Beretta mod. 34 e 35

Nel 1933, le forze di polizia italiane avevano presentato alla Beretta un’esplicita richiesta di un’arma corta caratterizzata da ingombro minimo, meccanismo semplice e robusto e impiego di una cartuccia dotata di un buon potere d’arresto. La casa gardonese, grazie al lavoro del progettista Tullio Marengoni, rispose con una pistola che rappresentava non solo l’evoluzione del modello immediatamente precedente (il 1931), ma il culmine del percorso progettuale iniziato nel 1915, e che, riunendo le migliori soluzioni adottate sino ad allora nelle sue armi, raggiunse livelli di semplicità, affidabilità assoluta in ogni condizione e robustezza che spinsero in seguito molti autori a considerarla una delle migliori pistole impiegate nella seconda guerra mondiale.

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Nel 1933, le forze di polizia italiane avevano presentato alla Beretta un’esplicita richiesta di un’arma corta caratterizzata da ingombro minimo, meccanismo semplice e robusto e impiego di una cartuccia dotata di un buon potere d’arresto. La casa gardonese, grazie al lavoro del progettista Tullio Marengoni, rispose con una pistola che rappresentava non solo l’evoluzione del modello immediatamente precedente (il 1931), ma il culmine del percorso progettuale iniziato nel 1915, e che, riunendo le migliori soluzioni adottate sino ad allora nelle sue armi, raggiunse livelli di semplicità, affidabilità assoluta in ogni condizione e robustezza che spinsero in seguito molti autori a considerarla una delle migliori pistole impiegate nella seconda guerra mondiale.
Molti altri non condividono questa opinione, ma motivano il proprio dissenso soprattutto con il calibro dell’arma, il 9 corto (o .380 ACP o 9x17), ritenuto fortemente limitato per l’impiego militare e sicuramente non all’altezza di quelli impiegati da altre nazioni belligeranti, quali Germania e Stati Uniti. Tuttavia, occorre tenere presente che la scelta italiana non fu motivata da ragioni di carattere tecnico, ma unicamente da considerazioni economiche, che imposero da subito la rinuncia ad una cartuccia dalle prestazioni veramente elevate. I principi dell’economia e della semplicità vennero tuttavia soddisfatti dalla Beretta in maniera eccezionalmente completa. La pistola è realizzata con poche parti (solo 39) studiate in modo da poter essere fabbricate con un numero di lavorazioni meccaniche inferiore a quello occorrente per la grande maggioranza delle altre semiautomatiche dell’epoca, ma senza che ciò ne faccia un’arma rozza o dal funzionamento poco sicuro; anzi, alle comuni distanze di impiego pratico è anche dotata di una buona precisione.

Proprio grazie alla loro semplicità intrinseca queste armi non subirono mai un calo delle prestazioni e della sicurezza, neppure negli anni peggiori della produzione (1944-45), quando le esigenze della guerra imposero uno scadimento qualitativo che però risultò limitato unicamente al grado di finitura esterna. Nell’intero impianto progettuale, l’unico elemento che giustifica qualche riserva è il sistema di sicura, che si limita a bloccare il grilletto. In ogni caso, al di là delle discussioni accademiche, quello che è certo è che il giudizio positivo fu condiviso da molti militari delle forze alleate, per i quali la nostra 34 costituiva una preda bellica molto ambita, anche in vista di un suo futuro impiego in ambito civile: in previsione di un uso come arma da difesa, il suo principale difetto, il calibro, veniva infatti compensato dalle notevoli doti di occultabilità, leggerezza e semplicità d’uso. Non è un caso che gli americani coniassero per lei il soprannome di “mighty mite”, che si potrebbe tradurre come “piccola e tosta”.

Subito dopo la sua immissione sul mercato l’arma venne adottata non solo dalla polizia, che l’aveva richiesta, ma anche dalle Forze Armate italiane, che negli anni assorbirono la massima parte della produzione; il resto prese la via della Romania (con una commessa di circa 40.000 pezzi nel 1941), dell’esercito tedesco (nel periodo della RSI, dal 1943 al 1945) e del mercato civile, soprattutto statunitense. Inizialmente venne assegnata agli ufficiali ed agli appartenenti ad alcune truppe scelte e fu impiegata su tutti i fronti in Africa, Europa e Russia, dimostrandosi sempre affidabilissima in ogni clima. La produzione terminò solo nel 1980, raggiungendo il totale di circa 1.080.000 esemplari. Nel nostro Esercito è rimasta in servizio per moltissimi anni ed è stata considerata arma da guerra fino alla fine degli anni ’80. Proprio per sfruttare l’effetto della liberalizzazione del calibro, nel 1991 la Beretta realizzò con alcuni “fondi di magazzino” un lotto di circa 2000 pezzi, destinato al mercato dei collezionisti; le recenti immissioni in commercio di armi più o meno “commemorative” realizzate con componenti d’epoca non sono quindi un’idea del tutto originale..., ma – personalmente – sono convinto che quando mi procurerò una 34 (o una 1911, tanto per fare un esempio “a caso”) sarà un pezzo “d’annata”, perché, a mio modo di vedere, queste rivisitazioni non hanno una storia da raccontare.

La modello 35 non è altro che la versione in calibro 7,65 mm Browning della sorella maggiore, dalla quale differisce unicamente per le dimensioni dei componenti condizionati dal calibro (canna, caricatore, e carrello): le restanti parti risultano infatti intercambiabili fra i due modelli. Nonostante il nome che porta, la produzione dei primi 1000 pezzi iniziò alla fine del 1934, ad ulteriore conferma del fatto che le due armi furono davvero “gemelle” sin dalla nascita ed anzi già nella mente dei loro ideatori, benché la seconda guardasse con più attenzione al mercato civile. Forse anche grazie alle sue doti di maggiore leggerezza, la pistola venne data in dotazione, oltre che all’Esercito, soprattutto all’Aviazione ed alla Marina. Inoltre, fu venduta alla Finlandia e fornita al “Comando germanico”. In totale ne furono realizzati dalla Beretta 525.000 pezzi. È interessante notare che, mentre la 34 venne considerata un’arma del tutto nuova, con una propria serie di numeri di matricola, la 35 fu intesa come una nuova versione del precedente modello dello stesso calibro, il 1931, del quale prosegue la serie matricolare. Inoltre, risulta accertata l’esistenza di alcune di queste pistole realizzate al di fuori degli impianti della casa gardonese, presso la ditta Armaguerra di Cremona; non si dispone però di dati relativi a questa produzione, immatricolata con numeri e lettere, secondo lo schema germanico, e non con i soli numeri progressivi utilizzati sino a quel momento dalla Beretta. Del resto, lo stesso tipo di numerazione alfanumerica venne impiegato dai tedeschi anche per contraddistinguere le 34 e 35 prodotte dalla stessa Beretta sotto la loro occupazione, il che complica ulteriormente lo studio delle serie matricolari. Si ignora se l’arma sia stata fatta realizzare anche presso altri impianti.

Modello

34

35

Calibro:

9 mm corto/.380 ACP

7,65 mm Br./.32 ACP

Numero di colpi

7

8

Lunghezza complessiva

150 mm

146 mm

Altezza

123 mm

123 mm

Spessore

30 mm

30 mm

Peso (arma scarica, con caricatore)

625 g

620 g

Lunghezza della canna

89 mm

88 mm

Rigatura

6 righe destrorse

6 righe destrorse