell'onore stesso d'Italia. Esse
vollero dimostrare in modo tangibile la loro ribellione
all'ignobile tradimento consumato il 3 settembre 1943 a
Cassibile, in Sicilia, dove Badoglio firmò all'insaputa
dell'alleato tedesco l'armistizio con il nemico. Per
rigore storico precisiamo che il 5 dello stesso mese
(nonostante l'armistizio firmato) fu violentemente
bombardata dalle "fortezze volanti", gli enormi
bombardieri angloamericani, la città di Frascati e che
solo l'8 settembre gli italiani vennero a sapere
dell'avvenuta resa.
Nel gennaio 1944 il giornalista Concetto Pettinato
scrive su "La Stampa" un appassionato articolo nel quale
chiama a raccolta nell'ora difficile e disperata le
donne d'Italia.
A Milano, in Piazza S. Sepolcro, circa 600 giovani donne
si radunano spontaneamente e ribadiscono la loro volontà
di partecipare in modo attivo al conflitto, chiedendo di
essere arruolate.
Situazioni analoghe si verificano in altri centri della
Repubblica Sociale italiana. Cominciano a costituirsi
spontaneamente gruppi femminili in servizio presso i
Comandi Militari. Si va sempre più concretizzando l'idea
di un arruolamento volontario femminile nelle file
dell'Esercito Repubblicano.
A Torino l'insegnante Anna Maria Bardia raduna un gruppo
di ragazze che, dopo un corso di addestramento in una
caserma di Moncalieri, vengono impiegate nei reparti
della Guardia Nazionale Repubblicana di Frontiera
(Confinaria), dando prova di disciplina, di serietà e di
attaccamento al dovere.
Anche la Decima Flottiglia MAS comincia ad inquadrare le
sue volontarie. i corsi dei Servizio Ausiliario della
Decima, organizzati e guidati da Fede Arnaud Pocek,
furono tre (Sulzano, BS - Grandola, CO - Coi di Luna,
TV), per un totale di circa 300 ragazze.
Dai primi dell'aprile 1944 è in svolgimento a Noventa
Vicentina il primo Corso Nazionale "Avanguardia"
dell'opera Balilia, il cui Presidente, Generale Renato
Ricci, è un convinto assertore dell'arruoiamento
femminile nelle Forze Armate.
Seguiranno altri due corsi nazionali: "Ardimento" a
Castiglione olona e "Siro Gaiani" a Milano, quest'ultimo
intitolato al milite della G.N.R. falciato da una
raffica di mitra esplosa dai partigiani mentre essi
tentavano di penetrare nell'edificio adibito ad
accantonamento delle allieve. Le ausiliarie uscite da
questi tre corsi vengono scherzosamente chiamate "Balilline"
in quanto la loro età minima di arruolamento è di soli
16 anni. In prevalenza, esse presteranno servizio alla
Guardia Nazionale Repubblicana.
Anche le "Balilline", come le sorelle maggiori, non
esitano ad abbandonare la casa, la scuola, gli affetti e
le comodità della famiglia. Scelgono, temperando
l'esuberanza dell'adolescenza, una vita di disciplina e
di sacrificio, pur di poter essere anche loro utili alla
Patria.
La loro divisa è costituita da: giacca sahariana senza
collo e gonna pantaloni, entrambe di colore kaki,
camicia nera, basco, e fregi della doppia M della G.N.R.
sulla fibbia dei cinturone di pelle e sul bavero.
Comprendere il fenomeno dei Servizio Ausiliario
Femminile della Repubblica Sociale italiana è
praticamente impossibile, se non si analizza in breve la
rivoluzione che il Fascismo operò nel mondo femminile
durante il Ventennio.
Per la prima volta in Italia, la donna venne valorizzata
e resa autonoma nelle sue scelte e nelle sue
prospettive: le fu affidato il settore a lei più
congeniale dell'assistenza all'infanzia e alle categorie
disagiate e, in tale compito, ebbe piena autonomia e
piena responsabilità.
