Mitragliatrice
Breda mod.30
La mitragliatrice leggera da squadra Breda
modello 30 era l'arma canonica del Regio
Esercito durante la seconda guerra mondiale. Essa aveva la funzione
di fuoco di sostegno per le unità elementari di fanteria, in quanto
all'epoca non esistevano armi automatiche individuali di tipo
pratico, anzi, i fucili solitamente erano ancora essenzialmente del
tipo bolt action, ovvero a caricamento manuale tramite una leva
d'armamento.
Dopo la prima guerra mondiale, l'esercito italiano radiò tutte le armi
automatiche leggere in dotazione, per poi riequipaggiarsi alla fine degli
anni '20 con nuove armi: la FIAT 24 e la Breda 9C vennero scelte per il
ruolo di mitragliatrici leggere. Una versione della seconda, alleggerita e
dotata di bipiede, venne scelta come fucile mitragliatore, preferita ad un
modello delle acciaierie Terni, come anche al BRNO cecoslovacco, che poi
sarebbe diventato il famoso e riuscitissimo Bren.
Tecnicamente, essa era un'arma sofisticata, ma estremamente inadatta
all'impiego previsto. Il suo maggior pregio era anche il suo difetto: la
meccanica, precisissima, troppo per qualcosa che non deve sparare solo
dentro un poligono perfettamente pulito.
Il caricatore conteneva appena 20 colpi (davvero pochi per un'arma che può
spararne più di 400 al minuto) in lastrine facili a deformarsi, che
riducevano la cadenza di tiro pratica a 150 colpi per minuto, congrua per
un'arma raffreddata ad aria priva di canne di ricambio, ma senza la
possibilità di sparare a ritmi più elevati come invece era possibile per
altre armi straniere.
Il principio di funzionamento era molto complesso, basato sul rinculo della
canna solidale con quello dell'otturatore. Inoltre la sua meccanica molto
fine la esponeva a inceppamenti per via delle condizioni estreme nelle quali
è normalmente usa lavorare una mitragliatrice da squadra, e le numerose
sporgenze presenti erano di notevole impaccio per il movimento tra la
vegetazione, perché tendevano ad agganciarsi a tutto quello che
incontravano.
I proiettili venivano tutti lubrificati con una speciale pompetta prima di
essere sparati, e questa caratteristica, davvero unica, non faceva che
procurare guai, a causa della temperatura che raggiungeva il lubrificante,
mentre la polvere, comprensibilmente, non poteva trovare migliore alleato
per impastarsi ai meccanismi interni.
La corta canna (malgrado la lunghezza complessiva di ben 1,24 m e il peso di
11 kg) non consentiva gittate pratiche superiori ai 1 000 m, anzi
tipicamente non sparava oltre i 500 metri. Tutto questo, poi, per una
munizione da 6,5 mm, nettamente inferiore ai proiettili da 7,5 - 8 mm degli
eserciti stranieri, sparata a velocità di poco superiori ai 600 m/s.
Prodotta dal 1930 venne largamente impiegata dall'esercito italiano in tutti
i teatri di guerra con risultati alquanto scarsi, certo non dipendenti dal
numero disponibile, che nel 1940 ammontava ad oltre 30.000 esemplari.
Non c'è dubbio che tra tutte le armi automatiche della Breda, in genere
pesanti e con scarso volume di fuoco, ma affidabili e precise, questa fu la
peggiore: scarsa potenza, elevato peso, scarsissima affidabilità, e persino
un aspetto tutt'altro che attraente.
Nondimeno la mitragliatrice continuò ad essere prodotta, in alternativa al
niente, fino alla fine della guerra, anche sotto occupazione tedesca, il che
comportò la ridesignazione in 6,5 mm Leichter MG 099.
Nel dopoguerra l'arma continuò a lungo a servire con le unità da
combattimento dei carabinieri.
Bersaglieri in Libia con la Breda 30 e montata su una Guzzi
dell'esercito. |