Umberto Mario
Adriano Bardelli nasce a Livorno l’11
marzo del 1908, da Artemisio Bardelli e
da Emma Cristiani.
Dopo aver frequentato il Ginnasio,
Umberto Bardelli entra il 18 ottobre
1924, a sedici anni, nella Regia
Accademia Navale, iscritto al Corso per
Ufficiali Macchinisti come Allievo
(Decreto del 17 novembre 1924), ed è
quindi arruolato come Volontario nel
C.R.E.M. per la ferma di quattro anni
dalla nomina ad Ufficiale. (1)
Umberto Bardelli, alla data della sua
morte, aveva quindi passato venti anni
della sua vita al servizio dell’Italia.
I primi imbarchi d’addestramento saranno
svolti dall’Allievo Bardelli sulle Regie
Navi Ferruccio, Vespucci, Pisa e
Pacinotti.
Dall’otto luglio 1925 al 16 febbraio
1930 Bardelli trascorrerà sedici mesi
imbarcato su queste navi.
Il Ferruccio era un vecchio Incrociatore
Corazzato (8.100 tsl), con propulsione a
vapore e caldaie a carbone, utilizzato
per l’addestramento degli Allievi, il
Vespucci era un Incrociatore a vela e
vapore (2.890 tsl), predecessore del
Vespucci (varato il 22 marzo 1930 ed
operativo dal 1931) che ancora adesso
solca i mari, l’Incrociatore Corazzato
Pisa (10.600 tsl) un’altra obsoleta nave
da guerra utilizzata come Nave Scuola,
mentre il Pacinotti era una Nave -
Appoggio Sommergibili (2.720 tsl)
Con decorrenza dal 7 novembre 1928
Bardelli è nominato Aspirante
Sottotenente, e il 4 agosto 1929
presterà giuramento presso il Comando
della Regia Nave Pacinotti; l’undici
luglio 1929 è promosso Sottotenente del
Genio Navale, con anzianità di grado 15
luglio 1929, dopo aver conseguito con
successo gli esami presso la Regia
Accademia Navale, Sezione Genio Navale.
Dal febbraio al maggio 1930 sarà
imbarcato sul Regio Incrociatore
Trieste.
Il 10 luglio 1930 è nominato Tenente del
Genio Navale (G.N.), con anzianità di
grado 15 luglio 1930.
In seguito a questo primo ed importante
risultato per la sua futura carriera, il
Tenente del Genio Navale Bardelli è
destinato a Genova, a perfezionarsi
presso la Scuola di Ingegneria Navale,
dal 5 novembre 1930 al primo agosto
1931, e in seguito all’Ufficio Tecnico
del Genio Navale di Trieste (agosto -
ottobre 1931).
Sarà quindi nuovamente inviato a Genova,
alla Scuola di Ingegneria Navale, dal
primo ottobre 1931 al 28 luglio 1932, e
tra il 10 settembre e il 29 novembre
dello stesso anno.
Disponibile
dal 28 luglio al 10 settembre 1931, è
imbarcato per la prima volta su di un
Sommergibile, il Toti, assegnato alla
sua sala macchine, dal 19 novembre 1932
al primo marzo 1933, e quindi inizia una
lunga serie di imbarchi sul Regio
Sommergibile Menotti, dal primo marzo
1933 al 16 novembre 1933, per un totale
di otto mesi di navigazione.
Le sale macchine dei sommergibili sono
molto diverse da quelle delle grosse
navi, vaste, su più piani e con grandi
apparati di propulsione: le macchine di
un sommergibile, solitamente due Diesel,
sono collocate invece in
un buco angusto nel quale i due enormi
motori con tutte le loro apparecchiature
ausiliarie sembrano animali addossati
l’uno all’altro. Attorno, anche il più
piccolo spazio tra il groviglio di
condutture è stato sfruttato: oltre alla
pompa di circolazione dell’acqua per il
raffreddamento, la pompa dell’olio, il
filtro dell’olio, le bombole d’aria
compressa per l’avviamento, la pompa per
la mandata dell’olio. In mezzo,
manometri, termometri, indicatori di
sbandata e altri strumenti vari.
Questo ambiente stretto, caldo e pervaso
dell’odore acre dell’olio, della nafta e
del sudore, ma così vitale per il
sommergibile, sarà per anni il regno
governato dalla mano sicura di Umberto
Bardelli.
Seguiranno diversi periodi di imbarco
sul Regio Sommergibile Speri, dal 16
novembre 1933 all’11 agosto 1936,
compreso un imbarco di un anno, quattro
mesi e nove giorni ed un altro di dieci
mesi e cinque giorni.
Umberto Bardelli, promosso Capitano del
Genio Navale il 18 luglio 1936, passerà
quindi sul Regio Sommergibile Bandiera
(stessa classe del Menotti),
trascorrendo quindici mesi in
navigazione su questa unità, dall’agosto
1936 al 14 novembre 1937. Parte di
questo periodo vedrà Bardelli a Massaua,
città portuale dell’Eritrea sul Mar
Rosso e Base Sommergibili della Regia
Marina nell’Africa Orientale Italiana.
Il 21 ottobre 1934 Umberto Bardelli
convola a nozze con l’amata Luigia
Maresca, dalla felice unione nascerà una
figlia, Serena.
Il 15 dicembre 1937 Bardelli viene
destinato a Taranto, all’Ufficio
Allestimento Sommergibili, dove rimarrà
sino al 10 febbraio 1938, per
contribuire all’allestimento del Regio
Sommergibile Brin.
Il partecipare alla fase vitale
dell’allestimento di una unità navale e
dei suoi complessi macchinari, come
Bardelli farà in più occasioni, è
certamente indice della sua bravura e
competenza di Ufficiale del Genio
Navale.
Dal 10 febbraio al 28 marzo e dal 16
maggio al 14 giugno 1938 è invece
all’Ufficio Allestimento Sommergibili di
Monfalcone, per l’allestimento del
Sommergibile Nani. Quindi sarà destinato
allo stesso Ufficio, ma a Taranto, dal
13 aprile al 15 aprile 1939 e dal 6
luglio al primo ottobre 1939.
Parteciperà anche all’allestimento del
Regio Sommergibile Console Generale
Liuzzi dal primo ottobre al 22 novembre
1939.
Dal 28 marzo 1938 al 27 giugno dello
stesso anno avrà quindi la qualifica di
Capo Servizio Genio Navale sui
Sommergibili Nani e Speri, mentre dal 30
settembre 1938 al 20 maggio 1940
presterà servizio sui Sommergibili Da
Procida, Guglielmotti, Archimede e
Liuzzi.
E’ insignito in questo periodo della
Medaglia Commemorativa per la spedizione
in Albania.
All’inizio della guerra Umberto Bardelli
era quindi uno dei più esperti Ufficiali
del Genio Navale della Regia Marina,
avendo dato prova delle sue capacità per
più di sessanta mesi di servizio su
Sommergibili!
Il 20 maggio 1940 Umberto Bardelli sarà
imbarcato sul Sommergibile Zoea, unità
che faceva parte della 48a Squadriglia
del Gruppo di Taranto.
Il Sommergibile Posamine Zoea, della
classe Foca, capace di portare venti
mine in camera centrale e sedici in
tubi, per un totale di trentasei mine,
fu costruito dai Cantieri Tosi di
Taranto. Impostato il 3 marzo 1936, fu
varato il 5 dicembre 1937 e consegnato
alla Regia Marina il 12 febbraio 1938.
Il 10 giugno 1940 l’Italia entra in
guerra: quello che sembrava essere solo
l’ennesimo imbarco si trasforma per il
Capitano Bardelli nella sua prima
missione di guerra.
Il Zoea all’inizio del conflitto sarà
impiegato assieme al pariclasse Atropo
come Sommergibile - Trasporto, infatti
il 18 giugno 1940 salperà da Napoli per
Tobruk portando un carico urgente di
sessanta tonnellate di proiettili da 20,
37 e 47 mm per il REI.
Altre missioni di trasporto del Zoea e
dell’Atropo raggiungeranno l’isola di
Lero.
Quindi il Zoea opererà, nel Mediterraneo
Orientale, compiendo diverse missioni di
deposizione di mine subacquee, assieme
all’Atropo. Durante una di queste
missioni, effettuata nelle acque
palestinesi nell’ottobre 1940, l’Atropo
fu costretto a rientrare a causa dei
danni subiti dall’esplosione di due
delle sue mine durante la deposizione
delle stesse.
Lo
Zoea continuerà la missione da solo,
terminando di posare lo sbarramento di
mine.
L’alta professionalità e la dedizione di
Bardelli, già ampiamente dimostrata in
pace, sarà confermata anche nelle dure
condizioni della realtà dalla guerra
sottomarina.
Per il suo comportamento nell’operazione
di posa di mine sopra descritta gli è
infatti assegnata la Medaglia di Bronzo
al Valor Militare, denominazione del 10
febbraio 1941, con la seguente
motivazione:
“Direttore di macchina di sommergibili
posamine, durante un’ardita missione
svolta in prossimità di una base nemica
e conclusa con la posa di uno
sbarramento, coadiuvava con esemplare
serenità d’animo, perizia e coraggio il
suo Comandante, contribuendo
efficacemente con la sua opera fattiva a
sormontare gravi difficoltà causate da
avarie del materiale”. (Mediterraneo
Orientale, 7-22 ottobre 1940-XVIII)
Dopo queste missioni con il Zoea, il
Capitano G.N. Bardelli sarà impegnato
dalla fine di ottobre del 1940 sul Brin,
uno dei Sommergibili assegnati alla Base
Atlantica di Bordeaux, Betasom.
Il sommergibile oceanico Brin, della
omonima classe, fu costruito dai
Cantieri Tosi di Taranto. Impostato il 3
dicembre 1936, fu varato il 3 aprile
1937 e consegnato alla Regia Marina il
30 giugno 1938.
Il Brin, dopo aver effettuato alcune
missioni, senza successo, nel
Mediterraneo, ricevette nell’ottobre
1940 l’ordine di recarsi a Betasom.
Bardelli opererà in qualità di Direttore
di Macchina sul Brin dal 25 ottobre 1940
al 16 febbraio 1941. Il sommergibile era
comandato in questo periodo dal
Comandante Longanesi Cattani, che si
distinguerà poi anche sul Da Vinci. Il
Brin affonderà, nelle sue cinque
missioni in Atlantico, due navi per
7.241 tsl, danneggiando altre due navi
per 3.400 tsl.
Il Brin parte il 25 ottobre 1940 da
Taranto per Bordeaux, e durante il
passaggio, in immersione, dello stretto
di Gibilterra, il sommergibile, spinto
dalle forti correnti, subì danni urtando
due volte sul fondo, prima sulla sponda
settentrionale e più tardi una seconda
su quella meridionale. A quel punto, il
Capitano G.N. Bardelli dirà al
Comandante Longanesi Cattani: “La
prossima volta sbattiamo a Cuba!”,
dicendo questa frase a bassa voce, e
“con il più corretto dei saluti”, in
modo che lo scherzo non potesse essere
udito dagli altri uomini impegnati in
camera di manovra. (2)
Poco dopo, secondo la relazione del
Comandante Longanesi Cattani:
In base alla rapida diminuzione di
fondale e alle condizioni di scarica
della batteria che non mi permettono di
oppormi alla corrente giudico che
un’ulteriore permanenza in immersione
produrrebbe l’incaglio dell’unità.
Appena emerso mi accorgo di essere in
prossimità della costa africana a circa
due miglia a nord - est di Capo Malabata.
La bussola, probabilmente per
trascinamento della rosa, a causa
dell’urto contro la costa, era derivata
di centottanta gradi. (3)
Costretto quindi all’emersione, e
ritrovatosi a poca distanza dal porto
neutrale di Tangeri, il Brin fu
intercettato da due Cacciatorpediniere
inglesi: il Brin, sfuggendo alla caccia
del Destroyer Greyhound, che tenterà
anche di speronarlo, riuscirà ad
ancorarsi a Tangeri assieme al Bianchi
per riparare i danni sofferti, e, posto
rimedio alle avarie grazie anche a
tecnici italiani, i due sommergibili
ripartirono nella notte tra il 12 ed il
13 dicembre 1940 per Bordeaux, dove
giunsero il 18 dicembre. (4)
Come premio ai suoi sforzi, coronati da
successo, per rimettere in condizioni
operative il Brin, non tarderà a
giungere un ulteriore riconoscimento per
Bardelli, un Encomio Solenne:
“In località lontana dalla base
contribuiva in modo efficace con tenacia
ed entusiasmo, a ripristinare
rapidamente la piena efficienza del
proprio sommergibile danneggiato da
offesa nemica”. (Oceano Atlantico,
dicembre 1940)
Il Brin, prima di arrivare a Bordeaux,
si scontrò in superficie con il
sommergibile inglese Tuna, ma nonostante
un nutrito scambio di siluri e cannonate
nessuna delle due unità riportò danni.
Ecco come nel 1961 il Comandante del
Tuna, il Capitano di Vascello
Cavenagh-Mainwaring, riportò a Longanesi
Cattani, ormai non più suo nemico, ma
anzi suo collega nella NATO, la sua
versione di questo combattimento:
All’avvistamento, contro luna, il Tuna
scambiò il mio Brin per un altro
sommergibile inglese che egli sapeva
trovarsi in zona vicina, e perciò prese
l’iniziativa di fare il segnale di
scoperta la cui “parola” corrispondeva,
per una coincidenza del tutto
accidentale, alla nostra “parola” di
quel giorno.