Fu incoraggiata a dedicarsi allo sport (scavalcando la
palese ostilità della Chiesa): furono creati l'Accademia
Femminile di Educazione Fisica di Orvieto e i vari
Collegi, retti dal Partito Nazionale Fascista, nei quali
le ragazze "capaci e meritevoli", segnalate dagli
insegnanti, venivano fatte studiare gratuitamente, a
spese non dello Stato ma del Partito stesso. Tali
"scuole" raggiunsero una notevole fama, anche a livello
internazionale, per la serietà degli studi, la
disciplina dello sport e la vita gioiosa e serena che vi
si conduceva.
Le organizzazioni femminili fasciste erano affidate
esclusivamente alle donne e la Segretaria Nazionale
rispondeva dei suo operato soltanto al Segretario dei
Partito, il quale esercitava però la sola vigilanza
amministrativa e di coordinamento.
Le donne si dimostrarono all'altezza della fiducia
riposta in loro. In quel particolare clima spirituale,
fatto di amore per la Patria, senso della disciplina,
del dovere e del sacrificio, le giovani d'Italia si
formarono sia nelle scuole che nelle attività educative
dell'opera Nazionale Balilla (divenuta poi Gioventù
italiana dei Littorio), dei Fasci Femminili e dell'opera
Nazionale Maternità e Infanzia.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale molte
italiane parteciparono al conflitto quali crocerossine,
oppure frequentarono corsi di pronto soccorso,
coloniali, dell'Unione Nazionale per la Protezione
Antiaerea(U.N.P.A.), o dei Servizio Avvistamento Aereo
dell'Aeronautica Militare, esercitando le previste
funzioni di visitatrici degli ospedali militari - in
aiuto e supporto alle strutture ospedaliere stesse - o
di assistenza sotto i bombardamenti. Bambine e ragazze
delle scuole medie inferiori e superiori confezionavano
indumenti per i soldati al fronte e andavano a visitare
i feriti negli ospedali, mentre i militari di passaggio
con le tradotte e quelli di stanza nelle caserme
ricevevano generi di conforto accompagnati da un sorriso
femminile.
Dopo il 25 aprile ’45, la sopravivenza o la morte delle
ausiliarie furono dovute alla capacità e alla prudenza
dei comandanti dei reparti cui erano aggregate, ma anche
al caso e alla fortuna.
Chi cadeva nelle mani degli Alleati, era sicuro e
generalmente, dopo un sommario interrogatorio, veniva
posta in libertà. Chi, invece, cadeva nelle mani di
partigiani non comunisti, finiva in campo di
concentramento, in attesa di accertamento per eventuali
responsabilità personali.
Ma poiché responsabilità personali non ce n'erano, dopo
qualche tempo tornava libera. Non ci fu scampo, invece,
per le sventurate cadute in mano ai comunisti che
restano gli unici responsabili del massacro delle
ausiliarie.
Le ricerche fatte dall' "Associazione nazionale servizio
ausiliario femminile", costituita dopo la guerra per
tramandare il ricordo del Servizio e la memoria delle
Cadute, hanno potuto stabilire che una ventina di esse
furono fucilate nei giorni compresi tra il 25 aprile e
il 2 maggio.
Non c'e' dubbio che si trattò di azioni illecite e
ingiustificate, perché le volontarie non erano armate e
furono uccise dopo che si erano arrese. Tuttavia, se
ricordiamo i bandi emessi da taluni CLN, come quello del
Piemonte che prevedeva la fucilazione senza processo di
tutti gli appartenenti alle formazioni volontarie della
RSI (cioè in pratica di 350 mila italiani), questi
omicidi possono trovare una spiegazione, sia pure
rapportata al clima infuocato e feroce di quei giorni.