Quando risposi alla sua “parola”, che mi
risultava esatta, il Tuna non ebbe più
dubbi sulla mia qualità di avversario
poiché la mia “controparola” non
corrispondeva alla sua, ed iniziò
l’azione con lancio di siluri e tiro di
cannone.
In totale egli lanciò contro il Brin due
salve di siluri: la prima di sei siluri
e la seconda di quattro, che il Brin
poté evitare miracolosamente con la
manovra, poiché eravamo già in allarme.
Egli afferma -non so se per cortesia- di
aver a sua volta potuto evitare il mio
lancio di una coppiola di siluri per
pochissimi metri.
Il Tuna poté controllare la distanza
(che rimase sui 1.000 metri per tutta la
durata dello scontro) mediante il suo
ecogoniometro e poté utilizzare tale
strumento per regolare il tiro e per
l’apertura delle salve al lancio dei
siluri.
Il Tuna ruppe il combattimento prendendo
l’immersione poiché ritenne,
erroneamente, di aver identificato nelle
sagome di due pescherecci oscurati
quelle di due C.T. che presumeva
venissero come mio rinforzo. Benché io
abbia garantito al Comandante
Cavenagh-Mainwaring di essere passato
metri da quelle due unità e di averle
riconosciute senza possibilità di
equivoco come due pescherecci, egli mi è
sembrato poco convinto della mia
precisazione, così come mi è sembrato
poco convinto del fatto… che il Brin
avesse l’unico cannone a poppa, anziché
a prora come la maggior parte dei nostri
sommergibili. (5)
Sbarcato a Bordeaux del Brin, Bardelli
fu assegnato al Sommergibile Reginaldo
Giuliani dal 16 febbraio 1941 al primo
febbraio 1942.
Il Giuliani, un Sommergibile Oceanico
classe Liuzzi fu impostato dai Cantieri
Tosi di Taranto il 13 marzo 1939, varato
il 3 dicembre dello stesso anno e
consegnato il 3 febbraio 1940. I
Sommergibili classe Liuzzi erano ben
conosciuti da Bardelli, che aveva
prestato la sua opera nell’allestimento
del Console Generale Liuzzi nel
ottobre-novembre 1939.
Dopo alcune missioni in Mediterraneo, il
Giuliani fu modificato per operare in
Atlantico e inviato a Betasom, dove
giunse il 5 ottobre 1940. Operante in
Atlantico, fu destinato a Gotenhafen
(oggi Gdynia) per l’addestramento del
personale sui nuovi metodi di guerra al
traffico oceanico. Prima della partenza
il Capitano di Corvetta D'Elia cedette
il comando al Capitano di Fregata
Vittore Raccanelli che lo assunse per il
solo viaggio di trasferimento.
Bardelli sarà imbarcato come Direttore
di Macchina del Giuliani poco prima di
questa crociera; il Sommergibile partirà
da Bordeaux il 16 marzo 1941, giungendo
a Gotenhafen, alla sezione di tattica
italiana (Marigammasom), presso la
Scuola Sommergibili tedesca, il 6 aprile
1941. All'arrivo, il C.F. Raccanelli,
destinato sull'Incrociatore Bande Nere,
passò il comando al C.C. Adalberto
Giovannini. Il Giuliani rimarrà nella
base germanica per circa un anno, a
disposizione degli Ufficiali italiani
iscritti alla Scuola Sommergibili, e
mentre Ufficiali ed equipaggi saranno
introdotti alle vincenti tattiche di
combattimento subacqueo tedesche, al
Capitano del Genio Navale Bardelli
saranno svelate le soluzioni tecniche
adottate nella costruzione e
nell’armamento degli U-Boot.
Nella sua permanenza a Gotenhafen,
Bardelli incontrerà il Comandante Enzo
Grossi, con il quale stringerà una salda
amicizia che sarà riconfermata in
diverse occasioni nei drammatici mesi
del 1943-1944. (6)
Il Capitano G.N. Bardelli ritornò quindi
in Italia nel febbraio 1942, perché
assegnato all’Ufficio Allestimento
Sommergibili di Taranto, dove rimarrà
sino al 20 ottobre 1942.
Rientrato a Bordeaux nel maggio 1942, il
Giuliani, comandato dal Capitano di
Fregata Giovanni Bruno, affondò in
Atlantico, nell’agosto 1942, i
mercantili Medon (5.444 tsl), California
(5.441 tsl) e Sylvia de Larrinaga (5.218
tsl), per un totale di 16.103 tsl,
danneggiando anche un mercantile di
4.300 tsl.
Il 18 ottobre 1942 Bardelli fu promosso
Maggiore del Genio Navale, con anzianità
di grado dal 9 ottobre 1942; il 21 dello
stesso mese veniva imbarcato sulla
moderna Corazzata Vittorio Veneto,
classe Littorio, sulla quale rimarrà
sino al 6 dicembre 1942.
La Vittorio Veneto, dislocante 45.900
tsl, aveva un armamento principale di 9
pezzi da 381/50 e uno secondario di 12
pezzi da 152/55. Le sue macchine, dalla
potenza di 140.000 cavalli-vapore, la
spingevano ad una velocità di 30 nodi.
Dal 6 dicembre al 27 dicembre 1942
Bardelli prestò servizio sul
Cacciatorpediniere Bombardiere,
impegnato dal novembre 1942 nella scorta
dei convogli verso la Tunisia: la “rotta
della morte”.
Il Bombardiere, che aveva già diverse
missioni di scorta al suo attivo, e
sotto la guida del Comandante Giuseppe
Moschini aveva respinto diversi attacchi
di aerei e sommergibili alle navi da
esso scortate, era un Cacciatorpediniere
classe Soldati seconda serie, costruito
dai Cantieri Navali Riuniti di Ancona.
Impostato il 7 ottobre 1940, fu varato
il 23 marzo 1942 e consegnato il 15
luglio dello stesso anno. Armato di 4
pezzi da 120/50, 8 mitragliere da 20/65
e 6 siluri, aveva un dislocamento 2.460
tsl, ed era dotato di macchine dalla
potenza di 50.000 cavalli, che gli
conferivano una velocità di 37 nodi.
Il 17 gennaio 1943, solo due settimane
dopo lo sbarco del Maggiore G.N.
Bardelli dal Cacciatorpediniere, il
Bombardiere fu affondato dal
Sommergibile inglese United.
Dal 28 dicembre 1942 al 20 maggio 1943
il Maggiore Bardelli sarà imbarcato
nuovamente sulla Nave da Battaglia
Vittorio Veneto. Nel giugno 1943, il
Maggiore G.N. Bardelli fu decorato della
Croce di Guerra al Valor Militare:
Croce di Guerra al Valor Militare
“Direttore di macchina di sommergibile,
partecipava a numerose missioni dando
prova di costante combattività, spirito
di sacrificio ed elevato sentimento del
dovere”. Determinazione del 13 giugno
1943.
Bardelli fu quindi assegnato, dal 22
maggio al 31 agosto 1943,
sull’Incrociatore Leggero Posamine
Scipione Africano, l’ultimo varato della
classe Capitani Romani, con la qualifica
di Capo Servizio Genio Navale.
Lo Scipione Africano fu costruito dai
Cantieri Odero-Terni-Orlando di Livorno.
Impostato il 28 settembre 1940, fu
varato il 12 gennaio 1941 e consegnato
alla Regia Marina il 23 aprile 1943.
Gli Incrociatori classe Capitani Romani,
dislocanti 5.420 tsl, erano armati con 8
cannoni da 135/45, 8 cannoni contraerei
da 37 mm e 8 mitragliere da 13.2 mm. La
potenza dell’apparato propulsivo era di
110.000 cavalli, che portavano la
velocità teorica di questi Incrociatori
Leggeri, dotati di scarsa protezione, a
ben 41-43 nodi. Sotto la guida esperta
del Maggiore G.N. Bardelli le macchine
dell’Incrociatore portarono lo Scipione
a toccare più volte i 44 nodi,
stabilendo il primato di velocità tra
gli Incrociatori.
Nel maggio-luglio 1943 l’Incrociatore
Scipione fu ormeggiato nei porti di La
Spezia e di Genova, e, visto l’andamento
delle operazioni terrestri in Sicilia,
in previsione del blocco da parte
Alleata dello Stretto di Messina, fu
dato ordine allo Scipione di forzare lo
Stretto e di raggiungere Taranto.
Il 15 luglio 1943 l’Incrociatore
Scipione lasciò l’ormeggio, ed il 17
luglio fu coinvolto in uno scontro
notturno con quattro M.T.B., tra le
quali la M.T.B. 315, comandata dal
Leutnant Newell, e la sua gregaria
M.T.B. 316, mentre era impegnato nella
difficile missione del forzamento dello
Stretto. In un confuso scontro notturno
lo Scipione colpì con il fuoco delle sue
artiglierie la M.T.B. 316, che affondò
con tutto l’equipaggio, riuscì ad
evitare l’offesa delle altre
motosiluranti, letteralmente gareggiando
in velocità coi siluri lanciati contro
di esso, e danneggiò gravemente un’altra
motosilurante inglese, giungendo poi
senza danni a Taranto il 18 agosto 1943.
L’Incrociatore Scipione era dotato del
radar E.C. 3ter Gufo, che probabilmente
rilevò per tempo le M.T.B., consentendo
all’equipaggio di apprestarsi alla
difesa. (7)
In questa battaglia il Maggiore del
Genio Navale Bardelli ricevette la sua
seconda Medaglia di Bronzo al Valor
Militare, con la seguente motivazione:
“Capo Servizio G.N. di Incrociatore
leggero in una missione particolarmente
rischiosa, assicurava con la propria
opera competente ed esperta il felice
esito della missione stessa.
Attaccata l’unità di notte da
motosiluranti nemiche, era di esempio
agli inferiori, con coraggio e serenità,
contribuendo così al vittorioso esito
dell’azione, che portò all’annientamento
di tre delle quattro unità attaccanti”.
Determinazione del 17 agosto 1943.
Tra il 4 ed il 17 agosto lo Scipione
portò a termine diverse rischiose
missioni di posa di sbarramenti di mine
nel Golfo di Taranto ed al largo della
Calabria, sfidando gli aerei e le navi
Alleate che tentavano di impedire
l’evacuazione via mare delle forze italo
- tedesche dalla Sicilia.
Il 31 agosto il Maggiore G.N. Bardelli
sbarcava dall’Incrociatore Scipione a
Taranto. Certamente, mentre scendeva lo
scalandrone che lo portava sul molo, non
immaginava né che quello appena
conclusosi sarebbe stato il suo ultimo
imbarco su di una Nave da Guerra, né
l’abisso nel quale sarebbe sprofondata
l’Italia da lì a pochi giorni.
8 settembre 1943: da Taranto a Trieste
Mentre Umberto Bardelli era imbarcato
sullo Scipione Africano, sua moglie
Lisetta, la sua famiglia e la figlia
Serena erano temporaneamente residenti a
Sava, in provincia di Taranto, dove
erano sfollati. Quindi, nelle parole
della figlia Serena Bardelli Rattazzi:
Lì, ai primi di luglio 1943, mamma
ricevette una lettera in cui babbo le
chiedeva di raggiungerlo con me a
Spezia, dove avremmo atteso l’inizio
della sua licenza di convalescenza alla
fine del mese, per poter poi proseguire
con lui per Laurana, in Istria, vicino
ad Abbazia, dove i nonni Bardelli
avevano una casa sul mare. Mamma ed io
siamo arrivati a Spezia il 16 luglio,
ignare del fatto che il giorno prima lo
Scipione era partito per Taranto, fatto
comunicatoci da Valerio Borghese, che ci
aveva aspettato alla stazione e che ci
portò all’Albergo delle Palme, a Lerici,
dove rimanemmo sino alla fine del mese,
mentre mio padre terminava il suo
periodo di servizio sullo Scipione a
Taranto. (8)
Il Maggiore G.N. Bardelli fu posto in
licenza di convalescenza il primo
settembre 1943, e recatosi a Laurana,
trascorse qualche giorno circondato
dagli affetti familiari e dedicandosi ad
uno dei suoi hobby, il disegno. Abile
disegnatore, Bardelli passerà la notte
tra il 7 e l’8 settembre disegnando più
di 500 soldatini per i suoi nipoti. (9)
L’otto settembre 1943, alla notizia
dell’Armistizio, dopo un primo,
profondo, momento di rabbia e
costernazione, Bardelli decise
immediatamente di lasciare Laurana,
ritenuta troppo vicina al confine,
raggiungendo casa Bardelli a Trieste.
Quindi, come vedremo tra poco, si
adopererà con il suo consueto coraggio
per contribuire alla difesa dell’Istria.
Nell’Istria la situazione era infatti
critica: approfittando dello sbandamento
della maggior parte delle unità
italiane, gli irregolari slavi,
appoggiati da elementi italiani
comunisti, arrivarono a controllare le
vie di comunicazione della regione, e,
forti delle armi e degli equipaggiamenti
abbandonati dal R.E.I., iniziarono a
premere verso i centri abitati, rimasti
isolati.
Ma, a fronte dello sfascio di molti
reparti delle FF.AA. Regie, altre unità
italiane, dopo aver preso accordi con i
tedeschi, tentano di opporsi ai montanti
attacchi slavi.
A Pola il Capitano di Fregata Alessandro
Mirone radunerà i marinai rimasti,
costituendo una unità di formazione di
Fucilieri di Marina, e, assieme a
elementi della 60a Legione Camice Nere,
difenderà la periferia dell’importante
base navale, comprendente il grande
ospedale della Marina, dalle bande
partigiane.
L’unità di formazione citata sarà poi
denominata Battaglione Fucilieri di
Marina - Pola, e posta al comando del
Tenente di Vascello Carlo Russo.
Per rinforzare il presidio fu
organizzata a Trieste una colonna
motorizzata italo - tedesca, che doveva
dirigersi su Pola attraversando
l’Istria.
La colonna, al comando dell’Hauptmann
Weigand e dello Sturmbannführer Hertlein,
era costituita da reparti della Heer,
delle SS, di volontari fascisti di
Trieste e di Legionari del 134°
Battaglione Camicie Nere, e il 12
settembre 1943 mosse verso Pola. (10)
Il Maggiore G.N. Umberto Bardelli,
appena arrivato a Trieste, si mise in
divisa ed andò al Comando Marina, e,
subito dopo, probabilmente perché non
aveva avuto alcun ordine, e vista la
confusione e lo sfascio delle forze
militari italiane nella città, si
presentò al Comando tedesco, dove gli fu
ordinato di imbarcarsi su di una nave
tedesca conducente azioni di guerra a
Pola. (11)
Quando Bardelli tornò da Pola venne a
conoscenza, probabilmente da un collega
della Marina o da un altro Ufficiale,
del fatto che il Comandante Junio
Valerio Borghese era rimasto al suo
posto a La Spezia, e che non aveva
ammainato la bandiera italiana dalla
Caserma della Decima MAS.
Decise allora di raggiungere Borghese, e
con sua moglie, sua figlia e la fedele
cameriera Ferruccia, partì da Trieste
verso Spezia, con una autovettura e due
camion di volontari, autorizzato dai
tedeschi che gli rilasciarono un Ausweis,
regolare permesso di transito. (12)
Successive operazioni di forti reparti
tedeschi, assieme a truppe italiane,
portarono alla stabilizzazione
dell’Istria (2-10 ottobre 1943), e
l’impiego di altre Grandi Unità tedesche
e forze di controguerriglia portarono il
IX Korpus a ritirarsi, alla fine del
1943, verso le zone dell’interno.
Se la partecipazione del Maggiore
Bardelli ai combattimenti terrestri per
Pola è indicata da fonti indirette
(Arena e Sanvito), il Sottotenente
Paracadutista Bordogna, in una
testimonianza personale, riferisce come
il 17 settembre 1943
Arrivai a Trieste dopo diverse peripezie
sempre in divisa: incontrai a Trieste il
Maggiore del Genio Navale Bardelli colà
inviato dal Comando Xa per recuperare
materiale dell’arsenale di Pola.
Riuscimmo ad armare una nave,
trasferirla a Trieste e con un camion
portare il materiale recuperato a La
Spezia. (13)
Questo viaggio avrebbe portato Bardelli
non più tra le onde del mare, ma tra le
buche e il fango dei combattimenti di
terra.
La sua volontà di servire la Patria, in
un caso o nell’altro, rimase la stessa.
La Decima MAS: dal Maestrale al
Barbarigo
Dopo questo periodo drammatico, Bardelli
raggiunse il 19 settembre 1943 la
caserma del Muggiano con la sua
famiglia, il Sottotenente Paracadutista
Mario Bordogna, tre autocarri ed un
automezzo trasportanti ventisette
marinai e materiale di equipaggiamento
prelevato dall’Arsenale di Pola. (14)
La fama della M.O.V.M. Borghese tra gli
Ufficiali dell’Arma Subacquea italiana,
e l’essere entrambi Sommergibilisti,
furono tra le circostanze che portarono
Bardelli alla Decima MAS nel settembre
1943. Borghese non poteva non avere
fiducia, in un momento così grave, di un
combattente pluridecorato ed esperto
come Bardelli.
Anche Ligetta Bardelli renderà un
prezioso servizio alla Decima MAS,
arruolandosi come volontaria civile
nell’Ufficio Assistenza Decima. Nel
dopoguerra Luigia Maresca Bardelli e
Raffaella Duelli, attiveranno, assieme a
Mario Bordogna, un centro di assistenza
per l’invio di pacchi ai Marò in campo
di prigionia a Taranto.
Nel settembre-ottobre 1943, a causa
dell’enorme afflusso di volontari, la
Decima Flottiglia MAS, pur mantenendo i
suoi reparti navali d’élite, stava
formando quelli che sarebbero diventati
i suoi primi Battaglioni di Fanteria di
Marina, e che portarono in seguito alla
formazione della Divisione F.M. Decima.
Sergio Nesi dà un ritratto vivido della
formazione dei reparti di Fanteria di
Marina della Decima MAS, e del loro
primo organizzatore, nonché Comandante
del primo di questi reparti, il
Maestrale, Umberto Bardelli:
Alla fine di settembre i volontari erano
già alcune centinaia […] Tutti volevano
riprendere la guerra a bordo dei mezzi
d’assalto o dei M.A.S.; richieste
ovviamente inutili per altrettanto
intuibili motivi. Fu quindi giocoforza
pensare di costruire una nuova X
Flottiglia M.A.S., quella di terra, una
Fanteria di Mare di nuovo tipo, ma
sempre nelle caratteristiche dei
Battaglioni “San Marco”, i noti “Fanti
de Mar”. Il problema che nella
Flottiglia gli Ufficiali e i
Sottufficiali fossero tutti della Marina
e molti di essi fossero Sommergibilisti
fu superato dal fatto che la maggior
parte dei volontari proveniva invece
dall’Esercito. A capo di quella
organizzazione da inventare di sana
pianta fu però messo dal Comandante
Borghese un Ufficiale di Marina, per di
più un sommergibilista e per di più
ancora un direttore di macchina. Era il
Maggiore Umberto Bardelli, che, con il
successivo ordinamento militare, divenne
Capitano di Corvetta Fanteria di Marina.
Era un uomo duro, magro, con il volto
scavato e un monocolo perennemente
incastrato nell’orbita sinistra, un
formidabile organizzatore. (15)
Bardelli, proprio perché proveniente dai
Sommergibili, dove i rapporti tra
Ufficiali e subordinati erano, per forza
di cose, dati gli spazi ristretti e le
condizioni di continuo contatto, più
informali che in altre armi e specialità
delle Forze Armate Regie e Repubblicane,
era quindi particolarmente versato nel
conquistare la fiducia dei Marò, in gran
parte studenti e con l’entusiasmo dei
volontari, entusiasmo che sarebbe
svanito, o se non altro ridotto, da
metodi di comando inutilmente
autoritari, poco elastici e spesso
affettanti una superiorità di “casta”
prima che di grado, che erano deleteria
caratteristica della maggior parte degli
Ufficiali del Regio Esercito.
Con questo si spiega anche la
predilezione di Bardelli nel reclutare
Ufficiali delle Truppe Alpine;
l’Ufficiale Alpino, come sinteticamente
spiega il Guardiamarina Paolo Posio,
proveniente proprio dagli Alpini:
Non soltanto combatteva con i suoi
uomini, ma viveva e mangiava con i suoi
Alpini, e aveva la divisa infangata come
loro. (16)
Caratteristiche ideali, quindi, per dei
Comandanti di truppe volontarie, spesso
irrispettose verso gli Ufficiali che non
erano stati in grado di conquistare la
loro fiducia, ma capaci di mostrare una
disciplina irreprensibile e un grande
attaccamento verso i “loro” Ufficiali.
Il Capitano Bardelli fu senza dubbio,
oltre che il primo Comandante, il
creatore e l’anima del Maestrale, il
primo Battaglione Fanteria di Marina a
formarsi della Decima: molti futuri
Ufficiali, Sottufficiali e Marò del
Battaglione furono scelti direttamente
da lui tra i moltissimi volontari,
prescelti e subito sedotti dal carisma e
dalla forza di volontà di questo eroe
sommergibilista che stava adesso
muovendo i primi passi come Ufficiale di
Fanteria di Marina.
Ecco come avvenne il reclutamento nel
Maestrale del Tenente Paolo Posio:
Il Guardiamarina Donini, Ufficiale degli
N.P., mi invitò a recarmi a La Spezia e
ad arruolarmi nei Nuotatori
Paracadutisti.
La mattina successiva mi recai al
Comando Battaglione reclute al quale ero
stato nel frattempo assegnato e
comunicai la mia volontà di trasferirmi
alla Xª Flottiglia M.A.S., di cui fino a
qualche ora prima neppure conoscevo
l'esistenza.
La mia richiesta fu immediatamente
accolta e mi presentai alla Caserma di
S. Bartolomeo per essere arruolato nei
Nuotatori Paracadutisti.
Mi fu rilasciato un modulo e fui avviato
alla visita medica per accertare la
sussistenza delle qualità fisiopsichiche
atte a fare di me un paracadutista.
Sennonché mentre, diretto
all'ambulatorio, percorrevo il vialone
centrale molto affollato, mi sentii
chiamare, con l'espressione "Alpino,
dove stai andando?". Chi pronunciava
queste parole era un Ufficiale Superiore
indossante la divisa grigioverde della
Xª, basco in tesata e “caramella”
incastrata all’occhio sinistro. Salutai
e, in posizione di attenti, spiegai che
ero diretto al luogo della visita medica
per l'arruolamento negli N.P., mostrando
il modulo che mi era stato rilasciato.
Era, come poi appresi, il Comandante
Umberto Bardelli che preso il documento,
lo stracciò e battendomi cordialmente
sulla spalla mi disse: “Niente N.P., tu
farai parte del Battaglione Maestrale”,
unità che egli stava costituendo.
Fui veramente affascinato dal suo modo
di fare fermo e cordiale e nulla opposi
alla sua unilaterale decisione che
segnava il mio destino.
Mi fece piacere trovare uno come
Bardelli, che era un uomo straordinario.
[…] Era un uomo con una personalità
affascinante. Fu quella che mi conquistò
e che mi portò nella Compagnia di
Cencetti… (17)
Tenente M.O.V.M. Alessandro Tognoloni:
All’otto settembre ero Ufficiale di
Complemento di Fanteria appena nominato
e mi trovavo ad Arezzo. […] Accettai di
arruolarmi nella Repubblica Sociale e mi
mandarono a Firenze. Lì, in un albergo,
incontrai Bardelli, che mi colpì subito
per il suo atteggiamento, così deciso e
convinto. Non avevo ancora conosciuto
Ufficiali Comandanti di quel tipo. (18)
Sottocapo Egidio Cateni:
Mi sentii sdegnato dal tradimento
dell’otto settembre. Dopo aver sentito
dire che a La Spezia c’era un reparto
della Marina che era rimasto in armi mi
recai subito là da Genova. Appena
entrato nella caserma un Ufficiale con
la “caramella”, mi vide, mi chiamò, e
dopo avermi velocemente squadrato (io
ero alto e robusto, anche se molto
giovane) mi disse “Tu vieni al
Maestrale!”. Mentre lo seguivo, mi
immaginai subito a bordo di un
cacciatorpediniere, alle mitragliere,
mentre sparavo agli aerei nemici… quando
mi dissero che il Maestrale era invece
un Battaglione di Fanteria, mi caddero
le braccia! (19)
Marò Piero Calamai:
Conoscevo il Comandante Bardelli fino
dai primi giorni del Maestrale. Mi
accolse con interesse perché i veterani
erano indispensabili in un reparto di
reclute. Mi chiamava per nome e quando
passava in rassegna il reparto schierato
si soffermava, mi scrutava con lo
sguardo d’acciaio dietro la leggendaria
“caramella” e poi si raddolciva nella
solita bonaria raccomandazione di farmi
la barba. (20)
Non tutti gli “arruolamenti” di Bardelli
andarono però a buon fine (ma si sa,
l’eccezione conferma la regola…), come
testimonia il Tenente di Vascello Sergio
Nesi, già imbarcato sulla Regia Nave
Montecuccoli:
Conobbi Bardelli solo di sfuggita,
quando mi presentai alla Decima nel
novembre 1943.
Egli mi vide e subito mi propose di
comandare un Reparto di Fanteria di
Marina; ma io, scherzosamente, gli
risposi che ero entrato in Marina perché
“mi facevano male i piedi”.
Al che lui mi gridò qualche insulto e mi
urlò di andarmene ai Mezzi Navali! (21)
Il Capitano Bardelli seppe sempre
comunicare ai giovani Ufficiali e Marò,
con poche, dirette parole, il fine
ultimo del loro impegno, e ad essere la
loro guida con il suo esempio personale,
riuscendo così a elevare lo spirito di
corpo e la tenuta morale dell’intera
unità, che rimarrà salda, alla prova del
fuoco, nonostante il sommario
addestramento.
Sottotenente Mario Cinti:
Alla vigilia della partenza per il
fronte, il Comandante del Barbarigo,
Umberto Bardelli, che per noi era già
una bandiera, riunì tutti gli Ufficiali
a un gran rapporto per dire in sostanza:
“So che il Battaglione non è
perfettamente addestrato, ma questo,
ora, non è molto importante. In questo
momento l’Italia ha bisogno di mille
uomini disposti a morire con eleganza.
Chi non se la sente non è obbligato a
venire”. (22)
Marò Marcello Meleagri:
Come ci disse il Comandante Bardelli:
“Noi siamo venuti a Roma per dimostrare
a nemici ed amici che gli italiani sanno
ancora combattere e morire per il loro
paese”. (23)
Marò Mario Tedeschi:
Tutti quelli con cui ho parlato di lui
hanno messo in rilievo la sua grande
personalità, più forte anche di quella
di Borghese! (24)
Mentre a La Spezia, il 19 febbraio 1944,
davanti al Battaglione schierato,
prendendo la parola dopo il Comandante
Borghese, il Capitano di Corvetta
Bardelli pronunciò una frase che colpì
certamente tutti gli effettivi del
Barbarigo:
Ricordate che da questo momento siete
morti!