Ma il 2 maggio, alle ore 12, diventò operante, su tutto
il territorio nazionale, la resa firmata a Caserta dai
plenipotenziari tedeschi anche a nome di tutte le
formazioni della RSI, resa che impegnava gi Alleati, il
governo italiano e tutte le forze partigiane a
rispettare la convenzione di Ginevra.
Pertanto, le uccisioni di ausiliarie avvenute dopo
quella data, furono crimini spietati che non trovano
alcuna spiegazione se non nelle bestialità di chi li
commise.
Un'idea precisa ed impressionante del clima in cui
vennero a trovarsi le ausiliarie in quei giorni è resa
da Antonia Setti Carraro, mamma di Emanuela Setti
Carraro e futura suocera del generale Carlo Alberto
Dalla Chiesa che, nei drammatici giorni
dell'insurrezione torinese, era capogruppo della
crocerossine della Divisione "Littorio".
Antonia Setti Carraro, che ha narrato la sua
testimonianza in un libro dal titolo Carità e Tormento
(1982), ancora quarant'anni dopo non riusciva a
togliersi dalla memoria le scene spaventose alle quali
aveva dovuto assistere, allorché, dopo essere scesa a
Torino con un treno - ospedale proveniente dalla Val
d'Aosta, aveva dato vita ad un infermeria da campo
vicino a Porta Nuova, con l'aiuto di tre consorelle e di
cinque ausiliarie infermiere.
Scoppiata l'insurrezione, i feriti (tutti soldati
fascisti) furono fatti a pezzi, le otto ragazze
catturate e messe al muro. Prima che toccasse a loro,
furono costrette ad assistere a qualcosa che Antonia
Setti Carraro descrive con queste parole:" Sul fondo
della baracca di legno vedemmo un mucchio di cose
immobili che sembravano stracci. Il sangue rappreso
aveva modificato le tinte di quelle giacche e di quei
pantaloni grigioverdi e ne aveva smorzato i toni. Ora
non sembravano più cadaveri ammucchiati: le facce erano
fori e poltiglia, le teste erano scoppiate, i capelli
confusi tra loro, sembravano ammassi di foglie
autunnali, cataste di legname coperto di muffa. E
invece, fino a poche ore prima, erano creature umane".
Scambiate tutte per ausiliarie (inutilmente sorella
Antonietta e sorella Myriam si affannavano a mostrare la
croce rossa che portavano sul grembiule sotto il
cappotto militare, ottenendone, come unica risposta:"Non
vogliamo più Cristi né padroni! Vogliamo solo ammazzarvi
tutti, voi fascisti: tutti, uomini e donne, grandi e
bambini") un ulteriore "intermezzo" sopraggiunse a
sottrarle ancora alla morte. Alcuni uomini arrivavano
sui mezzi a motore chiamando a gran voce i carcerieri:
"Venite, preso, li ammazziamo con gli autocarri. Li
riduciamo con tutte le ossa rotte. Uno spettacolo
fantastico! Vedrete! Li inseguiamo mentre cercano di
scappare. Muoiono urlando come cani!" L'eccitazione per
la nuova carneficina distrae per un attimo quelle belve
e consente alle ausiliarie e alle crocerossine di darsi
alla fuga.
E' una fuga allucinante, attraverso una Torino in preda
all'odio e al sangue, con cadaveri disseminati dovunque,
corpi che precipitano da qualche piano alto venendo a
sfracellarsi ai piedi delle ragazze, disperati che
spirano su una panchina o in mezzo a un'aiuola con
un'espressione di terrore sul volto, individui portati
in giro per le strade dentro gabbie da polli,
continuamente pungolati con bastoni appuntiti che ne
riducono visi e membra a pezzi di carne sanguinolenta, e
infine impiccati tra la gioia generale.
La signora Setti Carraro con le due sorelle e le cinque
ausiliarie, si illudono finalmente di trovare la
salvezza in casa di conoscenti, ma vengono bruscamente
messe alla porta: "Questa guerra non l'abbiamo voluta
noi. Non possiamo impedire al popolo di prendersi le sue
vendette". "Ma siamo crocerossine!" "Arrangiatevi!"
Ed eccole nuovamente catturate da una banda di
partigiani comunisti, all'inizio di un ponte sul Po,
costrette per un pezzo a guardare giù. "L'acqua" scrive
Antonia Setti Carraro " che era bassa e sembrava ferma,
brulicava di cadaveri. A testa in giù, a braccia aperte,
a gambe divaricate, a faccia in su, a pezzi o tutti
interi, giovani, ragazzi, uomini, donne e fanciulle
giacevano scomposti, aggrovigliati, ammassati, paurosi a
vedersi, atroci nelle posizioni. Le ausiliarie erano
impallidite in modo terribile".
Ritratto di tre Ausiliarie
Questo racconto, che resta uno dei più sinceri, fedeli
ed anche religiosi dell'odio demoniaco di cui sono
capaci, in certe circostanze della loro storia gli
italiani, si conclude con la quasi miracolosa fuga delle
otto donne inseguite, per fortuna invano, da raffiche di
mitra e bombe a mano, dopo che sono riuscite a distrarre
i loro carcerieri, troppo impegnati a gustarsi, nei
minimi particolari, l'agonia di un fascista che "meno
esposto ai colpi dei carnefici, non era morto sul colpo,
ma si lagnava debolmente e, annaspando con le mani,
cercava di sciogliersi dalle funi che lo tenevano legati
agli altri del gruppo, e, mugolando, suscitava l'ilarità
di chi lo aveva appena colpito, e continuava a colpirlo
con randellate sorde che gli frantumavano ossa e
cranio".
Se le cinque ausiliarie protagoniste di questa
agghiacciante, tremenda pagina di vita vissuta scritta
da Antonia Setti Carraro, poterono salvarsi, una sorte
ben più tragica era in agguato per le otto ausiliarie
del Comando provinciale di Piacenza che, la mattina del
26 aprile, mentre viaggiavano su un autocarro alla volta
di Como, incapparono in un posto di blocco di partigiani
comunisti a Casalpusterlengo. Con loro viaggiavano sei
soldati di sanità, tutti disarmati.
Portato alla Torre, il gruppo vi trascorse l'intera
giornata e la notte tra le urla e gli insulti della
folla che chiedeva giustizia sommaria.
La mattina dopo furono fatti salire su una corriera,
trasportati davanti all'ospedale e qui schierati in fila
davanti al muro, mentre un plotone improvvisato si
allineava di fronte a loro.
Fu a quel punto che una delle ausiliarie, Adele Buzzoni,
si mise ad urlare scongiurando i "giustizieri" di
salvare sua sorella Maria, che era nel gruppo, perché
potesse aver cura della loro madre, cieca e sola. Maria
Buzzoni fu afferrata da un partigiano e spinta da parte.
Subito dopo il plotone aprì il fuoco, ma vedendo la
sorella cadere assieme agli altri Maria gridò per la
disperazione con quanto fiato aveva in gola. Per farla
tacere un partigiano le scaricò il mitra addosso,
freddando anche lei.
Intanto, una scena irreale, spaventosa, stava accadendo.
L'ausiliaria Anita Romano, che era rimasta soltanto
ferita. si alzò dal mucchio sanguinante, avanzando verso
i suoi assassini. tra le ausiliarie c'erano altre due
sorelle, Ida e Bianca Poggioli.
Anch'esse erano rimaste soltanto ferite, e Bianca
Poggioli gridava: "Uccidetemi! Uccidetemi!".
Mentre i partigiani si preparavano a finirle, si
precipitò davanti a loro padre Paolo del vicino convento
dei Cappuccini. "No" disse " non lo fate. Stanno
morendo. andate via. Le assisterò io fino alla morte".