Morti per il popolo che non vi vorrà
riconoscere, morti per le ragazze che
non vi guarderanno, morti per i vostri
che non vi riconosceranno! (25)
Nell’aprile 1944, ricordando i Caduti
del suo Battaglione, Bardelli
aggiungerà:
Ma nessuno di voi è morto finché noi non
morremo tutti. E fino a quando sarà in
piedi uno del Barbarigo lo sarete anche
voi. (26)
Colpo di mano in Flottiglia
Nel novembre 1943 il Capitano Umberto
Bardelli accompagnerà il Comandante
Borghese in una delicata missione a
Firenze. Come abbiamo visto, Bardelli
aveva prestato servizio sul Brin,
comandato dal Capitano di Corvetta
Longanesi Cattani, e l’Ufficio di
Reclutamento della Decima MAS di quella
città era diretto proprio da Longanesi
Cattani, valoroso e pluridecorato
sommergibilista atlantico, di sentimenti
filo monarchici, il quale era inoltre
stato assegnato da Borghese come
responsabile della sicurezza delle
Duchesse d’Aosta, residenti in Palazzo
Pitti. I sentimenti filo monarchici di
Longanesi Cattani e la sua appartenenza
alla Decima MAS potevano però mettere in
difficoltà la Flottiglia presso le
autorità della RSI, così, per risolvere
con comune beneficio la situazione, il
Comandante Borghese pose Longanesi
Cattani in licenza illimitata.
Sia le Altezze Reali sia Longanesi
Cattani non ebbero mai problemi dai
tedeschi, neppure quando furono
trasferiti, nel febbraio 1944, dopo lo
sbarco a Nettuno, da Firenze ad una
residenza a Hirschegg, una località tra
l’Austria e la Cecoslovacchia.
Rientrati a La Spezia, il Comandante
Borghese e Bardelli ripresero ad
occuparsi dei problemi legati
all’organizzazione della Flottiglia
l’uno, e della formazione e
dell’addestramento del Maestrale
l’altro.
Il Sottotenente Bordogna, alle
dipendenze del Comandante Bardelli,
collaborerà alla preparazione del
Battaglione, e sarà in seguito
incaricato del comando della sua
Compagnia Comando.
Un’altra situazione delicata, e che avrà
un grande impatto sulla storia della
Decima, si sviluppò il 28 dicembre 1943.
In quel periodo, oltre l’N.P. ed il
Maestrale, si stava ormai costituendo
anche un terzo Battaglione, il Lupo (che
darà poi alta prova di sé nel 1944/1945,
sul Appennino bolognese e sul Senio),
portando così alla formazione di un
Reggimento Fanteria di Marina,
denominato San Marco.
Questo numero considerevole di uomini
armati ed equipaggiati, seppur con
difficoltà, e anche grazie ai continui
sforzi organizzativi di Bardelli, non
sfuggì alle alte gerarchie politiche
della RSI, che pensarono di ottenere
facilmente uomini per le loro future
azioni, e, inserendo nel comando della
Flottiglia Ufficiali a loro fedeli,
poter poi prendere in mano l’intera
unità.
Così furono mandati a San Bartolomeo il
Capitano di Vascello Nicola Bedeschi
(quindi un grado superiore al Capitano
di Fregata Junio Valerio Borghese) e il
Capitano di Fregata Tortora, delegati al
comando del costituendo Reggimento F.M.
San Marco.
Le reazioni dei Marò non tardarono:
I metodi dei due Ufficiali superiori per
organizzare quel Reggimento ricalcarono
i vecchi metodi del Regio Esercito,
cercando di ripristinare superate
usanze, in assoluto contrasto con le
direttive fino ad allora impartite da
Borghese. Tra le fila degli Ufficiali,
Sottufficiali e Marò cominciò ben presto
a diffondersi un vento di ribellione, in
particolare contro Bedeschi. (27)
La situazione non tardò a degenerare
ulteriormente, e, il 9 gennaio 1944,
mentre il comandante Borghese si recava
a Levico, al Comando della Kriegsmarine,
i Capitani Bardelli, Buttazzoni, Del
Giudice e Riccio, assieme al Maggiore
Riccitelli e ai Tenenti Bertozzi e Posio
si riunivano, approfittando dell’assenza
del Comandante, e, per risolvere
risolutamente la situazione, misero in
atto un piano decisamente ardito.
Durante la Messa della domenica, con uno
stratagemma, attirarono Bedeschi e
Tortora in una stanza dell’Ufficio
Comando, e lì Bardelli, assieme agli
altri Ufficiali, gli ingiunsero di
consegnare le armi (!) e di considerarsi
destituiti di ogni ruolo di Comando
all’interno della Flottiglia.
In seguito Tortora e Bedeschi furono
inviati al Reparto Politico della GNR di
Firenze, accompagnati dal Sottotenente
di Vascello Cencetti, mentre Bardelli
comunicava agli Ufficiali del Maestrale,
N.P. e Lupo l’avvenuto, riscontrando
immediatamente una vera esplosione di
entusiasmo!
Poco dopo giungeva al Capo della
Provincia di La Spezia questa
comunicazione, inviatagli dal Capitano
di Corvetta Bardelli (28):
1) Questa mattina 9 corr., rientrato al
Rgt. San Marco, ho dovuto constatare che
la situazione generale si presentava
estremamente tesa a causa del
malcontento maturatosi in seno ai vari
Reparti -ufficiali, sottufficiali e
truppa- nei riguardi del C.te del Rgt.
Cap. di Vascello Bedeschi e del C.te in
2a Cap. di Fregata Tortora.
A quanto mi consta i reparti stessi mal
tolleravano che il Comando fosse
impersonato dagli elementi citati in
quanto in varie occasioni per i sistemi
adottati avevano denunziato una
mentalità e degli orientamenti ormai
superati, ciò nonostante le direttive
impartite in proposito dal C.te Valerio
Borghese, C.te della X Flotmas. Tale
malcontento si è particolarmente
accentuato dopo la secessione del Rgt.
San Marco dalla X Flotmas, secessione
provocata dal C.te Bedeschi. Devo a tale
proposito precisare che la quasi
totalità degli elementi componenti il
Rgt. si è arruolata volontariamente alla
X attratta dal carattere
specificatamente fascista, patriottico
ed entusiastico della organizzazione
creata e voluta dal C.te Borghese.
2) Come sopra esposto la situazione
questa mattina si presentava
particolarmente delicata in quanto la
quasi totalità degli ufficiali esprimeva
apertamente il proposito di passare
immediatamente a vie di fatto qualora da
parte del Comando della X non si fossero
eliminati definitivamente i motivi del
malcontento.
Assente temporaneamente il C.te Borghese
alla Sede per motivi di Servizio, ho
ritenuto necessario ed urgente per
evitare danni più gravi di procedere al
fermo e al relativo allontanamento dalla
Sede dei predetti due ufficiali
facendoli accompagnare da ufficiali del
Rgt. a Firenze.
3) Per quanto sopra esposto mi considero
a disposizione dell’Eccellenza Vostra
per ogni eventuale ordine.
9 gennaio 1944 Umberto Bardelli
Come vediamo Bardelli presenta
l’accaduto in termini coincisi e
rispondenti alla realtà, prendendosi
inoltre l’intera responsabilità delle
decisioni e degli atti che portarono
all’arresto dei due Ufficiali.
Il giorno successivo il Comandante
Borghese sarà ricevuto dal
Sottosegretario Ferrini, e, non
facendosi certo intimidire dalle minacce
dell’alto funzionario, ribadirà che pur
disapprovando l’operato non ortodosso
dei propri subordinati, la
responsabilità dell’accaduto fosse di
Ferrini stesso.
Nel frattempo le voci dell’avvenimento
giunsero anche a Mussolini, causando
altre conseguenze politiche, culminate
con l’arresto del Comandante Borghese il
13 gennaio 1944.
Mentre Borghese era interrogato sulla
sua attività dal settembre 1943 in poi,
Ferrini mandava un ultimo, diffamatorio
telegramma al Comando Generale della GNR
dove si paventava che il:
“maggiore g.n. BARDELLI […] habet più
volte dichiarato che in caso avessero
cercato ostacolare sua opera si sarebbe
dato alla macchia con i suoi uomini […]
Est naturalmente necessario che tali
reparti prima di trasferirsi al Nord
siano naturalmente epurati di tutti gli
elementi irresponsabili che hanno
partecipato […] nel grave reato di
insubordinazione e rivolta”. (29)
Nel frattempo, il 14 gennaio 1944, il
Capitano di Corvetta della Fanteria di
Marina Umberto Bardelli prestava
giuramento per la Repubblica Sociale
Italiana presso il Comando della Decima
MAS.
Nonostante le pressioni politiche e
l’ostilità di parte dei Comandi della
Marina Nazionale Repubblicana, il
Comandante Borghese fu presto
scarcerato, anche grazie all’appoggio
del Comandante di Vascello M.O.V.M. Enzo
Grossi, che si esporrà personalmente
davanti al Duce, e alla grande
considerazione che aveva la M.O.V.M.
Borghese presso alcune autorità
tedesche, il Grossadmiral Karl Dönitz in
particolare.
Il Sottosegretario Ferrini fu quindi
sostituito da Sottosegretario alla
Marina, mentre:
“Il Battaglione nel quale si
verificarono i noti episodi, per accordi
intervenuti tra Graziani e Kesselring,
verrà inviato subito al fronte di
Nettuno, a insistente richiesta degli
stessi suoi componenti. Non c’è alcun
dubbio che si farà onore; è formato da
un complesso di magnifici ufficiali e
soldati”. (30)
Il Battaglione designato dal Comandante
Borghese sarà il Maestrale, perché l’N.P.
avrebbe dovuto operare principalmente
dietro le linee nemiche.
Dopo questa decisione si doveva
scegliere a chi spettasse il comando del
Battaglione da inviare in linea: la
scelta del Comandante Borghese cadde su
Bardelli.
Ciò fece infuriare il Capitano
Buttazzoni, abile Comandante dei
Nuotatori Paracadutisti, che avrebbe
voluto questo privilegio per lui in
prima istanza, e, secondariamente, per
il suo Battaglione N.P., che peraltro
cederà un fondamentale complemento di
uomini al Maestrale-Barbarigo.
Il Guardiamarina Posio, a mo’ di
consolazione, darà una ironica -ma
logica- spiegazione della scelta del
Comandante Borghese all’inviperito
Buttazzoni, ricordandogli che Bardelli
aveva un’anzianità di servizio maggiore
della sua! (31)
Per poter accelerare l’addestramento dei
Marò si distaccarono a Cuneo due
Compagnie, e lì si verificò un fatto che
avrebbe avuto una grande importanza in
un triste momento futuro. Tre Ufficiali
e un Marò furono catturati da un gruppo
di partigiani del capo partigiano “Mauri”.
Bardelli tentò di aprire un canale di
trattativa con quest’ultimo, volendo
evitare lo scontro tra italiani, come
più volte da lui espresso ai suo
colleghi:
Bardelli diceva sempre, anzi predicava:
“non facciamoci la guerra tra noi, noi
combattiamo contro gli americani e loro
combattono contro i tedeschi e basta”.
(32)
Il tentativo, portato a termine dalla
coraggiosa Fede Arnaud, poi responsabile
Comandante del SAF Xª, che si recò da
sola a parlamentare con i partigiani,
andò a buon fine, e dopo qualche tempo
gli Ufficiali e il Marò furono liberati.
La felice conclusione di questa vicenda
portò probabilmente Bardelli a pensare
che si potesse sempre arrivare, con il
dialogo e il rispetto della parola data,
ad un accomodamento con i partigiani.
Purtroppo, ad Ozegna, la generosità
d’animo di Umberto Bardelli lo tradì.
Dopo il ritorno delle due Compagnie a La
Spezia l’addestramento fu per forza di
cose affrettato ed incompleto: poiché
non si potevano fare le esercitazioni di
tiro in un apposito poligono, i Marò si
addestravano con i MAB sparando in mare.
Era anche impossibile fare, tra le altre
cose, quell’addestramento al movimento
tattico sul terreno per Plotoni e
Compagnie, e alla cooperazione fanteria
- armi d’appoggio essenziale nella
guerra moderna.
Nonostante tutto il Battaglione,
rinominato Barbarigo in onore
all’omonimo sommergibile atlantico del
Comandante Grossi, che manderà un
telegramma di felicitazioni, partì per
Anzio/Nettuno il 20 febbraio 1944,
acclamato dalla popolazione spezzina.
Marinai in buca: il Barbarigo a Nettuno
Il Battaglione, guidato dal Capitano di
Corvetta F.M. Bardelli, si diresse per
Roma a bordo di una moltitudine di
variopinti e ben poco marziali torpedoni
civili requisiti dai tedeschi; durante
una sosta a Siena numerosi Allievi
Ufficiali della GNR si aggregarono al
Barbarigo come semplici Marò, per poter
combattere subito contro gli Alleati.