Lividi, sudati, i "giustizieri" si allontanarono, ma
poco dopo tornarono sui loro passi, pentiti di aver dato
retta al frate. Ma quei pochi istanti erano bastati a
padre Paolo per trascinare le tre sventurate all'interno
dell'ospedale e nasconderle con l'aiuto delle suore, in
uno scantinato.
I comunisti diedero loro al caccia per tutto il giorno,
poi si stancarono.
Le ragazze poterono così essere curate e salvate. Le
altre vittime, oltre ai sei soldati sconosciuti e alle
sorelle Buzzoni, furono Luigia Mutti, Rosetta Ottadana e
Dosolina Nassani.
Nessuna pietà, invece, per l'ausiliaria Jolanda
Crivelli. Aveva solo 20 anni ed era la giovanissima
vedova di un ufficiale del "Battaglione M", ucciso a
Bologna durante la guerra civile, in un agguato dei "sapisti"
(costola della banda comunista dei gap).
Il 26 aprile raggiunse Cesena, la sua città, per tornare
dalla madre, che viveva sola.
Fu riconosciuta e additata dai concittadini ad alcuni
partigiani comunisti:"E' una fascista, moglie di
fascista!" Percossa a sangue, denudata, fu trascinata
per le strade di Cesena tra gli sputi della gente.
Davanti alle carceri fu legata a un albero e fucilata.
Il cadavere nudo, rimase per due giorni esposto. Poi fu
permesso alla madre di seppellirla.
A Novara invece, il vescovo riuscì ad impedire il
progetto di fare sfilare nude tutte le ausiliarie
catturate, circa trecento, per le vie della città. I
partigiani dovettero accontentarsi di raparle a zero. In
seguito, alcune di esse furono violentate e quindi
fucilate.
In quella autentica tomba delle ausiliarie che fu
Nichelino, trovarono la morte, il 30 aprile, assieme ad
un gruppo di loro compagne, anche le ausiliarie scelte
Laura Giolo, di 25 anni e Lidia Fragiacomo, di 32, dopo
un'autentica gara di emulazione per rispondere alla
domanda:" Chi di voi è la comandante?"
Questa qualifica spettava a Laura Giolo, che infatti non
ebbe esitazione a rispondere, ma Lidia, convinta di
poter così salvare la compagna, disse, rivolta ai
partigiani:" Non datele retta, sono io che comando il
gruppo". Fu messa al muro e accadde, allora, uno di quei
fatti che, nella barbarie, rappresentano un raggio di
speranza.
I partigiani che formavano il plotone di esecuzione, pur
essendo comunisti, garibaldini della 105a brigata "Pisacane",
toccati dall'eroismo e dalla generosità di quella scena,
scaricarono i mitra in aria. ma intervennero altri
partigiani che non ebbero pietà. Fu accolta soltanto la
richiesta di assistenza religiosa e don angelo Ruffino,
parroco di San Secondo, potè confessare le condannate.
Tra i più spregevoli crimini compiuti ai danni delle
ausiliarie dopo il 2 maggio, vi fu il massacro del
Santuario di Graglia, nel Biellese. Qui era stato
condotto, dopo aver stipulato regolare resa con l'onore
delle armi,. grazie all'intervento dell'autorità
ecclesiastica, l'intero II° Reparto allievi ufficiali
della GNR; 30 uomini, al comando del maggiore Galamini,
più le ausiliarie Rina Chandrè, Itala Giraldi e Lucia
Rocchetti.
Del gruppo facevano parte anche le signore Antonietta
Milesi, e Carla Paolucci, mogli di due ufficiali.
Ebbene, infrangendo tutte le leggi di guerra, nonché la
parola solennemente data, i carcerieri comunisti di
Moranino, fucilarono tutti gli uomini del gruppo e le
due signore.
Le tre ausiliarie, risparmiate sul momento, furono
fucilate più tardi a Muzzano, perché i partigiani, come
riferì un testimone, "dovevano andare a ballare e non
sapevano che fare delle tre prigioniere" .
Fu la madre di Itala Giraldi che ritrovò i tre corpi,
sommariamente sepolti sull'argine di un torrente,
scavando la terra con una cazzuola, tra i lazzi e lo
scherno dei comunisti del luogo.
A Jole Genesi, stenodattilografa della Brigata Nera
"Augusto Cristina" di Novara e a Lidia Rovilda,
assegnata alla GNR della stessa città, toccò una fine
allucinante. Catturate alla Stazione Centrale di Milano
il primo maggio, furono condotte all'albergo "San Carlo"
di Arona, torturate tutta la notte con degli spilloni
conficcate nella carne, poi legate assieme con un filo
di ferro e finite con un colpo alla nuca. Non avevano
voluto rivelare dove era nascosta la comandante
provinciale di Novara.
Marcella Batacchi, fiorentina e Jolanda Spitz, trentina,
erano state assegnate al distretto militare di Cuneo. Il
30 aprile, la colonna in fuga della quale facevano
parte, con sette loro compagne, si arrese ai partigiani
a Biella. Per salvarsi, le sette ragazze dichiararono di
essere prostitute che avevano lasciato la casa di
tolleranza di Cuneo per seguire i soldati.
Marcella e Jolanda rifiutarono il compromesso e si
dichiararono ausiliarie, furono violentate e massacrate
di botte, poi fucilate e sepolte in una stessa fossa,
l'una sull'altra.
Quando i genitori, mesi dopo, poterono esumarle,
trovarono due visi tumefatti e sfigurati, ma i corpi
bianchi e intatti. Avevano entrambe 18 anni.
I partigiani comunisti assassinarono anche una
ausiliaria francescana: si chiamava Angela Maria Tam,
era di Buglio al Monte, in provincia di Sondrio. Venne
fucilata il 6 maggio. La famiglia riuscì ad entrare in
possesso del suo ultimo biglietto: "Viva l'Italia" Che
Gesù la benedica e la riconduca all'amore e all'unità
per il nostro sacrificio. Così sia".
Le due vittime più giovani furono Luciana Minardi e
Marilena Grill: sedici anni. Luciana Minardi, di Imola,
era al fronte, sul Senio. con battaglione "Colleoni"
della Divisione "San Marco", addetta al telefono da
campo e al cifrario. Aveva rischiato la vita cento
volte. Durante la ritirata, il comandante del
battaglione le affidò il gagliardetto perché lo portasse
in salvo. Catturata dagli inglesi, Luciana riesce a
disfarsi del gagliardetto, gettandolo nel Po. Gli
inglesi la rilasciano dopo un breve interrogatorio.
Gettata la divisa, torna dai genitori, sfollati a
Cologna Veneta, in provincia di Verona. Ma qualcuno
avverte i partigiani comunisti della zona che quella
ragazzina "è una fascista". Vanno a prenderla a metà
maggio, i mitra puntati alla gola dei genitori, la
portano sull'argine del torrente Guà e, dopo
innominabili violenze sessuali, la massacrano. "Adesso
chiama la mamma porca fascista!", le grida il comunista
che la uccide con una raffica.
Marilena Grill era di Torino, lavorava all'Ufficio
ricerche dispersi. Il 28 aprile i partigiani vanno a
prenderla in casa dei genitori, dov'è tornata. Chiede di
indossare la divisa. La tengono cinque giorni alla
caserma "Valdocco". Un colpo alla nuca la liquida il 3
maggio.
All'istituto di medicina legale dell'Università di
Torino è probabilmente ancora possibile consultare il
registro del mese di maggio 1945, al quale attinse
Giorgio Pisanò per completare i capitoli dedicati alle
ausiliarie della sua opera Storie delle Forze Armate
della RSI pubblicata a Milano nel 1967. E' dal suo libro
che si riportano questi due verbali:
"Autopsia n. 7065. Entrata 3 maggio. Uscita 11 maggio.