Raggiunta Roma il Barbarigo partecipò ad
una sfilata, principalmente per ragioni
di propaganda, e se i Marò erano ansiosi
di poter entrare in combattimento,
Bardelli sfruttò questa occasione,
grazie al Capitano dei Granatieri di
Sardegna Marchesi, per migliorare
l’equipaggiamento del Battaglione,
prelevando materiali ed armi dalla
Caserma Ferdinando di Savoia.
Finalmente, la sera del 3 marzo, il
Battaglione, trasportato su camionette
tedesche, entrava in linea a Nettuno.
La prima esigenza per il Capitano
Bardelli fu quella di prendere contatto
con l’Ufficiale tedesco responsabile del
settore dove si sarebbe schierato il
Barbarigo.
L’Ufficiale in questione era l’Oberst
von Schellerer, veterano della prima
guerra mondiale e decorato della Croce
di Ferro di 1a Classe 1914 e riconferma
del 1939, Comandante del 735.
Infanterie-Regiment della 715.
Infanterie-Division.
La 715. Infanterie-Division era nata
come una Divisione di Fanteria statica
con compiti di presidio, ma sarà inviata
in emergenza a Nettuno dopo lo sbarco
Alleato. Molte delle sue armi erano di
preda bellica, e il suo Reggimento di
Artiglieria poteva contare su di un solo
Gruppo di Obici da 10.5 cm e di un
Gruppo di cannoni campali di preda
bellica russi da 7.62 cm.
Inoltre la Divisione aveva subito molte
perdite nelle settimane precedenti, e i
sopravvissuti erano alquanto logorati
dai continui combattimenti.
Proprio per quest’ultimo fatto, e forse
anche per una certa sfiducia nella
qualità delle truppe italiane, von
Schellerer chiese a Bardelli,
accompagnato dal Comandante in seconda
Vallauri e dall’Aiutante Maggiore
Rattazzi, che, sapendo il tedesco,
fungeva da interprete, di poter
assegnare i Marò alle sue decimate
Compagnie, suddividendoli in Squadre e
perciò smembrando così il Battaglione.
Seguì un’accesa discussione, con
Bardelli che, non accondiscendendo a
questa richiesta, rimarcava che il
Battaglione, seppur dipendendo
tatticamente da una unità tedesca,
avrebbe dovuto combattere unito.
L’energia ma anche l’abilità diplomatica
di Bardelli riuscirono nell’intento, e
le Compagnie del Battaglione si
disposero in linea rilevando altre unità
tedesche. Nei giorni seguenti i Marò
poterono inoltre istruirsi all’uso delle
armi tedesche, in particolare
controcarro, come i lanciagranate
Panzerfaust.
Mentre il Barbarigo aveva i suoi primi
caduti, partecipando ad azioni di
pattuglia ed a combattimenti difensivi,
in un fronte caratterizzato da
condizioni che ricordavano la guerra di
posizione del primo conflitto mondiale,
Bardelli, conferendo con il Generale
Comandante della 715.
Infanterie-Division Hildenbrand, si rese
conto della necessità di dotare il
Battaglione di un proprio supporto
d’artiglieria.
Il Capitano Bardelli sfrutterà il fatto
che molti degli effettivi del Barbarigo
erano stati artiglieri per selezionare i
quadri del futuro reparto d’artiglieria,
e con l’ennesimo mirabile sforzo
organizzativo e di improvvisazione,
grazie anche al Tenente di Vascello
Mario Carnevale, Comandante del San
Giorgio, si riuscirà a creare il Gruppo
di Artiglieria San Giorgio, con pezzi da
105 mm. Successivamente sarà creata
anche la 5a Compagnia Cannoni, con tre
pezzi da 65 mm.
Il Barbarigo ed il San Giorgio, formanti
il Gruppo di Combattimento Barbarigo,
diedero il loro contributo ai
combattimenti sulla testa di ponte, al
comando operativo del Tenente di
Vascello Vallauri.
Infatti Bardelli, grande organizzatore e
abile Direttore di Macchina, aveva
razionalmente stimato di non avere
l’esperienza necessaria per guidare
tatticamente un’unità di Fanteria sul
campo, e aveva delegato, poco dopo
l’arrivo al fronte, il comando operativo
del Battaglione a Vallauri, proveniente
dal REI e quindi maggiormente versato
nei combattimenti terrestri.
L’opera del Comandante Bardelli
risultava comunque essenziale nei
rapporti con i tedeschi, che lo
apprezzavano e rimanevano impressionati
dalla sua franchezza e decisione, e
verso i Marò del Battaglione, che erano
allo stesso modo entusiasmati dal
carisma di Bardelli, come è evidente dal
seguente resoconto del Marò Luciano Luci
Chiarissi:
Il giorno 8 mattina venne a far visita
alle nostre postazioni il Comandante
Bardelli con un Tenente Colonnello
germanico. Gli chiesi come mai dovessi
andarmene, mentre egli mi aveva promesso
sin dal primo giorno che non mi avrebbe
mai lasciato [Chiarissi proveniva dalla
GNR, ed era stato richiamato, NdA]. Si
volse all’Ufficiale germanico e disse:
“Come italiano che cosa debbo dire a
questi ragazzi?”. Poi si rivolse a me
ponendomi rudemente la mano sulla
spalla: “Tu sei uno dei più bravi
ragazzi che io abbia conosciuto.
Cercherò di accontentarti”. Erano le
prime ore del mattino, e nel nostro
settore faceva abbastanza fresco, forse
anche per l’umidità provocata dalle
paludi. Sentii qualcosa che mi serrava
la gola e poi un brivido lungo tutto il
corpo, ma non era il freddo: ero felice.
(33)
Questa era l’umanità ed il carisma di
Bardelli, e la considerazione che i suoi
Marò avevano per lui.
L’inesperienza di Bardelli sul “fronte
terrestre”, ma anche il suo orgoglioso
sprezzo del pericolo, estremizzato
proprio per far comprendere ai tedeschi
le qualità combattive sue e dei suoi
uomini sono rivelati dal seguente
ricordo del Marò A.U. Franco Olivotti:
Bardelli stava partecipando ad uno dei
primi rapporti sulla situazione con
alcuni Ufficiali tedeschi, quando si
sentì il sibilo di una salva
d’artiglieria in arrivo; Bardelli, con
l’orecchio non allenato, non capì che i
colpi sarebbero finiti lontano, e si
gettò a terra. Ovviamente gli Ufficiali
tedeschi rimasero in piedi, e mentre i
colpi esplodevano senza far danno in
lontananza, rivolsero degli sguardi di
commiserazione al nostro Comandante.
Capito l’errore e rimessosi rapidamente
in piedi e rassettatasi nervosamente la
divisa, Bardelli riprese a conferire con
i tedeschi.
Poco dopo si udirono nuovamente dei
colpi in arrivo, ma stavolta era
evidente che la salva sarebbe caduta
proprio nell’area dove stava tenendosi
il rapporto: Bardelli se ne avvide
vedendo la reazione dei tedeschi, e
mentre essi si gettavano a terra, egli,
con grande freddezza, rimase in piedi
tra le schegge che riempirono l’aria
dopo le detonazioni, davvero molto
vicine, dei proiettili Alleati. I
tedeschi, increduli testimoni della
temerarietà di Bardelli, rimasero molto
colpiti dalla sua risolutezza. (34)
Dopo qualche tempo il Barbarigo creò
anche il proprio “giornale di guerra”,
costituito da un solo foglio: il “Barbarigo”.
Una copia, fresca di stampa, del primo
numero fu donata al Comandante Borghese,
in occasione della sua visita al
Battaglione il 7-8 aprile 1944.
Il Comandante Bardelli scriveva le
seguenti righe sul primo numero del
“Barbarigo” del 1° aprile 1944:
Sulle linee della I . Compagnia è
rimasta una croce su un mucchio di rossa
terra italiana. Sono i due morti che non
si sono potuti portare indietro, quelli
presi da una granata nella buca e che
sono rimasti sulla linea a fare buona
guardia. E’ la prima Compagnia, quella
che per noi si chiamerà sempre “DECIMA”,
che ha più generosamente delle altre
lasciato un solco di sangue fecondo.
Guardiamarina Sebastiani, tu che hai
preso il comando della prima squadra,
hai assunto sorridendo con i tuoi
vent’anni ed i ragazzi che ti hanno
visto arrivare ti hanno accolto con il
loro più caro volto.
Questa volta non ti chiedono né scarpe
né rancio caldo. Ti hanno fatto vedere
la loro “LINEA” e ti hanno detto che non
è dura la consegna: “Siamo tutti qui per
i vivi perché il nostro giovane e puro
sangue non sia dimenticato e dia frutto
perché i compagni che combattono sanno
che senza di noi ogni parola e ogni
promessa non sono che una vuota
retorica”.
E Frezza ti parlerà della sua batteria e
di come era dolce la musica di quei
primi quattro cannoni ITALIANI […]
E Spagna ti dirà che è stato il
primissimo, colpito in mezzo alla
fronte, solo come il primo doveva
cadere.
Ma nessuno di Voi è morto finché noi non
moriamo tutti. E fino a quando vi sarà
in piedi uno del Barbarigo, lo sarete
anche voi. […]
Sia questa anche la nostra Pasqua e con
la veniente Primavera, risorga l’Italia
a combattere per il suo avvenire.
Voi siete la nostra certezza che tutto
questo avverrà e che non siete caduti
invano.
Il Comandante
Sul secondo numero del giornale “Barbarigo”,
Bardelli scrisse il seguente articolo,
ricordando la visita del Comandante
Borghese sul fronte a Nettuno:
E’ arrivato puntuale in linea anche la
Pasqua, così puntuale da augurarsi che
il camioncino del rancio impari da Lei.
Molti fiori di pesco, tante nuvole
bianche, le solite cannonate di ogni
giorno e i soliti aerei pazzerelloni che
invece che gettare uova smitragliavano
come al solito gli ignari e incauti
passanti.
L’aria di Pasqua ce l’hanno data il
rancio e le sigarette, entrambi di
insolita bontà, quantità e consistenza.
E così anche quelli delle buche e delle
batterie hanno per un giorno brontolato
un po’ meno del solito contro quei
fetenti imboscati del magazzino.
A rendere il giorno più lieto è arrivato
in linea il Comandante Borghese.
Ha lasciato il suo duro lavoro alla X,
ha lasciato per due giorni quelli dei
mezzi d’assalto, i battaglioni in
formazione, tutto quell’enorme lavoro,
che ognuno di noi e solo noi sappiamo
quanto sia duro e necessario, ed è
venuto tra i suoi ragazzi del Barbarigo.
Tutti lo hanno visto e tutti hanno
sentito la sua parola, tutti si sono
sentiti migliori perché il Comandante
era vicino ai loro cuori e ai loro
sentimenti, perché è sceso nelle buche
della II e della IV, perché ogni
artigliere la ha visto vicino al proprio
cannone.
E le sue parole sono state di elogio per
quello che si è fatto, di augurio e
soprattutto di fede. Ero sempre dietro
al Comandante quando vi parlava e vi
guardavo perché nelle vostre facce, che
nei quaranta giorni di linea hanno preso
rilievo e forza, leggevo i miei stessi
sentimenti e tutta la nostra volontà di
continuare sino alla fine.
Accanto al Comandante Borghese ci siamo
tutti raccolti in una vera comunione
spirituale e mai il Barbarigo è stato
più compatto e più serrato nei ranghi di
quei due giorni della sua visita.
Parlandomi, prima di partire, mi ha
detto che è soddisfatto di voi tutti e
soprattutto dei giovanissimi, dei
marinai che con tanto animo superano le
difficoltà di una guerra nuova per loro,
dei vecchi soldati di Grecia, Africa e
Russia che sono tornati a quella dura
guerra che già conoscevano.
Ecco perché ho voluto che della sua
visita rimanesse qualcosa nel nostro
giornale.
Con l’arrivo del Comandante si è anche
chiuso quel primo periodo di
assestamento e di ritrovamento per tutti
noi.
Non sappiamo ancora che cosa ci aspetti
nei giorni che verranno e, benché Radio
Buca si affanni a fare pronostici,
nessuno può dire fino a quando… Ma oggi
possiamo guardare indietro e misurare
tutto il cammino fatto, il duro lungo
cammino per arrivare sin qui. Si è fatto
veramente più dell’impossibile, si sono
superate difficoltà di ogni genere, ci
siamo liberati da tanti impedimenti e da
molta incomprensione.
E ora possiamo guardare all’avvenire con
assoluta fiducia in noi stessi, nel
nostro Comandante, nella nostra causa.
Chi non dispera non perde.
Il Comandante
Un’altra visita significativa per il
reparto fu quella del Colonnello Carallo,
futuro comandante della Divisione
Decima:
Il Colonnello Carallo venne a passarci
in rassegna (Il Comandante Borghese era
venuto addirittura sull’argine
maledetto). Faceva gli onori di casa il
Capitano di Corvetta sommergibilista
Umberto Bardelli, carismatico Comandante
del Barbarigo, anche lui un po’
polveroso, ma l’immancabile “caramella”
incollata all’occhio sinistro. L’ottimo
Colonnello era un Bersagliere,
combattente e decorato e, dopo l’infamia
dell’otto settembre, era la prima volta
che si trovava di nuovo davanti ad una
Compagnia in grigioverde, lacera e
marziale, armata e inquadrata, nelle
immediate retrovie del fronte. Mentre
parlava si commosse veramente, un
singulto gli serrò la gola ed alcune
lacrime gli scorsero sul viso. A tale
vista il Comandante Bardelli si
meravigliò, tanto da spalancare gli
occhi e provocare così l’immancabile
caduta della leggendaria “caramella”.