Provenienza: stazione Porta Nuova. Diagnosi: omicidio
per arma da fuoco. Causa della morte: lesioni al cranio,
torace, addome. Indossa la divisa militare della
Repubblica, con mostrine recanti fascetti rossi. Una A
rossa sulla tasca sup. sx. Si tratta di cadavere di
giovane donna dell'apparente età di 18 - 20 anni.
Capelli neri rasati a zero"
"Autopsia n 7143. Entrata 11.6, uscita 17.6. Provenienza
fiume Po dietro caserma dei pompieri Barriera Milano.
Diagnosi: omicidio per arma da fuoco. Causa della morte:
lesioni cranio-cerebrali e toraco-addominali.
Riferiscono che questa giovane donna, già ausiliaria
presso i reparti della Repubblica, sia stata prelevata e
collocata in un canile di via Nizza, indi prelevata e
uccisa. Veste una gonna grigia e un giubbetto rosso a
grosse fasce bianche trasversali, ha capelli color
castano scuro rasati a zero. Si tratta di cadavere di
giovane donna dall'apparente età di 17 - 19 anni,
incinta al settimo mese circa di gestazione.
All'ispezione sono rilevabili n. 6 fori tondeggianti
d'arma da fuoco del diametro di circa 1 cm circondati da
orletto escoriativo nerastro situati 2 vicini alla
regione laterale sx del collo, un terzo alla regione
precordiale e gli altri tre al basso ventre".
AUSILIARIE DISPERSE A TORINO
Anselmo Mercedes, Argonauta Lina, Bonaglia Giuditta,
Castaldi Emma, disperse in Torino in data imprecisata
AUSILIARIE UCCISE DOPO IL 25 APRILE
Audisio Margherita Fucilata a Nichelino il 26 aprile
1945
Fragiacomo Lidia e Giolo Laura, fucilate a Nichelino
(TO) il 30 aprile 1945 assieme ad altre cinque
ausiliarie non identificate, dopo una gara di emulazione
nel tentativo di salvare la loro comandante.
Grill Marilena 16 anni, assassinata a Torino la notte
del 2 maggio 1945
Monteverde Licia assassinata a Torino il 6 maggio 1945
Ravioli Ernesta 19 anni, assassinata a Torino in data
imprecisata dopo il 25 aprile 1945
Silvestri Ida assassinata a Torino l'1 maggio 1945, poi
gettata nel Po
Nell'archivio dell'obitorio di Torino, il giornalista e
storico Giorgio Pisanò ha ritrovato i verbali d'autopsia
di sei ausiliarie sepolte come "sconosciute", ma
indossanti la divisa del SAF.
LETTERE DELLE CONDANNATE
Ausiliaria scelta LIDIA FRAGIACOMO 33 anni, nata a
Trieste, fucilata a Nichelino (TO) il 30 aprile 1945 dai
partigiani comunisti della 105a brigata "Garibaldi"
assieme ad altre quattro commilitone dopo aver perorato
la salvezza della sua comandante, facendosi passare,
mentendo, per la più alta in grado. Senza una famiglia
sua, l'ultima lettera è indirizzata alla signora
Giovanna Albanese, di Torino, presso la quale era stata
per molti anni a servizio, prima di arruolarsi nel SAF.
Carissima signora Giovanna,
quando riceverete questa mia, io sarò nel mondo dei più,
in un mondo più buono; forse avremo finito di soffrire.
Sono felice di dare la mia vita per l'Italia, per questo
nostro ideale. Forse, il mio sangue non sarà inutile: mi
hanno promesso di salvare la mia Comandante e ciò mi fa
estremamente felice. Il mio desiderio terreno è
solamente uno: che l'Italia possa ritornare una, libera
e grande. Non mi spiace morire, perché so che in questo
mondo vi sono soltanto brutture e nell'altro troveremo
giustizia, almeno così spero. Siate forte e fiera nel
dolore. Io se avrò la fortuna di andare in Paradiso
pregherò per la nostra Italia. Baciatemi forte
Marinuccio, la zia e la contessina. Al maggiore i miei
più cari saluti. Anche a Crac un bacio. Come vedete,
sono tranquilla, Un bacio forte a Voi, Viva l'Italia
Ausiliaria scelta Fragiacomo Lidia.
Ausiliaria scelta LAURA GIOLO, 25 anni di Torino,
fucilata a Nichelino (TO) assieme a Lidia Fragiacomo, il
30 aprile 1945. In servizio a Milano, si trovava nella
sua città in licenza. Fu catturata per aver espresso
indignazione di fronte alla scena selvaggia del
linciaggio di un fascista.
Cari tutti, sono gli ultimi istanti della mia vita.
E' già uscita la sentenza. Non posso chiedervi che una
cosa: perdonatemi. Spesso, sempre forse, non ci siamo
compresi e questa incomprensione mi costa la vita. Forse
me la sono anche voluta. Non lo so. Io muoio innocente.
So di non aver sparso sangue; questo mi tranquillizza in
questi ultimi istanti. Papà, a te perdono vivissimo; so
quante lacrime e affanni ti costo, ma non mi hai voluta
capire. Mamma mia, coraggio, coraggio ! Hai altri figli:
pensa a loro. Mimmi mia buona, addio. Lia, tesoro mio,
gioia mia, ciao per sempre. Dio mi assisterà. Veglierò
su di te. Infiniti auguri al mio Benito caro. Salutatemi
Ruggero, non inimicatevi con lui. Non è cattivo. E
quando il mio povero amato Carlo tornerà dalla
prigionia, dategli la mia catenina d'oro. Gli
appartiene. Consolatelo. Siate forti, tutti: ve lo
chiedo io che dalla vita non attendo più nulla.
Perdonate a tutti. Anche voi. Ve lo comando. Un bacio a
tutti.
Laura
Ausiliaria MARGHERITA AUDISIO, 20 anni di Torino,
fucilata a Nichelino (TO) il 26 aprile 1945. La sua
ultima lettera è inviata alla madre, anch'essa
ausiliaria della RSI. I comunisti le consentirono di
scrivere l'ultima lettera anche alla sorella. La
famiglia apprese così che la ragazza era morta serena
solo perché aveva ottenuto di essere fucilata al petto,
come un soldato.
Carissima Luciana, fra pochi minuti sarò fucilata.
una consolazione devo darti: fucilazione al petto e non
alla schiena. Raggiungo papà in paradiso, perché mi sono
confessata e comunicata, e con lui vi proteggerò tutti.
Tu sai che sono sempre stata una pura della mia fede: in
essa ho sempre creduto, credo ancora e per essa sono
contenta di morire. Consola la mamma. Perdono a tutti.
Viva l'Italia! Ti bacio. Tua sorella".
Cara Mamma, io vivo per la Patria e per la Patria saprò
morire. Tutti i pensieri, le passioni di adolescente, di
giovane ventenne, non mi hanno fatto volgere gli occhi
dall'orizzonte ove è la mia Patria. Madre delle mie
carni, mi comprendi? Quindi, non piangerai, madre mia.
Tu che nel mondo seminasti lacrime, non piangerai.
Questo per me è l'unico tormento, l'unico dubbio che
lascio qui in terra. L'altra mia angoscia, per la Madre
grande, si placherà con la morte. E' la mia sorte. Ma
una cosa voglio ancora dire. Patria mia, il nostro
sacrificio non sarà vano. Ritornerai ancora unita,
grande, bella. E Iddio dall'alto ti proteggerà, mentre i
Morti ti guideranno. Italia credo sempre in te:
risorgerai! Sorelle mie di fede, questo è il mio credo. |