Tuttavia, abile marinaio, parò la mano
all’altezza del cinturone e raccolse al
volo la lente. L’acrobatica prodezza non
sfuggì alla nostra attenzione e si udì
un mormorio ironico. Il povero
Colonnello Carallo credette che
ridessimo di lui e non ce la perdonò
più. (35)
Il 27 aprile 1944 il Capitano di
Corvetta Bardelli cedette il comando del
Battaglione al Tenente di Vascello
Giuseppe Vallauri, dovendo comandare il
1° Reggimento F.M. San Marco, formato
dal Barbarigo, dal Lupo e dal NP.
Il Capitano Bardelli, tuttavia, visitò
altre volte il Battaglione, e sarà
presente a Roma, mentre era in corso il
ripiegamento del Barbarigo dalla testa
di ponte, quando la 10. Armee da
Montecassino e la 14. Armee da
Anzio/Nettuno furono costrette alla
ritirata sotto la massiccia offensiva
Alleata di fine maggio 1944.
Bardelli si adopererà per reintegrare la
dotazione in armi dei superstiti del
Barbarigo giunti a Roma, ottenendo dai
Comandi tedeschi armi ed
equipaggiamenti, mentre, opponendosi
all’ordine tedesco di riportare in linea
l’esausto Battaglione, lo salverà dal
totale annientamento.
In quegli ultimi giorni a Roma, Bardelli,
dopo un lungo, polemico ed aspro
colloquio notturno con il Conte Thun,
l’Ufficiale di collegamento tedesco,
ottenne il riconoscimento scritto da
parte del Comando tedesco del ruolo del
Barbarigo nei combattimenti ad
Anzio/Nettuno, come riporta il
Guardiamarina Posio:
Ebbi occasione di essere a fianco del
Comandante Bardelli allorché si incontrò
col Conte Thun, Ufficiale credo, del
servizio di Controspionaggio germanico e
certamente molto vicino al Generale
Mältzer.
Ricordo tale circostanza perché mi
consenti di apprezzare il modo
appassionato e dignitoso con il quale
egli, di fronte a qualche non del tutto
amichevole espressione
dell'interlocutore, rivendicò il
positivo apporto dato dal Barbarigo alla
difesa di Roma nonostante le gravi
deficienze addestrative e di armamento
di gran parte dei suoi componenti ed
esaltò lo spirito di sacrificio, il
coraggio e la fedeltà all'alleanza
dimostrata dai Maró in ogni momento
della loro non breve permanenza sul
fronte di Nettuno.
Il risultato di quel lungo e duro
colloquio svoltosi nella notte di uno
dei primissimi giorni del giugno 1944 fu
l'elogio agli uomini del Barbarigo
espresso dal Comando tedesco in un
comunicato a firma, mi sembra, del
Generale Mältzer, pubblicato sulla
stampa dell'epoca e, credo, facilmente
rintracciabile. (36)
Peraltro Bardelli, oltre che
diplomatico, sapeva mettere bene in
chiaro, se necessario, quando non si
dovessero accettare prepotenze
dall’alleato tedesco, come riporta il
Marò Piero Calamai:
Un altro incidente avvenne durante la
ritirata di Nettuno, quando alcuni
sbandati del Barbarigo furono disarmati
perché si rifiutarono di fermarsi a
combattere ad un posto di blocco.
Avevano torto, perché in ritirata è
norma costituire Compagnie di formazione
e organizzare punti di resistenza per
rallentare lo sganciamento. Ma il
Comandante Bardelli, di fronte ai laceri
resti del Battaglione schierati nel
cortile del Distaccamento Marina di
piazza Adua, con al fianco, impalato e
pallidissimo, l’Ufficiale di
Collegamento tedesco, ordinò con voce
stentorea di sparare, e nella faccia, a
chiunque, italiano o tedesco avesse
ancora tentato di disarmarci. (37)
Bardelli, nella notte tra l’uno e il 2
giugno, si portò con Vallauri al Posto
di Comando della 4.
Fallschirmjäger-Division, per concordare
un ulteriore impiego del Barbarigo nella
difesa di Roma.
Il pomeriggio del 3 giugno Bardelli
avvertì le Volontarie del SAF Xª, tra le
quali vi era l’Ausiliaria Scelta
Raffaella Duelli, di prepararsi a
lasciare la Capitale:
Bardelli venne in caserma e mi disse:
“Vai a casa ad avvisare che parti;
prendi poche cose e vieni su con noi,
perché nessuno di noi rimane più qui”.
Ricordo perfettamente che, mentre stavo
uscendo, lui era seduto con altri sui
gradini nel cortile del Distaccamento e
mi chiamò a voce altissima:
“Raffaella!”. Qualcuno gli aveva dato il
nome, evidentemente. Mi voltai e lui mi
disse: “Togliti la giacca ed il basco”.
Io francamente lì per lì non capii; a
Roma non ci aveva mai dato fastidio
nessuno […] Però probabilmente il
Comandante Bardelli aveva pensato che se
fossi andata in giro quella sera, in
divisa, avrebbe potuto essere
pericoloso. Mi fece telefonare ai miei,
loro mi aspettarono. Bardelli aveva il
volto teso, grigio, per il duro compito
di organizzare il ripiegamento del
Battaglione da Roma. (38)
Lo stesso giorno il Comando tedesco
chiese una Compagnia da schierare sulla
Appia, così fu costituita dai resti del
Battaglione una Compagnia di formazione
al comando del Tenente di Vascello
Betti. Il Comandante Bardelli era
presente al momento della partenza della
Compagnia, incoraggiando gli uomini e in
particolare l’Aiutante Maggiore Cencetti.
Quindi, dopo aver predisposto la
partenza dei sopravvissuti, e conscio
che sia lui che i suoi uomini avevano
fatto tutto il possibile per difendere
la Capitale, Bardelli ripartì per La
Spezia il 4 giugno 1944, seguito dai
pochi automezzi necessari per riportare
i Marò, diventati a caro prezzo
veterani, verso nord.
Undici morti ad Ozegna
Giunto a La Spezia, il Barbarigo si
diresse quindi nella zona di Viverone,
vicino Ivrea, per ricostituirsi e
riorganizzarsi, e Bardelli dovette
riprendere il suo impegno
nell’organizzazione del Reggimento F.M.
San Marco.
Tuttavia, lo sforzo di reclutamento
fatto da Bardelli nei confronti del suo
primo Battaglione, continuò anche dopo
il ritorno del Barbarigo dal Fronte di
Nettuno; infatti il Tenente Giorgio
Farotti ricorda così una visita del
Capitano Bardelli alla Scuola Ufficiali
di Alessandria:
Bardelli era venuto a ricordarci che
alla fine del corso avremmo potuto
chiedere di essere assegnati a quel
Reparto di Fanteria di Marina, erede
della Xª Mas delle epiche gesta di
Alessandria, Malta, Suda e Gibilterra, e
che aveva già dato un’ottima prova
combattendo sul fronte di Nettuno contro
gli angloamericani, vale a dire il
Battaglione Barbarigo, da lui comandato,
il primo Reparto organico della R.S.I.
ad essere inviato al fronte dopo
l’ignobile 8 settembre 1943.
Vestiva il Samurai, e non sprecò molte
parole. Disse: “Io ho bisogno di dieci
Ufficiali per i miei reparti. Vi posso
offrire soltanto la possibilità di
crepare per l’Italia”, e ci conquistò.
(39)
L’otto luglio 1944 Bardelli si recherà a
Viverone per visitare i Marò del
Barbarigo, i veterani del Battaglione ed
i rimpiazzi che non lo conoscevano
ancora.
Ad essi mostrò il Distintivo del
Battaglione Barbarigo, con il cartiglio
“Fronte di Nettuno”, destinato ai reduci
dei combattimenti sulla testa di ponte,
si intrattenne con i Marò e con gli
Ufficiali, quindi, assieme ad una
scorta, ripartì per Agliè, dove era
dislocato il Battaglione Sagittario.
Lungo la strada Bardelli ricevette la
notizia che un Guardiamarina del
Sagittario, tale Gaetano Oneto, assieme
da alcuni disertori, era fuggito
portandosi dietro la cassa del
Battaglione. Bardelli darà ordine ad
alcuni Marò del Sagittario di seguirlo,
per poter riconoscere Oneto, e si
lancerà sulle tracce del fuggitivo,
segnalato ad Ozegna.
Dopo alcuni chilometri la piccola
colonna, composta dalla 1100 scoperta di
Bardelli e due automezzi con i Marò del
Barbarigo e del Sagittario arrivò alla
Stazione di Ozegna; lì stazionava parte
di un reparto partigiano capitanato da
Piero Urati, nome di battaglia “Piero
Piero”, poiché anche egli, avvertito da
una staffetta della diserzione di Oneto,
si era mosso celermente verso Ozegna,
dando ordine alla sua banda di seguirlo
e catturando i disertori.
Bardelli, fedele al suo pensiero di
evitare lo scontro fratricida, e
probabilmente confortato dalle
precedenti esperienze di dialogo tra
Reparti e Comandi della Decima e gruppi
di partigiani, sia nel Nord Italia sia a
Nettuno e alla Base Sud di Fiumicino,
ordinò ai suoi Marò di non intraprendere
alcuna azione offensiva.
Quindi Bardelli andò a parlamentare con
il capo dei partigiani:
Senza rendersi conto dell’individuo con
cui aveva a che fare, Bardelli disse a
“Piero Piero” che il Barbarigo era nella
zona soltanto per riorganizzarsi e
tornare al fronte, contro gli
angloamericani. Che i partigiani
stessero tranquilli, e ci lasciassero
passare, perché dovevamo andare a
prendere un disertore, cioè un individuo
che nemmeno a loro poteva piacere; lui,
Bardelli, non aveva alcuna intenzione di
far fuoco su altri italiani. (40)
Urati prestò orecchio alle parole di
Bardelli, ma solo per permettere ad
altri suoi uomini di circondare il
reparto di Marò: quando ritenne arrivato
il momento più opportuno “Piero Piero”
si allontanò da Bardelli, e puntatagli
un’arma addosso, gli intimò di
arrendersi.
Bardelli, sorpreso, si riprese
immediatamente, e, gridando ai suoi Marò
“Barbarigo non si arrende! Fuoco!”,
raccolse la sua Walther P 38, sparando
verso Urati che si era posto al riparo,
mentre i partigiani aprivano il fuoco da
più direzioni, ferendo e poi uccidendo
Bardelli e colpendo molti dei Marò,
colti allo scoperto.
Secondo Urati invece egli stesso fu
costretto a strappare l’arma dalle mani
di Bardelli e a colpirlo, dando inizio
allo scontro, dopo che i Marò si erano
resi conto di essere stati circondati.
(41)
Solo pochi di essi, riusciti a
ripararsi, colpirono mortalmente tre
uomini della banda di “Piero Piero” con
il loro fuoco di reazione, ma, esaurite
in breve tempo le poche munizioni che
avevano con loro, non ebbero altra
scelta che arrendersi. Dopo alcuni
giorni di prigionia nei rifugi della
banda di Urati, saranno liberati grazie
ad uno scambio di prigionieri tra i
partigiani e la Decima.
Oltre a Bardelli, saranno uccisi ad
Ozegna il T.V. Piccolo, il S.T.V.
Beccocci, il Capo di 3a Credentino, il
Sergente Grosso, e i Marò Biaghetti, De
Bernardinis, Fiaschi, Gianolli, Masi e
Rapetti.
Dopo che i partigiani si furono
allontanati con i loro prigionieri, i
corpi di Bardelli e del Sergente Grosso
furono trasportati da alcune Suore in un
Istituto Religioso. Alcuni abitanti di
Ozegna e dei partigiani probabilmente
non appartenenti alla banda di Urati
depredarono i caduti (42), che furono
trovati il giorno successivo da un
Reparto di Marò comandato dal Comandante
Borghese ed il Sottotenente di Vascello
Bertozzi; alla vista dei cadaveri,
ritrovati spogliati degli
indumenti e dei valori personali,
strappati gli anelli dalle dita e i
denti d’oro dalle bocche piene di terra
e di erba in segno di sfregio, (43)
Bertozzi minacciò di compiere una
rappresaglia contro la popolazione di
Ozegna, ma Borghese, sia per il suo
intimo sentire, sia perché senza dubbio
conscio dell’idealismo di Bardelli, che
mai avrebbe voluto un tale crudele atto,
seppur tanto comune nella
controguerriglia, riuscì a calmare
Bertozzi.
Inoltre un tale atto poteva esporre i
Marò fatti prigionieri da Urati ad una
controrappresaglia da parte dei
partigiani.
Buona parte della popolazione di Ozegna
si rese conto della gravità dell’azione
di “Piero Piero”, e ancora oggi
considera con gratitudine il non essere
stata coinvolta in una rappresaglia che
avrebbe portato molti lutti tra quelle
genti incolpevoli.
D’altra parte, l’uccisione di Bardelli
significava che ormai le possibilità
della Decima di parlamentare con i
partigiani si riducevano molto, anche se
non si esaurirono mai del tutto. Il
responsabile indiretto della strage di
Ozegna, Gaetano Oneto, consegnato alla
Decima dai partigiani della banda “De
Franchi”, sarà fucilato il 4 settembre
1944.
Le salme di Bardelli e dei suoi uomini
saranno portate a Ivrea, dove il 10
luglio 1944 furono celebrate le loro
esequie. Parteciparono alla cerimonia la
Vedova Luigia Bardelli, il Comandante
Borghese, il Tenente Colonnello Carallo,
Comandante della Divisione Decima, i
Marò della Decima e moltissimi civili.
Il funerale di Bardelli, e i forti
sentimenti che legavano i Marò al loro
Comandante, ucciso a tradimento, sono
ben esposti in questa dura lettera di un
Marò del Barbarigo al proprio padre:
Il Comandante del glorioso Barbarigo,
due Ufficiali e otto Marinai sono caduti
in una vile imboscata mentre compivano
una umana missione. Oggi ci sono stati i
funerali. Credi caro papà che sono
ancora commosso mentre ti scrivo;
reparti armati numerosi scortavano le
gloriose bare, la fanfara accompagnava
con l'Inno di Mameli e con marce funebri
il mesto corteo. Giunti al Cimitero il
Principe Borghese, l'Asso degli
Assaltatori, con la sua voce maschia ha
fatto l'appello ai Caduti. Questo
momento é stato per me e per tutti i
miei camerati un momento solenne, con i
pugnali sguainati mentre il rullo dei
tamburi si faceva sentire tutti hanno
risposto ad una sola voce: “Presente”!
Ho visto molti Ufficiali e ragazzi con
le lacrime agli occhi. Credi papà che un
fremito di vendetta ha percorso tutti i
nostri animi. I Leoni del Barbarigo e
quelli della Decima vendicheranno i
gloriosi Caduti e la rappresaglia sarà
presto iniziata contro questi porci e
bastardi di rinnegati. Questo é il
peggio della linea e noi siamo
considerati combattenti e faremo il
nostro dovere. Sono sempre all'erta e
non aver paura che me la cavo sempre.
Come vedi la lotta comincia a essere
dura, ma la nostra azione e il nostro
desiderio è di raggiungere la meta a
qualunque costo. Comandante Bardelli!
“Presente!” Sarai vendicato! W l’Italia!
(44)
Il 28 luglio 1944 fu conferito, postumo,
al Capitano di Corvetta F.M. Umberto
Bardelli il Distintivo del Barbarigo
“Fronte di Nettuno”, numerato “3”.
Sempre postuma fu conferita al
Comandante Bardelli la Medaglia d’Oro al
Valor Militare, con la seguente
motivazione, che in effetti ricostruisce
in sintesi la carriera e la tragica fine
del coraggioso Ufficiale:
“Ufficiale superiore di belle qualità e
di provata esperienza, sorretto da uno
slancio e da una fede senza limiti, tre
volte decorato al valore; primo
comandante del Barbarigo, che per sua
travolgente iniziativa per primo si
allineò con gli alleati germanici sulla
testa di ponte di Nettuno, si recava
volontariamente e coscientemente con le
esigue forze in una zona notoriamente
infestata da bande ribelli.
Giunto nella piazzetta del paese di
Ozegna cercò di esercitare opera di
persuasione sugli sbandati deprecando la
lotta fratricida voluta e sovvenzionata
dall’oro dei nemici della Patria.
Circondato a tradimento insieme ai suoi
pochi uomini da forze preponderanti che
gli intimavano la resa rispondeva con un
netto rifiuto e fatto segno a
violentissimo fuoco di armi automatiche
postate agli sbocchi delle vie di
accesso alla piazza si batteva con
leonino furore incitando continuamente i
pochi uomini di cui disponeva. Colpito
una prima volta al braccio continuava a
sparare con una mano sola, colpito una
seconda volta ad una gamba continuava a
far fuoco sino all’esaurimento delle
munizioni. Nuovamente colpito cadeva
falciato da una raffica al petto con il
nome d’Italia sulle labbra.
Fulgido esempio di eroismo, di altissimo
senso dell’onore, di attaccamento al
dovere e di dedizione completa alla
Patria adorata”
Ozegna, 8 luglio 1944.
Il 10 settembre 1944 arrivava anche un
alto riconoscimento al “suo”
Battaglione: il Gagliardetto del Gruppo
di Combattimento Barbarigo (comprendente
Barbarigo e San Giorgio) era infatti
decorato della Medaglia di Bronzo al
Valor Militare:
“Armato essenzialmente di fede e di
coraggio, chiedeva di essere inviato al
fronte di Nettuno per riscattare l’onore
della Patria tradita.
A fianco dell’alleato fedele, in tre
mesi di asperrima lotta, contendeva,
fino all’estremo, alle orde travolgenti
dei nuovi barbari il possesso di Roma
immortale, dando luminose prove di
strenuo valore e consacrando col sangue
dei migliori il sacro diritto d’Italia
alla vita ed alla rinascita”
Fronte di Nettuno – Roma, 4 giugno 1944.
Il 14 settembre 1944, invece, un Decreto
Luogotenenziale del Regno del Sud
sospendeva il Maggiore G.N. Bardelli
dall’impiego “a tempo indeterminato” e
lo poneva “in attesa di procedimento
penale”, mentre il 27 gennaio 1945, era
notificato che l’8 luglio 1944 Bardelli
era stato “Ucciso da patrioti”. (45)
Il 4 febbraio 1951, la Commissione
Centrale di Discriminazione giudicò
“l’ufficiale superiore” Bardelli idoneo
a rimanere nei Ruoli sino alla data
della sua morte, “avvenuta in servizio
ma non per causa di servizio”. (46)
Il 23 gennaio 1952 era annullato
parzialmente, a tutti gli effetti, il
Decreto del 14 settembre 1944,
riguardante la “sospensione
precauzionale dall’impiego”. (47)
Erano passati sette anni dalle ultime
battaglie del Barbarigo e della Decima
nel Goriziano e sul Fronte Sud,
battaglie dove senza dubbio molti Marò
ricordarono, in quelle situazioni
disperate, le parole e l’alto esempio
del Comandante Bardelli, tenendo fede al
giuramento prestato e combattendo sino
al limite delle loro capacità.
La salma di Bardelli troverà in seguito
dimora nella Tomba Duelli al Verano,
assieme a molti dei suoi Marò, e sarà
quindi traslata il 16 giugno 2005 al
Campo della Memoria, divenuto Cimitero
Militare a tutti gli effetti, dove
riposerà circondata dai Caduti del
Barbarigo.
Sessanta anni dopo la fine della guerra,
il Comandante Bardelli vive ancora,
perché, come disse egli stesso:
nessuno di voi è morto finché noi non
morremo tutti. E fino a quando sarà in
piedi uno del Barbarigo lo sarete anche
voi.
Ma anche dopo che l’ultimo membro del
Barbarigo seguirà il suo Comandante e i
suoi commilitoni, tutti loro vivranno
per sempre nella leggenda che essi hanno
scolpito, con il loro sangue e i loro
sacrifici, il loro dolore e il loro
eroismo, nelle buche di Nettuno, sulle
nevi del San Gabriele e tra gli argini
del Po.
Note
1 I periodi di imbarco di Umberto
Bardelli, le navi sulle quali ha
prestato servizio, le promozioni e le
onorificenze conferitegli sono desunte
dal suo Fascicolo Matricolare,
riprodotto in appendice.
2 Trizzino, Antonino, Sopra di noi
l’oceano, Milano, 1967, p. 25.
3 Ibid., p. 25.
4 Ibid., p. 32.
5 Giorgierini, Giorgio, Uomini sul
fondo, Milano, 1994, p. 460.
6 Sanvito, Mario-R.C., Il Comandante
Umberto Bardelli, s.l., 1944, p. 4.
7 Le MTB che avevano attaccato lo
Scipione erano delle MTB Vosper tipo
1941. Molte MTB di questa classe furono
costruite negli USA, nel quadro del
Patto Lend-Lease, da lavoratori della
Vosper inviati nei Cantieri americani.
La maggior parte di queste motosiluranti
operò nel Mediterraneo e nell’Oceano
Indiano. Diverse MTB operanti nel
Mediterraneo avevano equipaggio
neozelandese, come quelle affrontate con
successo dallo Scipione.
Caratteristiche tecniche:
Lunghezza 22.1 metri, larghezza 5.9
metri, potenza 4.050 cavalli, velocità
39.5 nodi, dislocamento 37 tsl,
armamento 2 tls da 533 mm, 1
mitragliatrice binata .50 oppure una
mitragliera Oerlikon da 20 mm,
equipaggio 12 uomini.
MTB tipo 1941 costruite:
MTB 222 - 241, MTB 246 - 257, MTB 258 -
326 (Costruzione USA, 259 - 268 progetto
Elco), MTB 327 -331, MTB 344 - 346
(Sperimentali).
8 Lettera all’autore della Signora
Serena Rattazzi Bardelli, 2005.
9 Conversazione telefonica con l’autore
dell’Ing. Fernando Bardelli, 2005.
10 Arena, Nino, R.S.I. Forze Armate
della Repubblica Sociale, Parma, 1999,
pp. 314-315.
11 Lettera all’autore della Signora
Serena Rattazzi Bardelli, 2005.
12 Lettera all’autore della Signora
Serena Rattazzi Bardelli, 2005.
13 Lettera all’autore del Tenente Mario
Bordogna, 2005. Bordogna fu l’Ufficiale
d’Ordinanza di Bardelli, e dopo essere
stato assegnato alla Compagnia Comando
del Barbarigo a Nettuno divenne
l’Ufficiale d’Ordinanza del Comandante
Junio Valerio Borghese.
14 Bordogna, Mario (a cura di), Junio
Valerio Borghese e la X Flottiglia MAS,
Milano, 1995, p. 43.
15 Nesi, Sergio, Junio Valerio Borghese,
Bologna, 2004, p. 234-235.
16 Intervista dell’autore al
Guardiamarina Paolo Posio, 2005. Posio
fu uno tra i primi volontari nel
Maestrale, poi Barbarigo, e, divenuto
Comandante di Compagnia, combatté a
Nettuno, nel Goriziano e sul Senio.
17 Memoria inedita del Guardiamarina
Paolo Posio e Tedeschi, Mario, Sì bella
e perduta… Storia del Battaglione
Barbarigo e dell’amor di Patria, Roma,
1994, p. 86.
18 Ibid., pp. 111-112.
19 Intervista dell’autore al Sottocapo
Egidio Cateni, 2005. Marò, poi
Sottocapo, nel Btg. Barbarigo, combatté
a Nettuno, sul San Gabriele e sul Senio.
20 Calamai-Pancaldi-Fusco, Marò della X
Flottiglia MAS, Bologna, 2002, p. 75.
21 Conversazione telefonica con l’autore
del TV Sergio Nesi, 2005. Nesi era stato
un Ufficiale nei Reparti Navali della
Decima MAS, e, protagonista
dell’inconcludente raid su Ancona, che
portò alla perdita del suo SMA, sarà
catturato dagli Alleati, mentre i suoi
uomini della Base Est di Pola, rimasti
senza comandante, furono massacrati
dagli slavi.
22 Lembo, Daniele, I fantasmi di
Nettunia, Roma, 2000, p.125
23 Ibid, p.117.
24 Tedeschi, Mario, Sì bella e perduta…
Storia del Battaglione Barbarigo e
dell’amor di Patria, Roma, 1994, p. 86.
25 Perissinotto, Marino, Duri a morire,
Storia del Battaglione Barbarigo, Parma,
2001, p. 31.
26 Barbarigo, Giornale di guerra del
Btg. “Barbarigo” del 1° aprile 1944.
27 Nesi, Sergio, Junio Valerio Borghese,
Bologna, 2004, p. 257.
28 Ibid., p. 260.
29 Ibid., p. 270.
30 Ibid., p. 287.
31 Intervista dell’autore al
Guardiamarina Paolo Posio, 2005.
32 Tedeschi, Mario, Sì bella e perduta…
Storia del Battaglione Barbarigo e
dell’amor di Patria, Roma, 1994, p. 94.
33 Luci Chiariti, Luciano, Con il
Barbarigo a Nettuno, Genova, 2005, p.
52.
34 Conversazione con l’autore del Marò
A.U. Franco Olivotti. Franco Olivotti,
appartenente al Btg. Barbarigo, combatté
a Nettuno.
35 Calamai-Pancaldi-Fusco, Marò della X
Flottiglia MAS, Bologna, 2002, p. 66.
36 Paolo Posio, “Ricordo del Comandante
Bardelli”, pubblicato su Decima,
Comandante!
37 Calamai-Pancaldi-Fusco, Marò della X
Flottiglia MAS, Bologna, 2002, p. 64.
38 Tedeschi, Mario, Sì bella e perduta…
Storia del Battaglione Barbarigo e
dell’amor di Patria, Roma, 1994, p. 130,
e conversazione telefonica dell’autore
con l’Ausiliaria Scelta Raffaella
Duelli, 2005. Raffaella Duelli fu tra le
prime Volontarie del SAF Decima, e fu
assegnata al Battaglione Barbarigo ed
alla Segreteria del Comandante Junio
Valerio Borghese. Nel dopoguerra
organizzò il recupero delle salme dei
Marò del Barbarigo caduti a Nettuno e
contribuì in maniera determinante alla
realizzazione del Campo della Memoria di
Nettuno, il Cimitero Militare del Btg.
Barbarigo.
39 Farotti, Giorgio, Sotto tre bandiere,
Genova, 2005, pag. 31 e Tedeschi, Mario,
Sì bella e perduta… Storia del
Battaglione Barbarigo e dell’amor di
Patria, Roma, 1994, pag. 99.
40 Tedeschi, Mario, Sì bella e perduta…
Storia del Battaglione Barbarigo e
dell’amor di Patria, Roma, 1994, p. 49.
41 Urati, Piero, Piero Piero, Aosta,
2005, p. 50.
42 Le ricostruzioni del combattimento di
Ozegna da parte dei reduci della Decima
MAS (cfr. bibliografia) sono concordi
nell’attribuire a Urati la
responsabilità dell’inizio dello
scontro, avendo Urati puntato la propria
arma su Bardelli (e non disarmando
quest’ultimo), e invitatolo alla resa. A
quel punto, al rifiuto di Bardelli,
Urati spara e con lui aprono il fuoco i
partigiani, da posizioni di vantaggio,
sui Marò concentrati vicino ai camion
nella piazza. La tesi di Urati secondo
la quale egli si sentì minacciato e
disarmò Bardelli, trovandosi quindi a
distanza ravvicinata da quest’ultimo e
sparandogli subito dopo con la sua
stessa arma, è smentita anche da uno dei
suoi partigiani (cfr. testimonianza del
partigiano Dezzutti in Agliè nei giorni
della Resistenza, Agliè, 1978, pp.
11-12, citato in Guido Bonvicini, Decima
Marinai! Decima Comandante!, Milano,
1988, p. 78 ). Secondo questa
testimonianza “Ad un tratto Piero Piero
[…] si apposta dietro un albero
dell’allea e intima la resa. Ma Bardelli
risponde: “Il Barbarigo non si
arrende!”. Ed inizia lui stesso la
sparatoria”. La ricostruzione di Urati
fu resa nota in una sua conversazione,
durante un pranzo di lavoro nel 1984,
con l’Ing. Sergio Nesi, e da Nesi fu
successivamente ripresa (cfr. Guido
Bonvicini, Decima Marinai! Decima
Comandante!, Milano, 1988, pp. 76-77).
Nella sua recente autobiografia, curata
dalla Professoressa Rosanna Tappero,
Urati dà una versione simile alla prima,
affermando però che Bardelli era armato
di “una mitraglietta”, mentre la sua
arma era invece una pistola
semiautomatica in doppia azione Walther
P 38, e rivendicando un ruolo più attivo
nella conduzione dell’inizio dello
scontro: infatti Urati, visti i suoi
partigiani in posizione e approfittando
di una distrazione di Bardelli, lo
disarma ed inizia lo scontro (cfr. Piero
Urati, Piero Piero, Aosta 2005, pp.
50-51).
Da notare come diverse bande partigiane
tentarono di prendersi l’onore del
combattimento di Ozegna, suscitando
l’irritazione di Piero Piero (cfr. Piero
Urati, Piero Piero, Aosta, 2005, nota a
p. 51).
Ricciotti Lazzero (La Decima MAS,
Milano, 1984) fa una ricostruzione
attendibile dello scontro, scrivendo
però che Bardelli sarebbe stato
sfigurato da una raffica di arma
automatica, perdendo quindi parte della
dentatura. In realtà l’evidenza
fotografica mostra il volto di Bardelli
integro, ed è purtroppo indubbio che i
suoi denti d’oro furono rimossi a
scontro finito.
43 Bordogna, Mario (a cura di), Junio
Valerio Borghese e la X Flottiglia MAS,
Milano, 1995, p. 110.
44 Archivio di Stato di Genova.
45 Fascicolo Matricolare del Comandante
Bardelli.
46 Ibid.
47 Ibid.
Considerazioni sullo Stato di Servizio
del Comandante Bardelli
di
Alberto Menichetti
La carriera
nella Regia Marina di Umberto Bardelli è
quella di un coscienzioso e preparato
Ufficiale del Corpo del Genio Navale.
Dopo il periodo di istruzione presso
l’Accademia Navale inizia la sua
carriera operativa imbarcando con il
grado di Aspirante sulla R. Nave
appoggio sommergibili Pacinotti,
iniziando quindi quel rapporto con la
tecnologia dei battelli subacquei che lo
accompagnerà per gran parte della sua
vita di Ufficiale.
Regia Nave appoggio somm. Pacinotti
Disl.: 2.720; Lung.: 93,1; Larg.: 11,1;
Imm.: 5,11; Arm.: IV – 76/40; App. Mot.:
4 caldaie; 2 Turbine Zoelly
Potenza: 7.500; Vel.: 19 nodi
Conseguito il grado di Sottotenente
effettua un breve periodo di imbarco sul
Regio Incrociatore Trieste
dal 16 febbraio 1930 al 1° maggio 1930
R. I. Trieste
Disl. 13.114; Lung. 196,96; Larg.20,6;
Imm. 6,57 Arm: VIII – 203/50; XVI –
100/47; IV – 40/39; IV – 12,7; VIII tsl.
da 533 1 catapulta – 3 aerei App. mot.
12 caldaie; 4 gruppi di turbine Parsons
Potenza 150.000 HP; Vel. 35 n.
Dopo un breve imbarco sulla R.N.
Pacinotti inizia la sua attività di
sommergibilista su Regio Somm. Toti,
unità della classe Balilla (29/11/1932 –
01/03/1933)
R. Somm. Toti classe Balilla 2
Disloc. 1.450/1.904; Lung. 86,75; Larg
7,80; Imm. 4,78; Arm.: IV tsl. da 533
Av. ; II tsl. da 533 Ad. ; I – 120/27
poi 120/45; IV – 13,2 a.a.; 1 tubo
lanciamine App. mot.: 2 Fiat 2.000 Hp /
2 Savigliano 1.000 Hp
Velocità: 17,5/8,9 nodi Profondità di
collaudo: 100 mt.
Dal 20 marzo 1933 al 11 agosto 1936
imbarca sul R. Somm. Ciro Menotti
R. Somm. Ciro Menotti classe Bandiera
Disloc. 942/1.147; Lung. 69,8; Larg
7,22; Imm. 5,18 Arm.: IV tsl. da 533 Av.
; IV tsl. da 533 Ad. ; I – 102/35; II –
13,2 a.a.; App. mot.: 2 Fiat 1.500 Hp /
2 Savigliano 550 Hp Velocità: 17,5/9
nodi Profondità di collaudo: 100 mt.
Dal 5 ottobre 1936 al 14 novembre 1937
imbarca sul R. Somm. Fratelli Bandiera
della classe omonima (vedi sopra profilo
e caratteristiche).
Bardelli in virtù della sua
specializzazione è destinato a Taranto
presso l’Ufficio Allestimento
Sommergibili per seguire l’allestimento
del R. Somm. Brin. (15/12/1937 –
11/02/1938), essendo altresì inviato al
Cantiere Navale di Monfalcone per
seguire l’allestimento del R. Somm. Nani
(10/02/1938 – 28/03/1938)
Dal 28 marzo 1938 al 15 maggio 1938
imbarca sul R. Somm. Nani per seguirne i
collaudi di consegna.
R. Somm. Nani classe Marcello
Disloc. 1.060/1.313; Lung. 73; Larg.
7,20; Imm. 5,10; Arm.: IV tsl. da 533
Av. ; IV tsl. da 533 Ad. II – 100/47; IV
– 13,2 a.a.; App. mot.: 2 CRDA 1.500 Hp
/ 2 CRDA 550 Hp Velocità: 17,4/8 nodi
Profondità di collaudo: 100 mt.
Dal 15 settembre 1938 al 8 ottobre 1938
imbarca sul R. Somm. Da Procida
R. Somm. Da Procida classe Mameli
Disloc. 830/1.010; Lung. 64,6; Larg.
6,52; Imm. 4,33; Arm.: IV tsl. da 533
Av. ; II tsl. da 533 Ad. ; I – 102/35;
II – 13,2 a.a.; App. mot.: 2 Tosi 1.500
Hp / 2 CGE500 Hp Velocità: 17,2/7,7 nodi
Profondità di collaudo: 100 mt.
Imbarca sul R. Somm. Guglielmotti (2°)
dal 1° novembre 1938 al 13 aprile 1939
R. Somm. Guglielmotti 2° classe Brin
Disloc. 1.016/1.266; Lung. 72,5; Larg.
6,7; Imm. 4,55 Arm.: IV tsl. da 533 Av.
; IV tsl. da 533 Ad. I – 100/43; IV –
13,2 aa.; App. mot.: 2 Tosi 1.500 Hp / 2
Ansaldo 550 Hp Velocità: 17,3/8 nodi
Profondità di collaudo: 100 mt.
Imbarca sul R. Somm. Archimede (2°) dal
15 aprile 1939 al 5 luglio 1939 (somm.
della classe Brin vedi dati e profilo
precedente)
Destinato a Taranto presso l’Ufficio
Allestimento Sommergibili per seguire
l’allestimento del R. Somm. Console
Generale Liuzzi dal 1° ottobre al 22
novembre 1939, venendo imbarcato sulla
medesima unità dal 22 novembre 1939 al
20 maggio 1940.
R. Somm. Console Generale Liuzzi classe
omonima
Disloc. 1.166/1.484; Lung. 76,1; Larg.
6,98; Imm. 4,55; Arm.: IV tsl. da 533
Av. ; IV tsl. da 533 Ad. I – 100/47; IV
– 13,2 a.a.; App. mot.: 2 CRDA 1.500 Hp
/ 2 CRDA 550 Hp Velocità: 18/8 nodi
Profondità di collaudo: 100 mt.
Imbarca sul R. Somm. posamine Zoea dal
20 maggio 1940 al 25 ottobre 1940.
Durante l’imbarco è decorato di Medaglia
di Bronzo al Valore Militare
(vedi fascicolo)
R. Somm. Zoea 2° classe Foca 2°
Disloc. 1.318/1.647; Lung. 82,75; Larg.
7,16; Imm. 5,30; Arm.: IV tsl. da 533
Av. ; II tsl. da 533 Ad.
I – 100/43; IV – 13,2 aa.; 16 mine in
tubi e 20 mine in camera cemtrale App.
mot.: 2 Fiat 1.500 Hp / 2 Ansaldo 650 Hp
Velocità: 16/8 nodi Profondità di
collaudo: 100 mt.
Viene imbarcato dal 25 ottobre 1940 al
16 febbraio 191 sul R. Somm. Brin con
destinazione in base atlantica (BETASOM),
guadagnando un encomio solenne e una
Croce al Valore Militare. Dal 16
febbraio 1941 al 1° febbraio 1942 è
imbarcato sul R. Somm. Reginaldo
Giuliani classe Liuzzi.
Dal febbraio 1942 è destinato in Patria
presso l l’Ufficio Allestimento
Sommergibili di Taranto sino al 20
ottobre 1942.
Dal 21 ottobre 1942 al 6 dicembre 1942 è
imbarcato sulla nave da battaglia
Vittorio Veneto
R. N. Vittorio Veneto classe Littorio
Disl. 45.752; Lung. 237,8; Larg. 32,9;
Imm. 10,5 Arm. IX-381/50; XII-152/55;
XII-90/50; XX-37/54; da XXIV a
XXX-20/65; 4-120 illuminanti; 3 aerei
App. mot. 8 caldaie; 4 gruppi
turboriduttori Belluzzo su 4 eliche.
Potenza 140.000 HP; Vel. 30 n.
Dal 6 dicembre 1942 al 27 dicembre 1942
è imbarcato sul R. Cacciatorpediniere
Bombardiere
R. CT: Bombardiere classe Camicia Nera
seconda serie
Disl. 2.140; Lung. 106,7; Larg. 10,20;
Imm. 4,12; Arm.: IV o V- 102/50; II –
37/54 aa; X o XII – 20/65; I – 120/15
illuminanti; II lanciabas; VI tsl. da
533; App. mot. 3 caldaie; 2 turbine
Parsons o Belluzzo; Potenza 50.000 HP;
Vel. 39 n.
Dal 28 dicembre 1942 al 20 maggio 1943 è
nuovamente imbarcato sulla R. N.
Vittorio Veneto
Dal 22 maggio 1943 al 31 agosto 1943 è
imbarcato sull’incrociatore leggero
Scipione l’Africano classe Capitani
Romani. Su questa unità gli è conferita
una Medaglia di Bronzo al Valore
Militare per una missione di guerra.
(vedi fascicolo)
R.N. Scipione l’Africano
Disl. 3.745; Lung. 142,9; Larg.14,4; Imm.
4,1; VIII- 135/45; VIII – 37/57; VIII –
20/65; VIII tsl. da 533
App. mot. 4 caldaie; 2 gruppi
turboriduttori Potenza 110.000 HP; Vel.
40 n.
Dall’analisi del Fascicolo Matricolare
si evincono le elevate doti
professionali di un ufficiale della
Marina Militare inserito nel Corpo del
Genio Navale.
I frequenti e brevi imbarchi nella
seconda metà degli anni trenta sono
derivati dalla sua attività di tecnico
deputato al collaudo e al controllo dei
nuovi sommergibili di grande
dislocamento costruiti nei due cantieri
navali di Monfalcone a Trieste e alla
Tosi di Taranto, luoghi in cui è
destinato agli uffici specifici di
allestimento.
Le sue doti professionali sono
confermate dalla Medaglia di Bronzo al
Valore Militare, alla Croce di Guerra al
valore Militare ed all’Encomio Solenne,
meritate durante l’imbarco come
Direttore di Macchina su sommergibili di
grande dislocamento in missioni in
Mediterraneo ed Atlantico.
Anche il suo imbarco su unità di
superficie con mansioni di Capo Servizio
dal 21 ottobre 1942 al 31 agosto 1943 è
gratificato da un’altra Medaglia di
Bronzo al Valore Militare conferita
durante una pericolosa missione
sull’Incrociatore leggero Scipione
l’Africano quando ormai l’Italia
meridionale era invasa.